Testo della relazione di Adriana Ramacciotti presentata al convegno “Metodo psicoanalitico ed esame di realtà “.
Firenze, sabato 14 aprile 2018
Ringrazio Alberto Semi di averci parlato del metodo psicoanalitico e dell’esame di realtà.
Vorrei soffermarmi brevemente su due questioni che in particolare mi hanno stimolato della sua relazione:
- La prima è quella della “innaturalità” del metodo analitico
È condivisibile perché è così naturale scordarsi dei sogni, l’autoanalisi non è affatto un fenomeno spontaneo. Nella propria analisi – pur conoscendo la regola fondamentale – quante volte essa viene meno, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Lo stesso nel nostro lavoro, non sempre ci risulta facile rimanere su un’idea per quanto strana essa possa essere o su un sentimento o una sensazione che ci turba mentre ascoltiamo.
Penso che questa innaturalità renda anche ragione delle caratteristiche singolari del training psicoanalitico, cosi come dell’alta frequenza che caratterizza l’analisi.
Penso che segnalare l’innaturalità del metodo analitico sia importante, perché proprio tale innaturalità crea curiosità. E ritengo che la curiosità che nasce in noi e nei pazienti sia un segnale di vitalità del metodo psicoanalitico.
- La seconda questione, più complessa, è considerare il metodo analitico come realistico. In che senso è realistico? E qui c’entra l’esame di realtà.
Alberto Semi ci dice che bisogna essere rispettosi del materiale psichico, che è un materiale inquinato.
Materiale prodotto dalle libere associazioni del paziente che passa all’analista, materiale fatto non solo da stimoli derivati dalla percezione soprattutto acustica, ma fatto anche da affetti; e che grazie appunto all’“attenzione fluttuante o ugualmente sospesa”, fa entrare in gioco a sua volta l’attività psichica dell’analista, che produce idee e sentimenti.
Il metodo psicoanalitico è realistico in quanto ha a che fare con questa tipologia di dati psichici e in quanto tenta di eliminare gli inquinamenti o le alterazioni evidenti dell’esame di realtà. L’ambito di osservabilità è circoscritto e va contro la tendenza naturale o spontanea dell’essere umano ad avere a che fare con la realtà. Il nostro apparato psichico si è sviluppato proprio nello sforzo di esplorare il mondo esterno. Già nel Progetto di una Psicologia (1895) Freud, cercava di distinguere la percezione dalla rappresentazione e iniziava a darci un’idea di un Io che non permette di investire la traccia mnestica dell’oggetto dell’esperienza di soddisfacimento, perché questo darebbe luogo all’allucinazione e di andare a cercare nella realtà qualcosa di simile a quell’oggetto.
Mettere l’esame di realtà a disposizione del metodo è considerare reale tutta quella attività psichica che si è messa in moto, pertanto sarebbe erroneo, dice Semi, pensare di applicare un giudizio di realtà agli eventi o alle persone delle quali il paziente ci parla. Anzi questo comporterebbe un allontanarsi dal materiale.
Ad esempio, pensavo ad alcuni pazienti che ci parlano ininterrottamente di eventi della realtà esterna o che fanno lunghi elenchi di fatti accaduti (sono stato al mare, in montagna, ho visto tizio e caio ecc.) e dunque parlano come se la realtà psichica fosse inesistente e tutto fosse realtà materiale: anche in queste situazioni A.S direbbe
“C’è un giudizio che non dovremmo sospendere mai, e che non è naturale a causa delle nostre difficoltà e delle dinamiche transferali ed è il giudizio di realtà.
Da questo deriva la necessità di essere rispettosi, cauti e critici relativamente al materiale che ci appare mentre stiamo ascoltando e di lasciarsi parlare e ricostruire adeguatamente evitando ad esempio preconcetti, stereotipi o anteponendo una teoria all’ascolto.
Credo che uno dei punti cardine del tuo lavoro sia il rapporto stretto tra metodo analitico ed esame di realtà, che vanno di pari passo, un rapporto che sembra essere di interdipendenza reciproca.
Domando: nonostante l’esame di realtà sia precario, sfugga e sia soggetto ad alterazioni, (nello stesso modo in cui la convinzione di avere una coscienza si fondi su un’illazione), consideri che l’esame di realtà abbia una funzione di bussola nel riportare al metodo? Una funzione strategica? Mi piacerebbe che tu riprendessi questo tema nella discussione.
Infine seppur a basso funzionamento, tu convieni che l’esame di realtà sia una fondamentale istituzione dell’Io. Se ho capito bene, mi sembra che tu ponga anche un’altra domanda, inversa rispetto alla precedente e cioè se la nostra attività psichica, quando applichiamo il metodo psicoanalitico, possa dare qualche informazione in più sull’esame di realtà. Freud auspicava che sarebbe stata l’analisi delle affezioni narcisistiche ad aiutarci a capire qualcosa di più, così come le tante modalità di evitamento dell’esame di realtà, le fughe nelle nevrosi o nelle psicosi.
Mentre il tuo lavoro invita l’analista a capire qualcosa in più osservando la propria attività psichica.
E, se come tu dici, il metodo è una base di appoggio per l’osservazione del flusso continuo di attività psichica la questione che stai ponendo sarebbe quella di osservare una certa dinamica dell’esame di realtà? di seguire i suoi movimenti? di cercare di spiegare come avviene o che fine fa quando viene messo da parte?
Grazie ancora a Alberto Semi
Freud S. (1895), Progetto di una Psicologia. OSF, vol. 2.