Seminario AFPP CSMH – AMHPPIA SIPP SPI 28 Settembre 2013
Sala del Giardino d’Inverno, Istituto Montedomini, Via de’ Malcontenti 6 Firenze
Introduce A.Molli (CSMH – AMHPPIA)
Intervengono S.Nissim (SPI, CSMH-AMHPPIA) e G.Biggio (SIPP)
Ringrazio davvero di cuore Ron Britton per la relazione così stimolante e ricca di spunti clinici rigorosamente integrati ed integranti la teoria . Lo ringrazio anche perché quest’estate, leggendo i suoi lavori per preparare questo intervento, mi sono riletta o a volte letta, i poeti che Britton ci propone, portandoci direttamente nella sua “cucina” o fucina di pensiero ed ho sentito dentro di me il potere ed il piacere della mente che si immerge nella poesia, la forza dell’immaginazione come nutrimento.
Britton nel 1995 scrive di una ricerca di uno spazio poetico, un luogo dell’immaginazione, che è il riconoscimento di un’altra stanza psichica di fantasia, come un luogo dove noi siamo consapevoli che stiamo immaginando qualcosa.
Nel 1998 Britton lega l’ altra stanza dell’immaginazione e lo spazio poetico alla relazione non visibile dei genitori: è il luogo della scena primaria cui non assistiamo e si fa riferimento alla poesia inglese romantica (Thomas Hardy, Who is in the Next Room : una metafora di un precursore primitivo dell’immaginazione?(citato da Hamish Canhan,2003).
Britton ricorda la naturale, necessaria oscillazione tra stati mentali diversi nel corso dello sviluppo emozionale e sottolinea quanto sia importante distinguere tra queste oscillazioni, dalle più fisiologiche che confluiranno in uno sviluppo armonioso alternato a vitali turbolenze a quegli elementi più francamente confondenti e regressivi.
Toccherò tra breve il tema della “regressione” in Britton ed accennerò anche al suo concetto di borderline. A questo proposito, a Britton psichiatra di bambini, chiedo quanto la sua attenzione alla mente infantile nei suoi più vasti movimenti evolutivi e anche patologici, lo abbia sostenuto nella ricerca di una conoscenza della mente primitiva del neonato, denominando il suo ( del neonato) rifugiarsi nella credenza-illusione di essere lui stesso il seno-madre, una “psicosi piena di desiderio”(wishful psychosis),una sorta di rifugio della mente non patologico, finchè non arriveranno condizioni più favorevoli a fronteggiare la frustrazione, la separazione, le perdite e l’ambivalenza.
Ancora, a questo proposito, mi chiedo quanto abbia inciso sulla sua formazione e sulle sue teorizzazioni la pratica dell’Infant Observation , il seminario di discussione, l’essere nella posizione, anch’essa terza, dell’osservatore, che osserva ed è osservato. I punti di interesse sono veramente molti, intrecciati in un filone ricerca che si snoda negli ultimi 20 anni.
L’introduzione, all’interno degli studi sul complesso edipico, dello spazio triangolare e della terza posizione, mi ha portato a riflettere su due elementi tratti dalla generosa offerta di scritti sempre più approfonditi e collegati tra psicoanalisi, patologie primitive, poesia, letteratura, contesto storico-sociale. Ho sentito di grande interesse clinico e tecnico il lavoro su “Prima e dopo la posizione depressiva” mi ha incuriosito l’accenno che Britton fa al tentativo di Bion di rinominare la posizione schizo-paranoide: Ps “pazienza” e la posizione depressiva 😀 “sicurezza”, ma soprattutto il movimento di entrata- uscita -nuova entrata da una posizione all’altra, in epoche diverse della vita, ricordando che Money Kyrle aveva voluto sottolineare, credo, il senso di posizione invece che fase proprio come riferimento al un movimento spazio -temporale aperto nelle due direzioni.
Mi ha stimolato molto il verso di Wordsworth posto in apertura del capitolo sesto di Credenza ed Immaginazione, “Prima e dopo la posizione depressiva”: Le mie speranze non cambieranno nome, anelo ad una pace imperturbata. Britton ci propone le sue riflessioni su quanto la precocità emotiva di Wordsworth abbia “costretto” il poeta a raggiungere una sorta di “crisi di mezza età” già a ventotto anni, soffocando ed inibendo il passaggio ad un movimento post-depressivo, quasi fosse molto faticoso per lui andare oltre le certezze raggiunte.
Mi chiedo, pensando allo sviluppo del bambino, quanto sia necessaria una modulazione ritmica che riconosca la personale capacità innata del piccolo bambino, che non crei precocità innaturali nella richiesta di adattamento, ma offra invece contenimento ed accoglimento alle angosce primitive del neonato, in una sorta di illusione primitiva cui dovrà poi far seguito la disillusione primaria.
Molteplice può essere lo sviluppo in caso di prematura esposizione, se la “stanza”, il terzo spazio,non sarà ancora pronto. Nomino solo, ma sarà tema certamente di discussione, il terrore, da parte di alcuni pazienti, di un fraintendimento maligno, traumatico.
Con i bambini disillusi prematuramente o con spazio terzo assolutamente terrifico, siamo coinvolti spesso in terapie che hanno bisogno di un lungo periodo di mediazione, di gioco indiretto, di terapeuti capaci di drammatizzare con molta delicatezza la relazione. Cito da un lavoro di Dora Sullam, docente del Csmh di Venezia , che ringrazio.
….dapprima io posso parlarle solo dando voce ai personaggi che mi fa drammatizzare nel gioco; successivamente è proprio attraverso degli oggetti (il divano, i cuscini, la sciarpa e i guanti)che G. può iniziare a mostrarmi sia aspetti del sé fragile e delicato, sia aspetti della sua relazione d’oggetto. Anche il guardarsi attraverso un’immagine riflessa mi fa pensare al suo bisogno di una mediazione; alla possibile introduzione di un oggetto terzo che non sia fonte di conflitto, scissione o soprattutto esclusione, ma permetta una graduale integrazione di odio e amore e il progressivo avvicinamento alla costruzione di una coppia genitoriale interna, sufficientemente buona.
Molto stimolante a questo proposito il chiedersi se c’è qualcosa nella dotazione di tali individui che può incoraggiarli a credere che un oggetto che esiste in maniera indipendente possa fraintenderli in maniera distruttiva. In altre parole, si può ipotizzare un fattore innato nel neonato che rende la madre meno risonante, meno capace di identificarsi al suo piccolo e pertanto meno contenente? Britton ci introduce ad un pensiero “forte”, una sorta di allergia ai “prodotti di altre menti” .Il non riconoscimento dell’altro o il riconoscerlo come altro, scatenerebbe una reazione immunitaria.
Introducendo il concetto, proposto da Rosenfeld, di pazienti ipersensibili, a pelle sottile e di pazienti a pelle spessa, ho sentito Britton capace di portarci, per quanto possibile, dentro l’atmosfera che a volte si respira nella stanza di analisi, quando le dinamiche transfert-controtransfert sono in un equilibrio delicato, con due diverse relazioni interne tra il sé soggettivo e il terzo oggetto. Il paziente a pelle sottile avrebbe bisogno di un’esperienza di contenimento leggera e affidabile insieme, ma cerca di evitare invece l’oggetto terzo.
Nel paziente a pelle spessa, il sé soggettivo, ci dice Britton, è identificato al terzo e all’oggettività, rendendo particolarmente faticoso il lavoro analitico. Il paziente a pelle sottile, riesce a restare in contatto con l’analista solo se le parole che dice saranno un eco, un rinforzo di ciò che il paziente pensa o afferma: ”un oggetto materno comprensivo”.
Se però l’analista introduce idee proprie o, peggio, le proprie teorie, il paziente lo vive come un transfert intrusivo e penetrante, un padre che intrude nell’analisi. La qualità affettiva di questo terzo oggetto fantasticato, è persecutoria, indagatoria, il terzo oggetto pare portatore- scrive Britton – “ della curiosità che cerca conoscenza senza partecipazione, penetrazione senza desiderio e possesso senza amore” .Sembra che il terrore sia rappresentato dalla possibilità di integrare, congiungere il transfert che avvolge con il transfert che penetra, soggettività e oggettività.
Il paziente a pelle spessa apparentemente soffre meno, l’identificazione al terzo oggetto lo difende dalla tenerezza fa sentire capiti in un modo apparentemente senza pericolo.
Ciò che hanno in comune, è la paura di uno stato psichico che assomiglia alle descrizioni mitiche e letterarie di un caos primordiale, con le sue due caratteristiche di confusione e di terrificante mancanza di limite.
E’ interessante la mobilità con cui Britton tratta con intimità le tematiche assolutamente personali diogni paziente, riuscendo al contempo a permetterci un esercizio di spazio poetico, di stanza di immaginazione, introducendo miti arcaici per permetterci di avvicinare gli affreschi terrifici del mondo interno del bambino, rappresentando quasi concretamente le forze ostili Caos primordiale e la necessità di una altrettanto concreta scissione.
Poiché immaginare la scena primaria equivale all’effettivo accadere dell’evento nella fantasia, unire i genitori nella mente viene vissuto come l’inizio di una catastrofe mentale. A questo proposito , è suggestivo il racconto che ci fa Britton della paziente che ha sognato di tenere in una mano un vaso della madre e nell’altra il diapason del padre musicista : evocando il sogno, raccontava con orrore che se le due sue mani si fossero toccate, tutto sarebbe andato in pezzi.
Sul piano della tecnica e della attenzione analitica, ritengo di supporto il ricordarci che “il bisogno di accordo manifestato dal paziente sia inversamente proporzionale all’aspettativa di comprensione”.
Dove non c’è assolutamente aspettativa di comprensione, è necessario un accordo assoluto che può essere raggiunto soltanto mediante la tirannia, l’obbedienza assoluta o la magia. Penso e chiedo se il risultato più temibile, sia l’obbedienza assoluta, in quelle analisi interminabili, dove niente cambia, il clima è di adesione e il transfert negativo va cercato con pazienza, nel nostro vissuto di impotenza, di noia, di estrema solitudine assediata.
L’analista che, solo col suo paziente, ma in compagnia della propria mente, in colloquio con la propria mente , attiva o riattiva nel paziente un vissuto di esclusione insostenibile, l’immagine di una coppia escludente. Britton (1989) descrive come il triangolo primario fornisca al bambino piccolo due anelli che lo legano separatamente a ciascun genitore e lo confronta con il legame di coppia. E’ il prototipo di una relazione oggettuale, nella quale il bambino è testimone, ma non partecipa. Se nella mente del bambino questo legame di coppia viene tollerato, emerge la possibilità della terza posizione, dalla quale le relazioni possono essere osservate.
Allora, ancora Britton, da qui può scaturire la possibilità di osservare se stessi in relazione con altri, discutere le proprie idee, ascoltando quelle degli altri, continuando a sentirsi esistere restando se stessi. Da Bion e il suo seminale concetto contenitore/contenuto, passando per Esther Bick , Tustin, Anzieu, Britton sembra accompagnarci ad un lavoro estremamente delicato nella formazione o riparazione di un contenitore –pelle.
Il tema è centrale nella relazione di oggi, porta Britton a toccare concetti sempre più ampi ma assolutamente pertinenti, come quello del fondamentalismo e dell’idolatria, la letteratura, la poesia in particolare, non come analisi psicoanalitica dei soggetti, ma, a mio parere, come fonte di nutrimento ed insieme modello di fruizione di una bellezza,sia legata alla natura, pittura, sia poesia, dramma e musica, che non abbiamo creato noi, l’artista lo crea in coppia con se stesso, in dialogo con i propri oggetti .
Mi ricordo di aver ascoltato un’intervista che Britton ha fatto alla British Society nel 2010,mi pare. A chi gli chiedeva qualcosa a proposito dei segnali per cosi dire predittivi sulla formazione psicoanalitica, se ci siano caratteristiche che possano orientare circa la capacità di capire se siamo “portati” per questo difficile lavoro- Brtton rispose qualcosa a proposito dell’infant observation e alla capacità di osservarsi nelle proprie emozioni e sensazioni durante l’esperienza di osservazione; mi piacerebbe sentirla approfondire questa tematica della formazione.
Penso che lavorare con i bambini, aiuti a lasciarsi sorprendere genuinamente dalle idee dell’altro, a ”prestare” la propria mente ai contenuti bizzarri o aggressivi o terrifici del paziente, per quanto tempo sarà necessario, affinchè il paziente ci possa scorrazzare dentro, per testarne la tenuta. Mi è venuto in mente che nell’intervista, Britton ha raccontato … di una bambina piccola, figlia di una collega…… che interrogata su cosa volesse fare da grande, ha risposto senza esitare: la paziente! Un insegnamento estremamente significativo quanto discreto che mi sembra di aver colto come prezioso dalla lettura dei tanti , fecondi lavori e conferenze di Ron Britton , è la ricerca costante di essere con onestà ma anche con riconoscenza, se stessi.
Vorrei concludere questi pensieri nati intorno alla lettura dei lavori di Britton, raccontando una piccola parabola talmudica, citata in un suo bel lavoro sulla Triangolazione da Ross Lazar, collega che lavora in Germania, dopo una lunga formazione alla Tavistock a Londra e che abbiamo avuto con piacere come docente al Csmh di Firenze.
La parabola, nella sua profondità, sembra illustrare una preconcezione fondamentale, proponendo fin dal suo primo inizio il concepimento dell’uomo come una configurazione triadica. Secondo il Talmud Babilonese (Nidda,31 a) infatti, sono tre i partners, non due, che prendono parte al concepimento-
Cito in traduzione libera:
Alla creazione dell’essere umano, partecipano in tre.
Il Santo Unico – sia lodato il Suo nome – il Padre e la Madre.
Il Padre semina il bianco, che forma le ossa, i tendini, le unghie , il cervello nella testa e il bianco degli occhi.
La Madre semina il rosso, che forma la pelle,i muscoli,i capelli, il sangue e il nero degli occhi.
Il Santo Unico – sia lodato il Suo nome – gli dona lo spirito, l’anima, l’espressione mimica, la facoltà di vedere , di udire, di parlare,di camminare, di introspezione e di comprensione.
Grazie