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Nicasi S. (2013). Dove ci sta portando il controtransfert?

Presentazione del seminario “Il lavoro di controtransfert nella cura psicoanalitica degli adolescent” con Irene Ruggiero

sabato 8 Giugno 2013

Sala del Giardino d’Inverno, Istituto Montedomini, Via de’ Malcontenti, 6 Firenze

Introduce Stefania Nicasi (SPI).

Intervengono Adriana Ramacciotti (SPI) e Sandra Carpi Lapi (AMHPPIA)

 

Il titolo di Irene Ruggiero sintetizza la sua posizione: il controtransfert come ostacolo e come risorsa. E’ una posizione intermedia che racchiude cento anni di storia.

 

L’ostacolo. Freud lo considerava un ostacolo, non c’è dubbio su questo. Come tale il controtransfert andava superato anche se, come nota Stefania Manfredi, non si sa bene come. Non è del tutto chiaro cosa Freud intendesse con il prefisso “contro”. Giuseppe Civitarese propende per un’accezione debole del prefisso che vorrebbe dire qualcosa di analogo al transfert, come nella parola “controparte”: “Ciò che si inverte (in Freud) è solo la direzione del movimento affettivo che va stavolta dall’analista al paziente” (Civitarese, 91). Ma allora sarebbe il transfert dell’analista? Non è certo, dice Stefania Manfredi e io sono d’accordo con lei. Il prefisso “contro” mi porta istintivamente a includere questa parola nel vocabolario bellico che tanto piaceva a Freud e che fa pensare all’analisi come a un campo di battaglia con opposti schieramenti, una visione militare e paterna che si è persa da quando la psicoanalisi si è fatta accogliente e materna.

L’analisi è una lotta. Anche il controtransfert, anzi a maggior ragione, va dominato e debellato: è necessario, scrive Freud a Jung impegolato nella faccenda Spielrein, farsi “la pelle dura” (Freud, Jung, 248). Così come il transfert per il paziente, il controtransfert per l’analista sarebbe allora una resistenza, una fuga dal compito dell’analisi che è, per Freud, rendere conscio quello che è inconscio.

 

La risorsa. Nel 1950 esce l’articolo di Paula Heimann che rivoluziona il punto di vista sul controtransfert. La Heimann allarga la definizione fino a includere tutti i sentimenti e le fantasie dell’analista intorno al paziente aprendo la via al “punto di vista totale” (Otto Kernberg) che arriverà a comprendere anche i contenuti coscienti.

In quanto “strumento dell’inconscio del paziente” il controtransfert è “la creazione” del paziente – e diventa un prezioso indicatore del suo assetto mentale.

In questo modo l’analista cerca il paziente dentro di sé.

Una parte della letteratura è attraversata da una visione “trionfalistica” (Anna Ferruta) e dalla convinzione illusoria che sia possibile una decodifica istantanea del controtransfert mentre già la Pick aveva ironicamente parlato della manciata di secondi a disposizione dell’analista per registrare il suo disturbo emotivo, trovare quello che appartiene al paziente, valutare l’impatto del disturbo sul paziente e infine formulare una interpretazione. Infine c’è chi ritiene che il controtransfert, anche se è diventato uno strumento, non abbia cessato di essere un inconveniente. E’ la posizione di Stefania Manfredi e la posizione di Irene Ruggiero.

C’è insomma qualcosa nel controtransfert che resiste alla bonifica.

Cosa?

 

1) Il controtransfert è per sua natura inconscio: “Usarlo è dunque inevitabile anche se non ne siamo coscienti. Capire coscientemente come possiamo usarlo per costruire le nostre interpretazioni è molto difficile, se prima non lo abbiamo usato per capire noi stessi, e non soltanto noi stessi in quel momento” (Manfredi, 131). Cito continuamente Stefania Manfredi: è il mio transfert, dato che è stata la mia analista, ed è il mio entusiasmo verso un contributo fondamentale per la messa a fuoco delle questioni relative al controtransfert. Nello stesso libro, un libro sulle perdute certezze, si smonta l’illusione dell’interpretazione di transfert. Si interpreta nel transfert. Allo stesso modo potremmo dire che si interpreta nel controtransfert. Le interpretazioni trasmettono al paziente cosa abbiamo capito di lui ma anche cosa non abbiamo capito: è sempre la Manfredi a notarlo. Diventa cruciale l’ascolto dell’ascolto, cosa il paziente capisce dell’analista. L’analista dovrà quindi cercare se stesso dentro il paziente piuttosto che cercare il paziente dentro di sé.

La critica di Bion all’uso del concetto di controtransfert è radicale. E’ un termine tecnico divenuto una specie di “moneta consunta” che ha perso il suo valore. Usare il controtransfert è una contraddizione in termini: “si tratta di sentimenti inconsci che abbiamo verso il paziente e, finché si tratta di inconscio, non possiamo fare niente a riguardo” (Bion, 242). Tutto quello che possiamo fare del controtransfert è farlo analizzare dice Bion. Di qui l’importanza di un supervisore o di un collega. E l’importanza dell’autoanalisi come opportunamente ricorda Irene Ruggiero. Ma l’autoanalisi è un processo lento e difficile e non può certo avvenire nella famosa manciata di secondi.

 

2) L’analista non è solo il bersaglio delle identificazioni del paziente, come un San Sebastiano, non è solo invaso dal paziente: è coinvolto nella relazione con lui, ci sta dentro. Questo è l’altro motivo per il quale il controtransfert resiste alla bonifica e continua a costituire un ostacolo pur essendo diventato una risorsa.

 

Per concludere: i sentimenti coscienti. Scrive Bion: “A volte gli analisti dicono: ‘Quel paziente non mi piace, ma posso fare uso del mio controtransfert’. In realtà l’analista non può usare il suo controtransfert. Può forse fare uso del fatto che il suo paziente non gli piace, ma questo non è controtransfert” (Bion 242).

 

MA PERCHÉ UNA COMUNICAZIONE DA INC A INC NON POTREBBE AVERE ANCHE UN CORRISPETTIVO COSCIENTE?

Va bene. Ma cosa ci fa questo analista con la sua antipatia verso il paziente? La butta dalla finestra dato che non è controtransfert? Non saremo troppo frettolosi nel liquidare i sentimenti coscienti? Perché non li prendiamo molto sul serio? Perché non pensiamo che siano anche questi degli importanti strumenti? Magari ci dicono qualcosa sul paziente invece che solo su di noi e ci dicono qualcosa di semplice, forse banale, ma forse utile. Magari suscitare nell’altro immediata antipatia è un problema del paziente, un problema non da poco a ben pensarci.

Progredendo in esperienza e conoscenza la psicoanalisi ha perduto alcune illusioni. Forse, per quanto riguarda il controtransfert, dobbiamo mettere da parte il trionfalismo e accettare che riuscire a tollerarlo sia già un buon risultato. Quanto a usarlo…Credo che nel suo cammino la psicoanalisi non abbia solo perduto alcune certezze ma abbia anche acquistato numerose complicazioni, alcune francamente stupefacenti.

 

A questo proposito, è istruttiva una critica che Sandra Buechler, analista di training al William Alanson Institute, muove a un tragico resoconto di Bollas (Cfr. Buechler, 63-65).

Bollas aveva preso in terapia una paziente molto impegnativa. “Un pacco”, potremmo dire cinicamente, che gli era stato passato dai colleghi. Era così stremato da sperare che la paziente trovasse inutile il lavoro con lui e se ne andasse o che avesse una ricaduta e fosse ricoverata. Cosa pensava Bollas? Pensava che lo stato penoso nel quale egli versava fosse il segno che erano comparsi sulla scena i primi oggetti della paziente. Pensava di stare ospitando dentro di sé una madre rifiutante. Questo pensiero gli consentiva di resistere eroicamente. Una cosa del tipo: non sono io che odio la paziente, devo solo aspettare che sloggi sua madre. Ma non sarebbe stato più utile per l’analista, anche se non più semplice, osserva Sandra Beuchler, prendere il toro per le corna e lavorare sui propri sentimenti rabbiosi nei confronti della paziente?

 

 

stefania nicasi Seminario clinico CPF (8 giugno 2013)

 

 

 

Bibliografia

 

Bion W. R. (1974-76). Il cambiamento catastrofico. La Griglia. Cesura. Seminari brasiliani. Intervista. Torino, Loescher, 1981.

Buechler S. (2004). Valori clinici. Milano, Cortina, 2012.

Civitarese G. (2013). “Spettri del transfert”. In Ferro, 2013, 77-122.

Ferro A. ( A cura di) (2013). Psicoanalisi oggi, Roma, Carocci.

Ferruta A. (1998). “Tra Corinto e Tebe. Il controtransfert all’incrocio tra riconoscimento e accecamento”. Rivista di Psicoanalisi, 44, 295-308.

Freud S. (1910). Prospettive future della terapia psicoanalitica. O.S.F., 6.

Freud S. (1912). Tecnica della psicoanalisi. O.S.F., 6.

Freud S. (1913). La disposizione alla nevrosi ossessiva. O.S.F. 7.

Freud S., Ferenczi, S. (1993). Lettere. Volume primo 1906-1913. Torino, Bollati Boringhieri.

Freud S., Jung C.G. (1990). Lettere tra Freud e Jung 1906-1913. Torino, Bollati Borinhieri.

Heimann P. (1950). “On countertransference”. Int. J. Psycho-Anal.,31, 81-84.

Le Guen C. (2008). Dictionnaire freudien. Parigi, PUF.

Manfredi S. (1994). Le certezze perdute della psicoanalisi clinica, Milano, Cortina.

Ogden T. H. (1994).Soggetti dell’analisi. Milano, Masson, 1999.

Pick I. (1985). “Working-through in the countertranference”. Int. J. Psycho-Anal., 66, 157-166.

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