Firenze 21 Aprile 2012
Seminari Psicoanalitici 2012
AFPPCSMH – AMHPPIA – SIPP – SPI Narcisismo e creatività
Relatore: Franco Borgogno
Nel cuore e nella mente propria e altrui. Il percorso di un analista oggi fra tradizione e creatività
Discussant : Enza Laurora SIPP “Nel cuore e nella mente”
Il lavoro di Borgogno, centrato sul suo percorso di analista, ci mette subito in relazione con l’Autore e insieme con il nostro mondo intrapsichico. Mentre leggevo pensavo anche al mio percorso e al mio incontro con Ferradini che è stato anche uno dei miei analisti, con Meltzer, con Robutti, via via a tutti gli altri incontri ‘di cuore e di mente’ che ho avuto all’interno della Sipp. Ho pensato ai percorsi identificatori specifici che ciascuno di noi compie, resi possibili da quegli incontri che rispondono all’idea che ci portiamo dentro finchè siamo vivi che ‘esiste qualcuno in carne ed ossa che può ascoltarci’ e rispecchiarci come persone esistenti in un mondo reale e condivisibile.
Mi sono venuti in mente anche gli Allievi che ci incontrano nel loro percorso formativo come docenti, come supervisori e la presa che possiamo avere su di loro e che loro hanno su di noi. Mentre leggevo affiorava nella mia mente una geografia emotiva fatta di relazioni che, donando esperienze di valore, alimentano la capacità di amore di sé e degli altri. Gli incontri che promuovono buone identificazioni, sono eventi creativi che consolidano il nostro sentimento di esistenza e insieme ci trasformano e ci tengono in relazioni aperte all’incontro con l’altro. Come psicoanalisti ci rendono più capaci di avventurarci nella nostra pratica clinica e da essa ripensare gli impianti teorici a cui facciamo riferimento e , come dice Ogden, risognare la psicoanalisi. Cosi cresciamo e con noi cresce il sapere psicoanalitico.
Condivido pienamente il modo con cui Borgogno, partendo dal pensiero di Ferenczi, intende lo sviluppo del soggetto umano e l’intreccio dell’inter – intrapsichico, nella relazione analitica. Apprezzo anche molto la sua capacità di pensare il paziente all’interno del gruppo originario in cui è cresciuto e che ne ha plasmato la struttura psichica. Questo modo di vedere sostiene lo sviluppo di un assetto mentale di ascolto che coglie una complessità e colloca ogni vita umana nel contesto delle relazioni che ne hanno favorito la crescita oppure ostacolato lo sviluppo, se non devastata la potenzialità vitale. Borgogno ha dato contributi specifici e molto creativi alla psicoanalisi attuale partendo dal primato della relazione nella fondazione e nello sviluppo del mondo intrapsichico. Tra questi la teorizzazione sullo spoilt chilidren, quei bambini deprivati della loro vitalità per la mancanza di una risposta relazionale primaria valorizzante, di una madre festante come dice la Vallino, che saluta gli atti di soggettivazione e insieme ‘porta soccorso’ mettendo la propriamente mente a disposizione dello sviluppo della mente dell’altro.
Anche nella stanza di analisi possiamo essere ‘madri festanti e soccorevoli, oppure analisti che deprivano il paziente della condivisione di esperienze positive e arrivano in ritardo a dare soccorso al dolore mentale dell’impensabile. Inoltre sul piano clinico Borgogno propone una visione spazio-temporale ampia dell’esperienza analitica che colloca gli accadimenti dell’hic et nunc nell’onda lunga del dispiegarsi del processo relazionale nel tempo. Questa attitudine a coniugare nella esperienza analitica il tempo presente e insieme la storia del processo, consente di cogliere ‘fatti psicoanalitici’ di grande importanza: diventa così possibile osservare il dispiegarsi di dinamiche interattive inconsce che si ingranano nel tempo, seduta dopo seduta e che consentono di cogliere quelle aree emotive che il paziente ha dovuto dissociare nel suo sviluppo e che l’analista deve rivivere prima di poter contribuire a lunghi e complessi processi di integrazione intrapsichica. In questa dimensione l’analista offre una ‘funzione di testimonianza’ come la definisce Borgogno, prima ancora di essere chiamato a promuovere ogni insight.
Quindi ci vuole tempo, tanto tempo, dice Borgogno, perché la ripetizione possa dare forma a configurazione di transfert e controtransfert che parlano, non guidate da reazioni terapeutiche negative o dall’istinto di morte che un tempo si associava alla coazione a ripetere, ma dalla pressione della vita che vuole venire all’essere unitario ed evolversi al meglio che può. E in questa visione della psicoanalisi che anche il lavoro del lutto, perde connotazioni buie per assumere valenza vitale, attraverso la pietas, la compassione. Parole antiche come fede, speranza e carità che l’Autore ci propone di non dimenticare per connotare l’attitudine umana dell’analista. La proposta di Borgogno delinea una psicoanalisi moderna, che valorizza la dimensione creativa dell’esperienza analitica, profondamente radicata nella condizione umana e perciò stesso profondamente etica.
Narcisismo e creatività della coppia al lavoro
Ma che cosa succede se tutto il tempo che ci vuole per un buon esito della cura deve dispiegarsi in trattamenti con un numero ben più ridotto di sedute settimanali o in ambito istituzionale anche se per molti anni? Cosa dobbiamo pensare se queste esperienze si rivelano valide, se curano nel senso psicoanalitico evidenziato prima? Quali altri fattori terapeutici concorrono ? Quanta parte gioca la creatività del paziente nel costruire il suo percorso analitico e la creatività dell’analista nel valorizzarla? Più cresce la mia esperienza nella conduzione di psicoterapie psicoanalitiche, più sono stupita dalle forme che il processo assume e dalle vie, a volte insospettate che possono aprirsi quando siamo capaci di farci portare lungo le linee di forza che il transfert e il controtransfert disegnano nel campo bipersonale. A volte sono colpita dalla capacità che alcune persone hanno di reperire il materiale sensoriale ed emotivo di cui hanno bisogno per alimentare il processo. Lo attingono sia direttamente dalla relazione analitica e dalle caratteristiche somatopsichiche dell’analista che dagli incontri nel mondo esterno che vanno a cercarsi a volte in modo febbrile e inarrestabile come guidati dall’intuizione di una verità profonda e dalla fiducia che troveranno il soggetto giusto per mettere in scena personaggi interni in cerca di autore o creare condizioni di sviluppo per le ‘parti non nate della personalità’. (Si può vedere a questo proposito V. Laurora, Creatività e processo, in Psicoterapia Psicoanalitica, n° 1, 2010, Borla, Roma)
In questa creatività vi è l’uso che il paziente fa del setting, il geniale dispositivo inventato da Freud per la cura, e della relazione analitica in modo congiunto. Borgogno ricorda che nello sviluppo del pensiero psicoanalitico la pratica sta a lungo nella mente prima che possa diventare ulteriore pensiero teorico. Così è andata per il setting che ha nel tempo disvelato significati di grande rilevanza. L’esperienza di trattamenti di patologie gravi in istituzione, di trattamenti in vis-a-vis anche ad una seduta alla settimana, ha portato al pensiero psicoanalitico una messe di esperienze che hanno promosso ulteriore sviluppo creativo. Dal trattamento delle patologie gravi è emersa la molteplicità dei livelli compresenti e coagenti nella comunicazione analista-paziente. Si è scoperto anche che il setting è un elemento psicoanalitico molto complesso e suscettibile di funzioni trasformative importanti. Esso consente la coesistenza di livelli multipli di realtà. Infatti oltre a marcare l’interno e l’esterno della stanza di analisi, il tempo dell’incontro e quello del commiato, offre un ambiente primario dove il paziente può depositare le parti indifferenziate. Ma fra i tanti livelli funzionali del setting vi è il fatto che è espressione di una relazionalità primaria che trova, questa sì nell’hic et nunc di ogni seduta analitica, una nuova esperienza e una grande occasione di rilancio dello sviluppo. Il setting vis-a-vis in particolare permette una ulteriore articolazione della relazionalità primaria attraverso l’esperienza di sintonizzazioni affettive rapidamente espresse dalla relazione visiva che permette di cogliere attraverso altri canali una ricca messe di elementi psichici. L’Analista lo mantiene rigorosamente e il paziente lo usa, per consolidare la fiducia di base , ma anche per immettere aree dissociate della mente. E’ come se il setting, insieme al campo analitico che in esso si crea e al gioco transfert-controtransfert che ne modella le linee di forza costituissero un dispositivo relazionale di integrazione del mondo intrapsichico e un sistema di crescita dell’esperienza intersoggettiva. Potremmo considerare l’oscillazione dinamica setting-relazione analitica come un ‘elemento della psicoanalisi’ che caratterizza la psicoterapia psicoanalitica. L’elemento analitico setting-relazione può presentarsi in una forma oscillatoria che mantiene l’unitarietà della situazione analitica o in una forma stabilmente polarizzata che tende a dissociare il setting da quello che vi accade dentro o ancora può andare incontro a vistose disorganizzazioni che traumatizzano l’unitarietà della situazione analitica sia in modo sistematico che come evenienze catastrofiche. (Si può vedere in merito Laurora, Figure e trasformazioni delle aree traumatiche fra setting e relazione analitica, in O. Cellentani (a cura di) Trauma e relazioni traumatiche, Franco Angeli, Milano 2008)
Dal narcisismo patologico ad una relazionalità creativa: una vignetta clinica
Anna, una donna di cinquantasette anni, nubile, in pensionamento anticipato, viene a trovarmi ad un anno dalla morte della madre per un disturbo somatoforme di bruciore e arrossamento della pelle partito mentre assisteva la madre moribonda. (questo caso clinico è raccontato in modo più esteso e completo nella pubblicazione citata prima). Persona orgogliosa, fiera, elegante nelle movenze, racconta una storia punteggiata da eventi emotivamente carichi in senso negativo fatta di episodi fallimento di opportunità evolutive in cui compaiono, la madre, i tre analisti a cui si è rivolta nel tempo e una relazione con un uomo molto avaro di tempo e di cuore: unico punto di riferimento affettivo la sorella gemella omozigote sposata e madre di due figli. A partire dai suoi trent’anni ha fatto tre esperienze analitiche tutte interrotte dopo tre o quattro anni per qualche screzio nella relazione analitica che infrangeva la sua speranza di cura. Come avrei compreso molto tempo dopo, il progetto terapeutico di Anna affondava le sue radici in esperienze molto primarie che nessuno avrebbe potuto elaborare a livello di controtransfert se non si fossero create nella vita della donna le condizioni necessarie a mobilitarne le valenze emotive. La condizione era la perdita della madre, fonte e ricettacolo di tutte le sue privazioni, sofferenze e smarrimenti. Ora la madre non c’era più, ma attraverso le tre esperienze analitiche precedenti aveva creato nella sua memoria un ‘luogo psichico’ equivalente che le poteva permettere di riprendere il progetto evolutivo. La cifra caratteristica della sua modalità espressiva è costituita da una variazione emotiva molto rapida ed estesa nel suo spettro trasmessa con il cambio dell’intonazione e dell’intensità del suono della sua voce: da toni sommessi e morbidi ad acuti irritanti e striduli che inducono disturbo e un certo grado di spavento. Mi accorgo che evita di incontrare il mio sguardo e che mi scinde in una psicoanalista che può aiutarla e in una persona reale che può rovinarla. Le propongo un setting che raccolga entrambi gli elementi: tre sedute alla settimana sul lettino. Attraverso il pianto sommesso, l’intonazione lamentosa e rivendicativa insieme, Anna sembra infilarsi sotto la mia pelle prima che io possa afferrare il senso della sua comunicazione. Questa modalità di contatto, a volte, mi irrita a tal punto da farmi ‘sentire’ quel bruciore che la perseguita sulle gambe e che in me diventa la difficoltà di sentire spazio e libertà di pensiero. Parla molto dei bruciori alle gambe e del pensiero che si tratti di una somatizzazione da cui l’analisi potrà liberarla. Man mano che parla di sè mi rendo conto della sua solitudine, della paura dell’invecchiamento e della morte. Tuttavia appena prima della richiesta di psicoterapia, aveva preso a frequentare un corso di bridge e a fare volontariato in un ospedale pediatrico. Due esperienze nuove e due nuove scene gruppali che si direbbe Anna predispone per organizzare la ripresa di un lavoro psichico su di sé. L’ospedale, infatti, mette in campo lo scenario del bisogno di cura delle parti molto sofferenti e piccole di sè, mentre il bridge esprime il bisogno di esperienze di coppia in cui l’intesa e la reciprocità sono di fondamentale importanza per conseguire un buon risultato. Entrambi i due campi di esperienza vengono utilizzati per alimentare la relazione con me e allo stesso tempo garantirsi di poterla regolare perché lo screzio, la ferita, la perdita traumatizzante di sintonia sono sempre in agguato. Condizionata dalla paura di non essere in grado di modulare la relazione affettiva, Anna è sempre vissuta da sola, privilegiando la realizzazione lavorativa e accontentandosi di relazioni affettive limitate sia per qualità che per quantità. Fin da piccola Anna aveva delegato alla gemella Paola, gli aspetti affettivi nelle relazioni con gli altri, a cominciare dalla mamma, conservando per sé quelli pragmatici, cognitivi e di riuscita professionale. Era Paola che si rivolgeva alla madre direttamente mentre Anna si teneva un passo indietro, aspettando di avere ‘un po’ di mamma’ dalla sorella. Questa particolare unione era stata alimentata dalla paura per i comportamenti imprevedibili e spesso violenti della madre. La donna infatti poteva deriderle, picchiarle per niente e allo stesso tempo passare notti in bianco per prendersi cura di loro quando erano ammalate. Dopo un mese dall’inizio mi racconta il suo primo sogno: “…ero in casa….ma la mia casa sconfinava in quella di mia sorella Paola finendo per costituire un’unica unità abitativa….era come se le cose fossero state sempre così ma me ne accorgevo per la prima volta…”. Il sogno rappresenta la radice affettiva da cui partire per sviluppare la capacità di vivere una relazione di intimità. In questa radice vi è la sorella gemella e sullo sfondo una mamma da non vedere. Nel transfert sono entrambe. Mentre sono chiamata a tollerare controtransferalmente la sensazione dell’assoluta precarietà del nostro contatto che può rompersi da un momento all’altro, alimento un processo comunicativo che promuova in lei un sentimento di efficacia nel condurre la relazione e determinarne l’andamento. Mentre sembra ricavare sostegno dall’appoggio del corpo sul lettino che usa con scioltezza e regola secondo il proprio bisogno, il canale attraverso cui passa la qualità affettiva della relazione è quello acustico: il suono della voce nelle sue qualità tonali, nell’alternanza dei turni nel dialogo, nell’accordo musicale che non deve segnare brusche differenze Quando intervengo è come se accordassi la mia voce per mantenerla in una sufficiente armonia con la sua soprattutto nell’attacco: voci diverse ma con qualcosa di intonato che non traduca la diversità in una tremenda stonatura. Il risultato di questa stonatura coincide nella mente di Anna con l’esperienza di essere schiacciata dall’Altro. La ‘stessa casa’ che il sogno segnala come condizione per sentirsi insieme e avere confidenza, si avvia lentamente a potersi trasformare in una esperienza di contatto tra mondi diversi che possono accordarsi, sintonizzarsi e ritrovarsi. Il tema della rottura della reciprocità nella relazione è molto presente in questi primi anni di analisi ed è rappresentato nei sogni attraverso la figura di una sua caposettore, una donna ebrea molto ricca, piena di sè, senza scrupoli e tutta tesa a renderle difficile la crescita professionale. Sono sogni in cui questa signora le fa sgarbi, la mette alla porta, non le riconosce il contributo sul lavoro. Rappresentano la riemergenza nel transfert della qualità disorganizzata e traumatica delle cure primarie che l’esperienza della seduta le consente di rivivere a piccole dosi e allo stesso tempo riparare. Inoltre la crescita di Anna era stata caratterizzata dalla mancanza di condivisione dei sentimenti positivi. Alcuni anni dopo Anna mi racconterà episodi della vita infantile in cui la madre stroncava le espressioni di gioia che le bimbe avevano verso di lei, quando ricevevano un regalo o qualcos’altro di desiderato. In quelle occasioni Anna si irrigidiva, distoglieva lo sguardo dalla madre e neutralizzava le proprie emozioni guardando il volto della sorellina.Sul piano controtransferale, questo primo periodo della psicoterapia, è caratterizzato dalla sensazione di disporre di uno spazio sottile come un filo di lama per muovermi con lei in sintonia. Il mio sforzo è tutto teso ad allargare questo spazio, dando valore ad ogni suo pensiero e ai piccoli gesti quotidiani della sua vita che prende a narrarmi molto contenta al pensiero che io ci possa vedere cose degne di cui occuparsi. La frequenza trisettimanale delle sedute ci offre lo spazio adeguato per questo lavoro sottile di trasformazione della forma delle sue relazioni primarie. A questa ‘mamma analitica’, analista soggetto/oggetto può accostarsi in maniera indiretta attraverso l’analista gemella che la rispecchia e soprattutto la accompagna a scoprire le sue risorse, a sentirsi come gli altri. Un giorno mi dice: “…lei a volte mi stupisce perché è capace di trovare una pepita d’oro nascosta in mezzo a tanta sabbia…”. Il lavoro si sviluppa in modo molto soddisfacente per cinque anni di seguito in cui avvengono rilevanti trasformazioni sia a livello intrapsichico che nella sua capacità di relazione. Verso il quarto anno di psicoterapia, si riattiva il contatto con la sua città natale. L’occasione è la necessità di ristrutturare la tomba di famiglia, ma in questi viaggi riprende l’amicizia con Maria, figlia di una cara amica della madre che risultava simpatica anche a lei.
E’ il primo racconto di un rapporto buono che coinvolgeva sia lei che sua madre, un nucleo positivo attorno a cui cominciano a condensarsi atmosfere inafferrabili. La sorella gemella e l’organizzazione intrapsichica ad essa associata, vanno un pò sullo sfondo e Anna affronta importanti esperienze affettive in prima persona. Nelle nostre sedute ci spostiamo con la mente dal camposanto al centro della sua città natale per rivisitare tanti ambienti: la casa dell’infanzia, la casa della zia-nonna, la casa dove furono sfollati durante la guerra, le case di vacanza dove andavano per fare i bagni di mare o qualche scampagnata. Il bagno visivo fra le strade della sua città, il bagno sonoro della lingua parlata e lo stile di relazione che caratterizza quella comunità in cui affondano le radici delle sue origini, le rendono possibile lunghi viaggi nella memoria. Così atmosfere emotive, prima gassose, prendono a condensarsi e alimentano un fiume di ricordi.
Anna non è più un fiore spuntato nel deserto insieme alla sua gemellina.
Intanto Maria, l’amica della sua città natale, le presenta un amico da loro molto stimato, Pino, rimasto vedevo da un anno. Anna comincia a pensare di poter concludere l’analisi. Vive bene, ha molti amici e sembra profilarsi la relazione intima con l’uomo. Non sono del tutto d’accordo poiché l’area edipica e il rapporto con il padre non erano stati toccati fino ad allora se non in un modo molto indiretto, ma prendo tempo prima di verbalizzare qualcosa che agli occhi di Anna sarebbe apparsa come una mozione di sfiducia. Come a siglare questa decisione, Anna accoglie l’invito dell’amica Maria e di altri amici per un viaggio in Cina, uno dei pochi paesi del mondo in cui non era mai stata. Questo viaggio promette l’attivazione di aree emotive fino ad allora inesplorate. Al suo ritorno, la foto di un bambino cinese con un paio di pantaloncini muniti di un’apertura che gli permette di fare i suoi bisogni accoccolandosi, sarà l’immagine guida del lavoro successivo. La situazione emotiva di Anna si fa tempestosa a causa della conflittualità nella gestione di una casa comune al mare: quella che la madre aveva lasciato alle due gemelle dopo la sua morte..E’ la rottura/trasformazione di un patto gemellare. Mi sembra che Anna stia usando la nostra relazione per immettervi aspetti della sua relazione con i genitori che erano rimasti in una forma dissociata e quindi non trasformabili per tanti anni e per tante analisi, come sappiamo tutte bruscamente interrotte. Nel desiderio di terminare l’analisi Anna sembra voler innescare un movimento dinamico fra le due polarità della rottura e della relazione in merito al rapporto fra una madre e la figlia che cresce e diventa donna. Nel transfert mi sento chiamata ad essere in parte la sorella gemella con cui vuole ristrutturare il patto inconscio, in parte anche la madre cui osa chiedere il riconoscimento di un posto personale e un confronto più diretto. Il materiale di questo periodo è ricchissimo e allude al riemergere della relazione triadica madre-padre-figlia nel corso della sua prima adolescenza, quando Anna andò incontro ad esperienze di depersonalizzazione. La seguo nell’impresa non senza batticuore. Proprio a questo proposito fa un sogno che mi crea ulteriore ansia: “…sembrava che io fossi affidata ad un medico e che dovevo fare una cura ma ad un certo punto il medico mi infilava un ago nella vena e una sostanza che mi stava facendo perdere la coscienza. Mi mettevo ad urlare, ma le cose ormai andavano. Quell’ago sembrava poi essere un chiodo …”.Questo sogno sembra raccogliere il mio vissuto controtransferale di essere nella posizione in cui Anna fa accadere fra noi qualcosa che non possiamo controllare e che tuttavia sembra riguardare la presenza dell’uomo e la femminilità. Penso abbia a che fare con un nucleo transgenerazionale legato all’adolescenza della madre funestata dal suicidio del proprio padre. Ci lasciamo con un sogno ‘….nel sogno mi risvegliavo da un sogno in cui vedevo una donna che aveva un bambino in braccio e lo lasciava cadere nel vuoto come da un balcone…provavo una intensa angoscia ma poi vedevo che lo riprendeva in braccio sorridendo perché il bambino era caduto su qualcosa di morbido…quando mi svegliavo da questo sogno tirando un respiro di sollievo rivedevo questa volta nella realtà rispetto al precedente sogno la stessa scena…e di nuovo avevo una acutissima angoscia che il bambino sarebbe caduto nel vuoto e di nuovo la donna lo riprendeva perché il bambino cadeva su qualcosa di morbido…’. Le rimando che sente che possiamo affrontare insieme questo passaggio separativo così carico di angoscia di morte perché sente che sapremo utilizzare quel ‘qualcosa di morbido’ che abbiamo creato insieme per vivere un’esperienza separativa non catastrofica. Di questo ‘qualcosa di morbido’, desidera tuttavia averne una prova concreta e così le propongo di incontrarci dopo tre mesi per vedere come va: un morbido materasso su cui cadere. Quando ci rivediamo, Anna prende la poltrona che è di fronte a me, la sposta per avvicinarla e si siede di fronte talmente vicino che i nostri piedi si sfiorano spesso accavallando le gambe. Penso alle due gemelle nell’utero. Torna perché ora è nata una storia d’amore con Pino ma si è presto accorta che la scioltezza conquistata nelle amicizie non le è sufficiente nella relazione intima con l’uomo. Sono molto colpita per la disinvoltura con cui Anna sposta la poltrona per avvicinarsi a me: la disinvoltura dei movimenti nel disporre la poltrona mi ricorda quella con cui sistemava il lettino per sdraiarsi con slancio, ma la nuova posizione spaziale, la fissità dell’espressione facciale, mi parlano di una Anna che non conosco ben presto palesata dalla qualità concreta del linguaggio diventato d’improvviso frammentato nella struttura sintattica e povero di nessi associativi. Mentre sembra darmi delle scarne comunicazioni di servizio con un ritmo rotto e ansioso, mi guarda con molta intensità indicandomi il canale privilegiato attraverso cui, in questa fase, avrebbe potuto dare pregnanza affettiva al nostro incontro. Stabiliamo di riprendere il lavoro una volta alla settimana. Continuiamo in vis-a-vis con le poltrone dirimpetto e così vicine che sembra mi stia seduta sulle gambe, ad avvicinare, conoscere e trasformare l’area traumatica della sua prima adolescenza che aveva ulteriormente compromesso lo sviluppo della sua identità e la relazione con l’uomo. I racconti del suo incontro con il mondo relazionale e soggettivo di Pino, le consentono di rielaborare la rivalità distruttiva e angosciosa con la figura materna che l’aveva gettata nella confusione quando, ragazzina, affrontava i cambiamenti del suo corpo e i segni della maturazione sessuale. Nello stesso tempo può vivere con me esperienze di sintonizzazione di affetti positivi attraverso il sorriso e la responsività gestuale che sostengo e rilancio. L’impatto vitalizzante di queste esperienze è notevole e sostiene l’integrazione fra l’analista del lettino e quella del vis-a-vis, il transfert gemellare e quello materno. Possiamo portare a termine un buon lavoro di riorganizzazione dell’identità femminile e del rapporto con il maschile che le consentirà di stabilire la prima relazione duratura con un uomo. Anna si sposerà per la prima volta nella sua vita, guadagnando anche la fiducia dei figli e dei nipotini del suo partner.