Mura, confini, passaggi, i paesaggi umani, tuttora, costruiscono costantemente barriere e confini, e i paesaggi interni, psichici riflettono un non dissimile confondersi di contatti e disconnessioni, di difese, forclusioni, fusioni e tentativi di integrazione.
Da sempre l’uomo ha costruito mura per disegnare la realtà, da sempre un confine ha segnato il luogo immaginato del non ritorno, da sempre il tentativo di aggirare quel muro, di attraversarlo di ridisegnarlo, ha accompagnato il procedere del pensiero. E’ attorno a questa tematica che si intersecano diversi interventi di questo autunno sul sito del Centro Psicoanalitico di Firenze.
Le mura sono quelle che costituivano il confine attorno all’area di San Salvi, un muro abbattuto negli anni dell’entrata in vigore della legge 180, a conquistare con fatica, contraddizioni, rotture, un contatto possibile con la realtà esterna. Di quell’esperienza e delle sue caratteristiche nell’area fiorentina ci parlano gli interventi di Giuseppe Saraò, Enza Quattrocchi e Bianca Pananti. Lo sguardo di due operatori che come giovani psichiatri hanno vissuto quei cambiamenti e quello di una psicoterapeuta esperta di autobiografie che ha cercato, dall’altra parte del muro del tempo, di ricostruire quel mondo e quei passaggi, attraverso il bellissimo film documentario Col nome del delirio, girato insieme allo storico Simone Malavolti e al videomaker Leonardo Filastò. Un altro intervento, a cura degli operatori della Tinaia, recupera e ricostruisce la storia preziosa del Centro Attività Espressive La Tinaia, e del suo lungo importante lavoro di ricerca espressiva, che ha costituito un deposito rivoluzionario di possibilità di esistenza e resistenza, e un’importante realtà di produzione artistica e di sperimentazione di linguaggi nella realtà fiorentina e non solo.
Muri cingevano le antiche città, confini, protezione, isolamento, traduttori di immagini, mura invisibili ma attive ancora oggi sono quelle che costantemente solleviamo fra noi e la nostra percezione del mondo, nel tentativo di non vedere, di proteggerci attraverso la cecità da realtà o porzioni di realtà che non riusciamo a comprendere, che ci feriscono, che ci spaventano. Su questo un bellissimo intervento di Marina Breccia ci aiuta a riflettere, sviluppando gli echi associativi nati da una rassegna espositiva di notevole importanza culturale Islam e Firenze. Arte e collezionismo dai Medici al Novecento, frutto di una collaborazione tra le Gallerie degli Uffizi e i Musei del Bargello, di cui ospitiamo una presentazione a cura di Paola D’Agostino, direttore dei Musei del Bargello. Questa esposizione è una meravigliosa occasione per conoscere quote di storia non sufficientemente in luce, un modo per ovviare alla cecità di una storia già raccontata, mai assimilata, poco capita. Attraverso la luce di oggetti meravigliosi seguiamo la strada poco illuminata di un contatto fra Islam e Occidente che ha avuto in Firenze uno snodo centrale di conoscenza e cultura.
http://www.bargellomusei.beniculturali.it/page/IN%20PRIMO%20PIANO.html
I muri infine sono quelli attraversati da Marina Abramović, ed evocati nella sua autobiografia (Attraversare i muri) lungo tutta la sua intensa ricerca, una ricerca che viene ripercorsa in questi giorni da una restrospettiva a Palazzo Strozzi, The Cleaner.