Testo della relazione presentata al convegno
“Il contributo della psicoanalisi nei servizi di salute mentale per minori”
Firenze 26.01.2019
Come è stato da più parti sottolineato, in questi decenni è assai mutata la rilevanza e la presenza della psicoanalisi sia all’interno delle discipline psy che nei servizi della salute mentale.
È mutato il clima culturale, abbiamo subito una velocizzazione nelle pratiche sociali, sono cambiate le modalità diagnostiche e di cura, si è imposto il paradigma biologico, è cambiata la politica sanitaria (con l’aziendalizzazione, le scarsità di risorse) … Tutto vero, ma se la psicoanalisi ha perso lo spazio ed il riconoscimento che aveva -sia come modello teorico che come intervento di tipo tecnico- ed è poco presente nei servizi, ciò accade anche perché, da una parte il paradigma psicoanalitico è stato utilizzato a volte in maniera impropria -colmando il vuoto di discipline e saperi che ancora non avevano una loro fisionomia definita- e dall’altra perché l’offerta psicoanalitica non si era abbastanza confrontata con i cambiamenti in corso.
Bolognini (2018) in un recente volume scrive “Il fatto davvero rilevante è che, ci piaccia o no, anche il mondo che cambia intorno a noi contribuisce a cambiare la psicoanalisi. Ciò suona narcisisticamente offensivo e perfino irricevibile per molti psicoanalisti, che sembrano arroccati in una posizione mentale tolemaica piuttosto che copernicana: secondo le loro aspettative, la psicoanalisi dovrebbe grandiosamente condizionare il mondo circostante mantenendosi uguale a sé stessa” (in La cura psicoanalitica contemporanea, a cura di T. Bastianini e A. Ferruta, p. 330)
Però, nonostante i timori che le estensioni della psicoanalisi si traducano in astensione dalla psicoanalisi, mi sembra che la nostra disciplina in questi decenni sia riuscita a cambiare positivamente, cogliendo come occasione di sviluppo le sollecitazioni e le critiche che le venivano mosse. Basta pensare alle accuse rispetto alla mancanza di evidenze di efficacia della terapia psicoanalitica. In questo caso, diversi psicoanalisti si sono arroccati su posizioni comode -ma epistemologicamente deboli- tanti altri psicoanalisti invece e varie istituzioni psicoanalitiche si sono attivati -anche se lentamente- per sostenere la ricerca in tale direzione.
Nel 2012, all’interno di un dibattito sull’utilità o meno della psicoanalisi nei servizi di salute mentale della Gran Bretagna, Fonagy e Lemma affermano che la psicoanalisi è stata espulsa dai servizi della salute nazionale perché è stata accusata sia di non essere riuscita a promuovere una cultura relativa alla valutazione diagnostica sia di offrire risultati terapeutici difficili da misurare e da dimostrare. In contrapposizione a questa tesi, sostengono che da diverso tempo vi sono però valutazioni positive e fondate sull’efficacia delle terapie psicoanalitiche. Inoltre –per confermare l’utilità della psicoanalisi nei servizi- sottolineano che il modello psicoanalitico è uno dei pochi utili a capire come i pazienti possano avere effetti rilevanti sullo stato soggettivo degli operatori che lavorano con loro e sullo stato del servizio nel suo complesso. Affermano infine che la ricerca mostra che non esiste un approccio valido per tutti i problemi della salute mentale, ma vi sono fenomeni e processi (come i limiti della coscienza, le difese, la resistenza al trattamento, i fenomeni di transfert e controtransfert) che solo la psicoanalisi ci aiuta ad osservare e comprendere.
Tutto questo allora come si declina?
Penso che la psicoanalisi nei servizi di salute mentale non consista primariamente nell’offrire dei modelli teorici (utili alla diagnosi e alla comprensione dei casi) o nell’offrire tecniche (come la psicoterapia psicoanalitica, individuale o di gruppo o istituzionale) o nell’offrire pratiche formative (come la supervisione clinica). Tutto questo è sicuramente utile, ma penso che l’obiettivo primario sia quello di sostenere e diffondere una sensibilità psicoanalitica (non un linguaggio psicoanalitico), cioè una sensibilità sia rispetto a ciò che può esserci dietro e intorno al sintomo, sia rispetto a ciò che il sintomo sollecita nel paziente e nel suo ambiente (compreso l’ambiente terapeutico); una sensibilità verso ciò che è accaduto e continua a ripetersi nel mondo delle relazioni interne ed esterne degli utenti, delle famiglie e dei gruppi.
Vari decenni fa Marta Harris (1980), descrivendo i seminari di Work discussion che facevano parte del Corso Osservativo, diceva
In questi seminari non s’insegnano le modalità d’applicazione dell’una o dell’altra tecnica. Lo scopo è di affinare le capacità percettive e di esercitare l’immaginazione dei singoli affinché si addestrino a riconoscere … tutti i possibili significati delle situazioni e dei dati di fatto esposti … Bisognerebbe stimolare gli operatori a non escludere i propri sentimenti personali, riconoscendoli come una componente preziosa della percezione immaginativa, senza la quale ogni rapporto con le persone e ogni lavoro terapeutico o educativo rimangono bidimensionali” (in Formazione e percezione psicoanalitica, a cura di R. Speziale Bagliacca, p. 180).
Penso quindi che nei servizi sia utile una sensibilità psicoanalitica che riesca a sostenere il pensare, il “vivere nel problema”, senza evitarlo o negarlo, oppure senza essere subito spinti a reagire, una sensibilità che sostenga un fare di cui gran parte degli interventi terapeutici si nutrono, un fare che è risultato di comprensione e trasformazione.
Penso quindi a una psicoanalisi che non è tanto utile a costruire psicologie generali, ma che diventa uno strumento funzionale per pensare al caso e al problema.
B. Salomonsson (2004), in un articolo in cui parla del lavoro analitico con un bambino che soffre di ADHD, dice
La psicoanalisi, come strumento di ricerca, è un valido aiuto nello stabilire l’eziologia individuale dell’ADHD … La psicoanalisi è adatta per l’eziologia individuale, ma non per fare generalizzazioni sulla patogenesi (in International Journal of Psycho-Analysis, 85 (1), p.121).
Queste considerazioni sono in consonanza, con quanto afferma Barale (2006) rispetto alla funzione della psicoanalisi nella comprensione dell’autismo [ma non solo], invitando a portare l’attenzione …
su “come” si sono costruite e organizzate dall’interno le storie umane autistiche, piuttosto che sul perché si sono organizzate in quel modo (A. Ballerini e al., Autismo. L’umanità nascosta, p.171).
In tale contesto, la psicoanalisi in questi ultimi decenni ha perso tante certezze ma si è indubbiamente arricchita, grazie all’intrecciarsi al suo interno di vari modelli teorici e grazie alle estensioni sia rispetto al metodo che al raggio degli interventi.
Una decina di anni fa Margaret Rustin (in Richard e Piggle, 3/2009, p. 262) interrogata su come la psicoanalisi possa essere supportata nelle istituzioni pubbliche racconta dei cambiamenti fatti in quegli anni alla Tavistock Clinic. Quanto lei descrive mi sembra un ottimo esempio di come la nostra disciplina possa essere utilizzata in maniera flessibile, adattabile ai diversi bisogni dei tanti pazienti, alle richieste di risparmio e di efficienza che arrivano dalle amministrazioni, alle richieste di efficacia e di validazione che arrivano dai responsabili sanitari.
La Rustin racconta di come una istituzione clinica impostata su un modello psicoanalitico, stesse riuscendo –anche se con tante difficoltà- a mantenere tale approccio, senza timore di confrontarsi ed in alcune situazioni integrarsi anche con metodi assai diversi dal nostro e con la capacità di estendere il modello psicoanalitico ad interventi quanto mai diversificati, distanti dal modello classico della terapia psicoanalitica.
Dice la Rustin A molte persone ciò appare come una minaccia, un tradimento della psicoanalisi, ma altri controbattono che questa apertura permetterà alle nostre idee di penetrare in maniera molto più diffusa … dovremmo ambire a dimostrare che l’attenzione ai fattori inconsci renderà l’approccio più efficace e potrà prevenire il rischio di burn-out cui l’operatore è esposto.
Non credo allora che l’aziendalizzazione, le pressioni delle amministrazioni a risparmiare e a razionalizzare gli interventi siano di per sé fattori negativi, lo diventano quando si declinano in burocratizzazione, pressione a rispondere e liquidare nel più breve tempo possibile le domande che arrivano dagli utenti, facendo sì che non vi sia tempo e spazio per pensare, confrontarsi, mettere insieme le idee del gruppo, facendo sì che il paziente sia visto non come la persona innanzitutto da ascoltare, ma come un problema di cui liberarsi e da cui tutelarsi.
In questo direzione, credo che un rinnovato incontro tra psicoanalisi e servizi della salute mentale per minori, possa diventare un incontro particolarmente prezioso. I servizi pubblici riescono ad incidere a livello di comunità nel suo complesso, rivolgendosi anche a fasce di popolazione che non si avvicinerebbero mai allo studio di uno psicoanalista (per motivi economici o culturali), inoltre offrono servizi multi-professionali di cui i casi complessi necessitano; la psicoanalisi da parte sua offre un punto di vista prezioso, in quanto rivolto ai fenomeni inconsci sia individuali che gruppali, offre un modo di stare con i pazienti utile ad affrontare e non ad evitare l’ansia e l’angoscia -che la sofferenza mentale inevitabilmente attiva- la psicoanalisi infine ha sviluppato una pluralità di interventi articolati che aiutano ad affrontare le problematiche non solo individuali ma anche quelle gruppali ed istituzionali, interventi che si rivolgono agli utenti ma anche ai gruppi di lavoro.
Per arrivare a noi, alla collaborazione tra CPF ed ASL: una forma di incontro tra psicoanalisi e servizi si sta realizzando nel “gruppo misto” che è attivo dallo scorso aprile e che mette insieme psicoanalisti del CPF ed operatori ASL che lavorano con minori (NPI, psicologi ed educatori); è un gruppo di inter-visione che si riunisce mensilmente per discutere di materiale clinico. Insieme alla discussione del caso, sono inevitabilmente emerse questioni generali del tipo: come è possibile agire terapeuticamente in casi complessi, ad es. quando ci si deve occupare di ragazzi che rifiutano di essere aiutati? Come fare a mantenere un livello di pensiero adeguato, a non essere travolti dall’interventismo in situazioni che richiedono risposte urgenti, che sono dense di potenziali pericoli (un esordio psicotico o il sentore che vi sia un abuso intra-familiare)? Come si inserisce l’offerta della psicoterapia all’interno di un progetto terapeutico globale e all’interno dei rapporti tra le varie figure professionali?
Tante domande che necessitano di occasioni di riflessione più ampia come quello di oggi.