Testo della relazione di Paolo Meucci presentata al convegno “Il pensiero di Giovanni Hautmann”.
Firenze, sabato 19 maggio 2018
È con vero piacere che oggi coordino questa giornata di lavori dedicati a Giovanni Hautmann, del cui pensiero teorico e del cui lavoro con gruppi ed istituzioni ci parleranno i relatori.
Da parte mia penso sia utile –per introdurre questa mattinata- riportare innanzitutto alcuni punti della sua biografia.
Hautmann è nato nel 1927 a Firenze, città dove si è laureato in Medicina, dove ha svolto la sua attività psicoanalitica e dove è infine morto nell’ottobre dell’anno passato. Città che per i suoi 80 anni gli aveva per altro tributato un partecipato riconoscimento.
Nell’intervista che ho avuto il piacere di fargli anni fa per Spiweb, raccontava di come alcune esperienze iniziali di lavoro a Firenze avessero influenzato il suo successivo percorso analitico. In questa città fondò e diresse il Centro Medico Psico-Pedagogico e parallelamente il Servizio di Osservazione per Minori del Ministero di Grazia e Giustizia. È lì, nel lavoro con questi bambini e adolescenti e con le equipe che di loro si occupavano, che maturò l’interesse per alcuni elementi che diverranno fondativi nel suo pensiero successivo: l’infantile e la gruppalità.
G. Hautmann iniziò il suo training psicoanalitico, facendo una analisi con Egon Molinari e nel 1963 entrò a far parte della Società Psicoanalitica Italiana.
Raccontava di come la sua formazione sia stata influenzata da alcune presenze analitiche importanti, in primis quelle di Marcelle Spira e di Franco Fornari e successivamente quella centrale di Bion.
Nella SPI divenne didatta, quindi presidente della Società, dal 1986 al 1990.
Ripercorrendo la sua biografia intellettuale, segnalo solo alcuni dei concetti che a mio giudizio hanno una particolare rilevanza e che verranno ripresi dai nostri relatori: il concetto di Situazione Analitica che si articola all’interno del triangolo analitico (1973), il concetto di Pellicola di Pensiero (1976) e di elementi gamma (1978), il concetto di Splitting Cognitivo Primario (1978), il concetto di Funzione Psicoanalitica della Mente. Segnalo poi alcune linee di ricerca che attraversano i suoi lavori e ruotano intorno alla formazione del Sé: la dimensione gruppale della mente, l’esperienza emotiva della passione, la funzione della gemellarità, l’autismo.
Segnalo infine il suo fondamentale contributo relativo al pensiero gruppale e quindi alla pratica dei seminari analitici di gruppo da lui introdotta, grazie alla quale, più di una generazione di analisti si è formata.
A questo punto però vorrei andare oltre le note biografiche.
Poiché la scomparsa di G. Hautmann è recente, credo che in questa giornata a lui dedicata, si intreccino inevitabilmente una tensione scientifica -protesa ad approfondire il suo pensiero- ed una tensione affettiva protesa a rinnovarne la memoria. È in tal senso che mi permetto allora di condividere con voi la mia memoria affettiva rispetto a Giovanni Hautmann, visto che mi sento particolarmente legato sia al suo pensiero teorico, sia alla persona di psicoanalista che è stato per me, sia al collega che ho frequentato.
Ho considerato a lungo Hautmann una sorta di incarnazione della psicoanalisi, una psicoanalisi intesa però non nella sua dimensione teorica, tantomeno nella sua dimensione istituzionale. Dimensioni che peraltro Giovanni Hautmann ha ampiamente partecipato. La dimensione per me significativa da lui rappresentata è quella di considerare la psicoanalisi come funzione.
Scriveva nel 1993:
Da tempo mi pare di dover riguardare all’essenza della psicoanalisi come all’operare di una funzione-pensiero che introduce trasformazione e crescita … In questa funzione pensiero converge tutto quanto costituisce l’assetto mentale dell’analista al lavoro. Assetto di cui si può fare un accenno descrittivo richiamando la capacità di stare col paziente, la capacità di ascoltarlo nelle varie modalità di messaggio, verbali e non verbali; di aggiustare la distanza, avvicinandosi o allontanandosi da lui, dai suoi oggetti, dalle sue relazioni con essi …; la capacità di sintonizzarsi con lui o di intenderlo empaticamente; la capacità di fondersi o di distinguersi, di sentirsi coppia o unità o altro da lui, di coglierlo come polo di una dualità mentale o come mente in sé, ovverosia la capacità di concettualizzarne i suoi aspetti intrapsichici in sé o nel suo modo di strutturare una relazione con noi …; la capacità di tollerarne gli attacchi, le operazioni distruttive, seduttive, e l’amore …. capacità di tollerare le modalità del suo esserci, come del suo retrarsi, venir meno, scomparire; di tollerarne in genere desideri e bisogni …; la capacità di dosare la nostra vigilanza e lucidità sull’orlo di una permeabilità quasi oniroide …; la capacità di tollerare l’isolamento dalla nostra realtà umana nella esclusiva relazione col paziente … sospesi su una specie di penombra di emozioni e sensazioni evocanti la nostra umanità in connessione alla sua; la capacità di attenzione e concentrazione sul pensiero nascente con esclusione di inutili memorie, desideri e conoscenze, per riorganizzare, significandolo, il materiale analitico; la capacità di tutto farne eventualmente parola … parola adeguata alla sensibilità e vulnerabilità dell’orecchio a cui è destinata, oppure farne silenzio … Parola che interpreta e costruisce, in forme che catalizzano insight o edificano sue cattedrali, o che semplicemente attestano l’umano. (1993, In Psicoanalisi futura,pag. 103-104)
Mi sembrano parole bellissime, in cui Giovanni Hautmann è riuscito a condensare l’essenza della psicoanalisi, una psicoanalisi non separabile dall’analista al lavoro e un analista non separabile dalla propria condizione umana. Uno psicoanalista che per poter assolvere ad una funzione trasformativa di riorganizzazione e risignificazione del materiale analitico, deve avere la capacità di stare là dov’è il paziente, deve avere la capacità di attivare contemporaneamente ascolto, sensibilità, tolleranza, modulazione, concettualizzazione e poi capacità di abbandonare tutto questo ritrovandosi in modalità quasi sognanti.
Nella citazione riportata, ci ritrovo tantissimo dello psicoanalista che ho avuto la fortuna di avere, persona di cui si avvertiva una profonda umanità ed un grande rigore, un profondo senso di rispetto ma anche di grande curiosità per l’altro, e poi una sua specifica capacità di raccogliere elementi sparsi del campo, raccordarli tra loro, aiutando a creare nuove configurazioni immaginative ed ideative.
Tutto questo l’ho potuto apprezzare in primis nella mia posizione di paziente, e poi successivamente come collega, sia partecipando all’attività scientifica del Centro psicoanalitico di Firenze, sia partecipando per diversi anni ai Seminari analitici di gruppo da lui condotti presso l’Associazione Marta Harris di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Da quando ho iniziato a frequentare il Centro Psicoanalitico di Firenze, mi sono reso conto di quanto fosse significativa la presenza di Giovanni Hautmann alla vita del centro. Ne è stato a suo tempo uno dei fondatori, insieme a Stefania Turillazzi Manfredi, Franco Mori, Arrigo Bigi e Giordano Fossi. Sappiamo che la vita del centro è stata anche fatta da momenti non facili, per mia fortuna sono arrivato in momenti meno difficili e la mia esperienza di Hautmann nel Centro è stata quella di avere un collega che garantiva la propria presenza costante e significativa alla vita scientifica, fino a quando per motivi di salute non ha più potuto frequentare. Mi sembra che riuscisse sempre a cogliere, a valorizzare e problematizzare in modo rigoroso le questioni centrali dei lavori che venivano presentati, avendo un atteggiamento aperto, attento, puntuale, non certo cerimonioso e contemporaneamente avendo sempre un atteggiamento di riguardo per il collega che presentava.
Inoltre ho avuto la possibilità di frequentare anche i gruppi analitici che si svolgevano prima alla sede dell’AMHPPIA e successivamente a casa sua, gruppi in cui ho potuto apprezzare la capacità di Hautmann di tenere insieme nella propria mente i pensieri e le dinamiche che emergevano dalla discussione, rielaborarli per espandere la comprensione del materiale presentato, e contemporaneamente riuscire a tenere e far lavorare creativamente il gruppo, facendo inoltre sentire il presentatore come un collega a cui essere grati per il materiale che portava, grazie al quale il gruppo poteva attivare la propria funzione psicoanalitica.
Ma di tutto questo ci diranno i relatori. Relatori che appartengono sia alla SPI che ad altre associazioni psicoanalitiche fiorentine, in moda da dare testimonianza del lavoro fatto da Giovanni Hautmann anche al di fuori dell’istituzione SPI, collaborando e formando colleghi dai quali ha avuto un particolare riconoscimento.