Relazione presentata al Centro Psicoanalitico di Firenze il 13 Maggio 2015, che presentiamo per gentile concessione dell’Autore
…non mi preoccuperei per delle interpretazioni inadeguate- io non ne ho mai date di nessun altro genere. Questa è vita reale, non la psicoanalisi romanzata (Bion, 1987).
Il lavoro che presenterò nasce dall’esigenza di riflettere sul rapporto tra alcuni aspetti teorici del modello cui faccio riferimento e la realtà della seduta.
Del modello di campo analitico sottolineo, secondo la felice espressione di Neri (2011), la necessità di un “meticciato”: contaminarsi con altre aree del sapere per trarne vitalità e confrontarsi con i propri limiti. In questo caso le riflessioni cliniche nascono dall’incontro con la narratologia e l’evoluzione del concetto di personaggio.
Campi diversi
La parola campo, con il suo alone semantico ampio e vago, ben si è prestata per definire un modello psicoanalitico debole ma impone, per evitare un eccesso di vaghezza, che gli autori che lo adottano come riferimento dichiarino la loro posizione su alcuni punti nodali.
A mio parere quello che differenzia le varie declinazioni della prospettiva di campo è il modo diverso di pensare la soggettività di analista e paziente, avendo come estremi la posizione di Ogden (in cui le individualità di paziente e analista sono in continua tensione con il terzo analitico) e scelte più radicali in cui le soggettività di paziente e analista, in seduta, transitoriamente lasciano il posto al campo come unica entità (Ferro, 2014; Civitarese, 2014).
Immagino la seduta analitica come costituita da diversi livelli: le vicissitudini delle interazioni transfert-controtransfert, il transgenerazionale, l’hic et nunc della seduta, il campo come livello emergente che nasce dall’originale incontro della coppia e dal modo unico in cui l’inconscio di paziente e terapeuta cercano di fecondarsi reciprocamente.
Sono livelli tra loro comunicanti che l’analista cerca di avere contemporaneamente presenti nella sua mente. In ogni momento uno o alcuni di questi livelli avranno gradienti di illuminazione maggiori e altri saranno transitoriamente oscurati.
Per meglio spiegare cosa intendo, prendo spunto da un’osservazione che, a proposito dell’andamento spiraliforme del dialogo analitico, fa la Katz (2013) in un articolo in cui discute, con atteggiamento critico, i vari aspetti del modello di campo. L’autrice si chiede se la risposta che il paziente dà all’intervento dell’analista, e che in un modello di campo segnala il bisogno di regolare la distanza emotiva, vada considerata proveniente dal campo o dal paziente, o se bisogna immaginare che arrivino due messaggi.
Penso che il messaggio sia unico e complesso e che il livello dell’interazione di campo, in cui quello che avviene è frutto di una funzione che è della coppia e non del paziente o dell’analista, sia un livello non sempre identificabile, non sempre con una “sonorità” sufficiente ad essere colto dall’analista.
Lo sviluppo delle interazioni più importanti avvengono quando la coppia analitica vive momenti in cui si confronta con elementi problematici (gli enctment, le malattie del campo) o nei momenti creativi e originali (momenti di unisono o moment of meeting secondo il gruppo di Boston). E’ il livello al quale l’analista può sperare di attivare trasformazioni originali.
Resistenze (la realtà come polarità rispetto all’onirico)
Un altro snodo si situa nel modo in cui si affronta il rapporto tra realtà, realtà psichica e onirico.
Lo sviluppo di un modello di campo onirico (Ferro, 2014), come evoluzione del concetto di pensiero onirico della veglia di Bion, è condiviso da vari autori (Ogden, 2007; Grotstein, 2007). Pur nella loro diversità, tende a sviluppare in seduta un clima e una modalità di relazione sognante, con un forte accento su alcuni strumenti tecnici: rêverie, talking as dreaming, trasformazione in sogno, dreaming ensemble. In questa prospettiva l’obiettivo principale della terapia è l’espansione della capacità della coppia analitica di sognare.
Mi sono chiesto se la grande attenzione allo sviluppo dell’onirico non nasca dalla consapevolezza che quello che è l’aspetto più raffinato del lavoro analitico non debba continuamente, attivamente, essere ricercato, essere protetto dal concreto dalla realtà che, inattaccabile e inconoscibile in seduta, pure esiste nella quotidianità del paziente ed è esistita nella sua storia. Che lo sviluppo dell’onirico non abbia bisogno di una continua riflessione sulla sua polarità altra: il peso specifico della realtà che “resiste”.
Allo stesso modo penso che sia attiva la ricerca di un assetto mentale che consenta all’originalità della seduta di manifestarsi con effetto di sorpresa, non condizionato da bisogni di conferma della propria teoria o dall’esigenza di trovare sollievo rispetto alla persistenza del dubbio.
Sviluppare l’onirico in seduta può incontrare resistenze che nascono dalla soggettività dell’analista, dai suoi umani disfunzionamenti, dai limiti di trasformabilità di alcuni elementi analitici, resistenze che incontriamo quando i nostri interventi si scontrano con “sensi vietati” che hanno a che fare spesso con l’aspetto inconoscibile e non elaborabile della realtà.
L’immagine che Freud usa negli Studi sull’isteria per descrivere la resistenza, tutto ciò che negli atti e nei discorsi del paziente si oppone all’accesso all’inconscio è un’immagine molto concreta: ricordi raggruppati intorno al nucleo patogeno su strati concentrici che diventano più resistenti quanto più vicini al nucleo.
Mi sembra abbia un punto di contatto con il concetto di Ferraris di Resistenza e Inemendabilità del reale come inevitabile polarità, limite alla trasformazione. Ferraris ne parla come “contenuto non concettuale”, come “non io” che riguarda la parte di esperienza che ha luogo fuori dal concetto e definisce un mondo esterno estraneo al sapere. Il contenuto non concettuale è una resistenza, qualcosa che non può essere azzerato. L’esperienza “in originale” appare stabile e oppone resistenza alle interpretazioni (Ferraris, 2012, 2013).
Immagino che gli elementi analitici abbiano una loro “resistenza” e i vari tipi di personaggi che definirò parlano di questa resistenza. Ovviamente questo non significa che non sia quello della seduta, dello sviluppo delle interazioni del campo l’unico livello al quale l’analista può sperare di attivare trasformazioni.
Personaggi
La conseguenza dei diversi modi di intendere le soggettività nel campo analitico si riflette soprattutto sul modo di intendere lo statuto dei personaggi che entrano in seduta, in uno spettro che va dal considerarli come personaggi storici al considerarli “aggregati funzionali” (Bezoari e Ferro, 1997) cioè entità che non appartengono né al paziente né all’analista e hanno la sola funzione di segnalare i movimenti del campo analitico.
La mia posizione è di ritenere che quando un personaggio entra nel campo acquisisce una qualità particolare, da personaggio interno di uno dei due partecipanti della coppia analitica (ovviamente a gradi diversi di elaborazione ed originalità) diventa un personaggio che il campo inizia a trasformare facendo progressivamente perdere significato alla sua origine.
Non penso che il campo analitico, clinicamente, funzioni come un occhio magico che trasforma immediatamente ogni personaggio che il paziente porta in seduta, pur iniziando a inserire una nuova prospettiva. Immagino che, nell’incontro con l’analista, emerga uno sguardo che inizia a lavorarlo per decostruirlo e renderlo produzione originale della coppia (con vari gradienti di riuscita).
Personaggi e psicoanalisi
Come ha rilevato Foresti (2013), non è casuale che nel 1962 vengano pubblicati Apprendere dall’esperienza di Bion e Opera aperta di Eco e che gli psicoanalisti siano stati influenzati da quest’ultimo lavoro che, pur tenendo conto delle differenze, autorizzava ad applicare al testo della seduta alcuni concetti utilizzati nell’analisi del testo estetico. Soprattutto nel considerare il testo del paziente come opera viva che, nell’interazione con l’analista, acquista una sua unicità e un’inesauribile capacità di produrre prospettive e significati diversi, in una continua oscillazione tra quelli che sono i diritti del lettore e quelli dell’autore (Eco, 1962).
In termini psicoanalitici, il testo proposto dal paziente ha anche la funzione di segnalare lo scarto che il paziente può tollerare come espansione del senso o di portata emotiva della comunicazione.
L’evoluzione del concetto di personaggio ha costituito una base per alcuni sviluppi in psicoanalisi ed è servita anche ad esemplificare il cambiamento che è avvenuto nel passaggio dal modello freudiano classico a quello kleiniano a quello bioniano e di campo.
Nel modello strutturale freudiano i personaggi rappresentano un pensiero, un conflitto che l’analista cerca di mediare, sono tendenzialmente referenziali.
Nel modello kleiniano il riferimento è alla fantasia inconscia sottostante alla comunicazione, protagonista principale. Personaggi decodificabili che corrispondono a fantasie corporee, da interpretare.
La prospettiva bi-personale ha implicato un ripensamento sullo statuto dei personaggi, a partire dalla messa in discussione di una direzione unica e stabile nel gioco comunicativo tra emittente e destinatario, gioco che assume la caratteristica di performance a quattro mani, in cui uno dei livelli comunicativi presenti continuamente riguarda la difficile e continua contrattazione della distanza emotiva tollerabile. (Ferro, 1999).
Nei modelli basati sul concetto di pensiero onirico della veglia e sull’idea di sviluppo dell’onirico in seduta, i personaggi sono stati pensati come aggregati funzionali (Bezoari e Ferro, 1992) che segnalano le trasformazioni, le micro e macro configurazioni patologiche che si presentano in seduta.
Riprendendo gli stimoli della linguistica, l’ipotesi è che la coppia possa progressivamente creare non un Dizionario di personaggi che privilegi la precisione ma un’Enciclopedia che produca risultati meno controllati e verificabili ma nati da un’interazione e in continua evoluzione (Eco, 1983).
I personaggi come fattori della funzione alfa dell’analista
In questa sequenza clinica cercherò di mettere in evidenza la capacità dei personaggi di segnalare piccoli o grandi arresti del processo analitico. Prenderò in considerazione sia le microtrasformazioni in seduta, instabili e reversibili, che possono essere l’inizio di trasformazioni originali della coppia o, al contrario, sintomi iniziali di patologie del campo analitico, sia configurazioni più strutturate.
Nelle pagine precedenti ho sottolineato come a, a mio parere, i personaggi introdotti dal paziente vengano lavorati dal campo ma non immediatamente trasformati in prodotti originali della coppia. Allo stesso modo penso che sia importante sottolineare che la ricerca attiva da parte dell’analista di un modo di lavorare che non occluda la possibilità che il campo possa essere pervio ad ogni nuovo contenuto del paziente, senza che un eccesso di memoria o di teoria possa impedirne uno sviluppo originale, non esclude il fatto che inevitabilmente, tracce della nostra soggettività giochino un ruolo e colorino il modo in cui il materiale proposto dal paziente viene lavorato.
In un precedente lavoro (Mazzacane, 2011), riflettendo sull’identità dell’analista, ho ipotizzato che ognuno di noi mette in gioco, prevalentemente, alcune classi di personaggi lasciando che si trasformino e prendano una forma originale dal contatto con il paziente, che queste corrispondano ai fattori della funzione alfa dell’analista. I fattori che avevo preso in considerazione, pensando ovviamente al mio modo di lavorare erano:
a.Una componente eroica, intesa come capacità di rinunciare ad un’identità forte, a una disponibilità ad immergersi in situazioni emotivamente intense, tollerare gradienti di simmetria elevati (non nel parametro della responsabilità) l’essere portatore di valori oggi non di moda;
- b.La presenza di una componente musicale e ritmica.
- c.L’aspetto ludico, presente soprattutto nel gioco dell’interpretazione del sogno.
- d.La capacità di apprendere dall’esperienza, modificando in corso il proprio orizzonte di riferimento.
- e.La prospettiva medica, come assetto mentale che prevede una presa in carico del paziente e immagina il percorso analitico come una sequenza di lievi o più gravi malattie del campo la cui cura lasci nel paziente una sorta di risposta immunitaria.
- f.La necessità di sentirsi squadra, con i propri autori di riferimento, con il gruppo di colleghi di riferimento, con i pazienti, nell’articolarsi di momenti di collaborazione e conflitto.
- g.La consapevolezza di poter attivare movimenti pericolosi per la relazione.
- h.Il modo in cui ci confrontiamo con la nostra tradizione analitica, senza appiattimenti né istanze iconoclastiche.
Caso clinico – Il materiale del caso clinico, presentato ai soci durante il seminario, non viene pubblicato per motivi di riservatezza.
Bibliografia
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