La vetrina del libraio
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L’arminuta

Donatella Di Pietrantonio, L’Arminuta, ed. Einaudi, 2017.

Recensione di Rossella Vaccaro

 

L’Arminuta, Premio Campiello 2017, è un libro di Donatella Pietrantonio dedicato a un tema a lei caro, come ha dichiarato in un’intervista: “Se è vero che ogni scrittore ha un demone, il mio è la relazione tra madre e figlia. Un tema ricorrente nelle mie pagine, e stavolta ho adottato il punto di vista delle figlie. Ma senza giudicare queste due madri, una naturale e una adottiva (entrambe colpevoli di avere abbandonato la figlia). Eppure, non sta a me giudicarle e condannarle: anche loro sono figlie di qualcosa, di situazioni” (Archivio “la Repubblica”, 17 dicembre 2017).

 

In un caldo pomeriggio di agosto del 1975 e sullo sfondo di un entroterra abruzzese, povero e duro, si avvia la coinvolgente storia de ‘l’arminuta’ che nel dialetto locale significa ‘la ritornata’. La protagonista è infatti una ragazzina di tredici anni che improvvisamente viene restituita dai genitori adottivi a quelli biologici e ai suoi fratelli, senza conoscerne quel motivo che così tanto la tormenterà e che si scoprirà solo alla fine del romanzo. Tutto quello che le viene detto è che quella donna sconosciuta è sua madre e che gli altri figli sono i suoi fratelli. L’ ‘arminuta’ si trova così catapultata in una povertà morale, oltre che economica e sociale, che rende ancora più penosa la nuova condizione in cui è costretta a vivere. Smarrite la certezza delle sue origini e i suoi legami affettivi, tradita da quelli originari, senza più radici e persa una condizione di normalità e agiatezza, l’‘arminuta’ trova nella costruzione di un legame profondo con la sorella minore Adriana e nella passione per lo studio la possibilità di ridare un senso alla sua esistenza.  In un contesto in cui regna l’inadeguatezza degli adulti, l’‘arminuta’ e Adriana appaiono come le sole in grado di esprimere una reale capacità di prendersi cura dell’altro. Adriana è l’unica che accoglie l’‘arminuta’ fin dal suo arrivo, ne condivide il [suo] letto, la guida a orientarsi in un nuovo mondo ingrato e desolante.  Un legame tra le due protagoniste del libro, che costituisce la spina dorsale del romanzo: un legame tra due sorelle, che tali non sono all’inizio, ma lo diventano.

     Un secondo abbandono, due volte orfana: “(…) Dall’angolo più nascosto del piazzale – racconta l’‘arminuta’ – vedevo le finestre illuminarsi e, dietro, l’andirivieni delle sagome femminili affaccendate erano ai miei occhi le mamme normali, quelle che avevano partorito i figli e li avevano tenuti con sé. (…) Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure”(pag.100). Per mettere in primo piano soprattutto il vissuto della protagonista, non conosceremo mai il suo nome: per tutto il romanzo lei sarà soltanto l’‘arminuta’, l’Io narrante del racconto.

   Le pagine scorrono veloci sotto gli occhi del lettore perché l’abilità di scrittura dell’autrice rende la lettura fluida e mai noiosa. La durezza del racconto è bilanciata da una narrazione autentica e originale nello stesso tempo, dai personaggi incisivi, tra i quali spicca senz’altro quello di Adriana. Il romanzo è uno sguardo attento e schietto su spaccati di vita umana dove le dinamiche famigliari sono scandite dall’indigenza e dalla miseria, anche affettiva.

   Certamente, L’ Arminuta è un racconto talvolta crudo, ma anche vero e a tratti delicato, dove non si giudica e nessuno vince, dove la scrittrice descrive, in una prosa asciutta e potente, gli eventi, lasciando al lettore l’eventuale giudizio.

   La storia dell’‘arminuta’ è quella di un dolore e di una rabbia profondi, ma che non riescono a soffocare la possibilità di un perdono e di una speranza. È il racconto di come la vita può essere piena di asprezze, ma è anche il racconto di come una giovane vita può piegarsi senza tuttavia spezzarsi. È la storia dell’attraversamento di un dolore rabbioso, ma anche di un tenace attaccamento alla vita. Un racconto di madri e di figli, di assenze e di drammatiche separazioni, ma anche di vitali risorse. Temi che possono essere scivolosi, ma che la scrittrice rende unici grazie alla sua originalità e capacità narrativa.

 

In veste di sceneggiatrice, insieme a Monica Zapelli e con la regia di Giuseppe Bonito, la scrittrice ha adattato il romanzo al grande schermo. Il film è stato presentato in concorso alla “Sedicesima festa del Cinema di Roma” ed è uscito in sala lo scorso ottobre 2021.

Sempre nel 2021 è uscito un altro libro della scrittrice, “Borgo sud”, finalista al Premio Strega 2021, in cui ha continuato la narrazione del legame tra l’‘arminuta’ e Adriana, e delle loro vite.

 

Rossella Vaccaro

Febbraio 2022

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