LA NEUROFILOSOFIA E LA MENTE SANA. IMPARARE DAL CERVELLO MALATO di George Northoff. Recensione di Elisabetta Bellagamba
(Raffaello Cortina Editore, 2019)
L’autore propone una visione nella quale le neuroscienze e la filosofia si integrano giungendo ad una sintesi su un problema complesso che riguarda la mente, il corpo e il cervello. Da tale prospettiva transdisciplinare Northoff si pone specifiche domande: cosa significa essere soggetti, quali sono gli elementi fondanti che enucleano l’essere pensante, ma anche cosa è la coscienza, e cosa permette di sperimentare il proprio sé nei suoi aspetti di continuità?
Northoff, per rispondere a tali quesiti, parte da un punto di vista diverso con il fine di modificare la visuale attraverso la quale affrontare quello che viene definito il problema difficile, riprendendo il filosofo Chalmers. Questo significa definire non tanto cosa sia la coscienza, ma cosa non sia. Il pensiero dell’autore è che per superare l’impasse del dualismo mente/cervello occorre un campo che esuli dai concetti mentali/neuronali e questo è rappresentato dai disordini neurologici e psichiatrici. Tali disordini alterando il sé, la coscienza, l’identità e l’affettività, possono apportare un contributo alla comprensione di come la mente sana sia collegata al cervello.
Ad oggi, i sofisticati strumenti hanno permesso di comprendere con maggior puntualità le dinamiche neuronali, ma quello che non viene mostrato è come tali attività cerebrali siano trasformate in caratteristiche mentali come il Sé, l’identità e la coscienza. Infatti, il cervello riceve ed elabora gli stimoli che riceve dal corpo e dal mondo esterno, ma allo stesso tempo trasforma “il puro processamento oggettivo dei contenuti nell’esperienza soggettiva” (p. 8). L’aspetto soggettivo della coscienza riguarda il tema del che cosa si prova. Tale componente soggettiva, si chiede l’autore, è introdotta dal cervello? Quando uno stato specifico neurale del cervello viene associato a uno stato mentale come la coscienza? Per adesso, non ci sono risposte e la questione rimane aperta. Infatti, le neuroscienze comprendono come il cervello lavora, opera e funziona ma ancora non è chiaro il passaggio che conduce dagli aspetti neuronali oggettivi del cervello agli aspetti soggettivi mentali.
Ma cosa è la mente? Tra le caratteristiche principali della mente viene annoverata la coscienza. Tale visione, sostiene l’autore, porta con sé, tuttavia, un ulteriore quesito in che modo la coscienza è connessa al corpo e, pertanto, al cervello?
Indicativamente, la coscienza è quando siamo consapevoli, svegli e responsivi agli stimoli ambientali. La coscienza oltre riguardare i contenuti come la percezione e la denominazione di persone eventi e condizioni presenti intorno a noi, riguarda anche noi stessi. In quest’ultima accezione si parla di senso di sé, o self-consciousness, ossia auto-coscienza che rappresenta la maggior sfida per i neuroscienziati in quanto il Sé è presente in modo esperienziale, ma non è possibile osservarlo nel cervello non essendo collocato in una parte specifica.
L’autore cerca di arginare la dicotomia mente-cervello dimostrando che: “lo stato di riposo del cervello e la sua particolare configurazione spazio-temporale forniscono l’input necessario per colmare il divario tra ciò che osserviamo come attività neuronale e ciò che sperimentiamo come caratteristiche mentali” (p 20). Lo stato di riposo viene definito come il mondo interiore del cervello. Tale stato rappresenta un’estremità del ponte mentre l’altra estremità è rappresentata dall’ambiente con i suoi stimoli, e Northoff ipotizza che più le due si avvicinano più è probabile la nascita di quel ponte dal quale si generano caratteristiche mentali come la coscienza e il Sé.
Northoff sostiene che accanto alla visione estrinseca, che vede una stretta relazione tra l’attività neurale e lo stimolo estrinseco è possibile una visione intrinseca, che si basa sulla dimostrazione che il cervello è attivo anche a riposo. In virtù di quest’ultima dimostrazione, l’autore ipotizza un’interazione stato di riposo-stimolo che descrive tutti quei meccanismi mediante i quali lo stimolo proveniente dall’ambiente esterno entra in interazione con l’attività intrinseca. Pertanto, partendo da tale presupposto, Northoff pensa che le funzioni cognitive potrebbero basarsi anche sull’attività intrinseca del cervello e non solo sulle funzioni sensoriali. Infatti, lo stato di riposo del cervello può rappresentare le fondamenta e l’impalcatura della “casa della coscienza” (p 30). Ma cosa è la coscienza? È quando una persona è cosciente?
L’autore partendo da alcune ricerche su soggetti in stato vegetativo usando stimoli self-specific, ossia nome del paziente o eventi autobiografici, ha osservato che tali pazienti erano in grado di differenziare tali stimoli da quelli non self. Tale differenza è resa evidente dall’attivazione delle regioni della linea mediana. Questo dato potrebbe far presupporre, secondo Northoff, che l’attività self related può essere legata alla coscienza in un modo ancora tutto da esplorare. Da ciò sorge l’interrogativo se è proprio la specificità del sé ad avere un ruolo chiave nella coscienza. In particolare, indagando lo stato di riposo cerebrale dei pazienti in stato vegetativo Northoff e i suoi collaboratori hanno messo in luce che i vari stati presentano gradi di variabilità diversi che predicono i gradi di attività self specific. Se la variabilità allo stato di riposo è maggiore risulta essere maggiore anche il grado di specificità del Sé e, a sua volta, è più elevato il livello di coscienza. Lo stato di riposo e la sua variabilità può rappresentare, secondo l’autore, una predisposizione neuronale alla coscienza. Più nello specifico lo stato di riposo dispone il livello di coscienza che si dispiega.
La coscienza, quindi, non può essere slegata dalla sensazione fenomenologica e qualitativa definita come qualia. È per tale motivo che la coscienza è privata e soggettiva, ma quello che rimane come problema è come l’attività neuronale conduca a contenuti coscienti.
Northoff riporta che l’attività intrinseca del cervello abbia una specifica organizzazione, intendendo con questa una struttura spaziale e temporale che fornisce la forma della coscienza. “L’attività intrinseca e la sua struttura spazio-temporale s’impongono agli stimoli integrandoli; ed è questa integrazione che può rendere possibile l’assegnazione della coscienza agli stimoli” (p 49). In sintesi, l’attività intrinseca e la sua struttura forniscono la forma della coscienza. È proprio tale forma che permette la trasformazione di uno stato neuronale a uno stato mentale.
La struttura che permette l’esperienza della coscienza è il Sé che, tuttavia, non può essere osservato dall’esterno e può essere indagato sperimentalmente attraverso l’effetto riferito a sé (SRE). L’SRE è un “complesso psicologico di funzioni e processi” (p 59) che comporta una miglior rievocazione di oggetti di cui abbiamo fatto esperienza. Alcune indagini hanno mostrato che lesioni delle regioni temporale mediale producono un cambiamento nell’effetto SRE fino a sopprimerlo nel caso di lesioni ippocampali.
Il sé non è isolato. Alcune indagini hanno mostrato che le regioni connesse al Sé sono collegate con regioni che collegano il Sé agli altri. Tali regioni mediali coinvolte nell’elaborazione di stimoli self related si attivano all’interno del contesto sociale. Questo porta i ricercatori a presumere che il Sé e la sua caratteristica self-related si costruisca in relazione agli altri e questo significa che il “cervello è intrinsecamente sociale” (p 65). Tale dimostrazione sembra in linea con tutta la teorizzazione di Schore in merito alla comunicazione tra cervelli destri. A questo proposito si può collegare tale affermazione alla teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali (la pulsione è alla ricerca dell’oggetto) e alle più recenti teorie intersoggettive nelle quali il fulcro, in estrema sintesi, è che la crescita mentale può avvenire solo all’interno di una relazione. Basta pensare a come, ad oggi, l’intersoggettività viene rappresentata entro un modello dell’intercorporeità come la teorizzazione proposta da Ammaniti e Gallese (2014).
Nel medesimo tempo si può immaginare come le ipotesi di Northoff possono rappresentare una cornice neuroscientifica per alcune teorizzazioni bioniane riguardanti l’estensione del concetto riguardante l’identificazione proiettiva cosi come formulato nel 1946 dalla Klein. Infatti, Bion pone una differenziazione tra identificazione proiettiva patologia e identificazione proiettiva “normale”. Quest’ultima ha una dimensione interpersonale e comunicativa attraverso la quale il neonato riesce a trasmettere sentimenti ed emozioni non ancora nominabili ad un oggetto recettivo.
Un’ulteriore tassello che aiuta a costruire il problema difficile è la scoperta della sovrapposizione neuronale tra lo stato di riposo e l’attività self related che fa pensare, riporta l’autore, che la soggettività sia localizzata nella stato di riposo del cervello. Si nota come tra cervello, corpo e ambiente esista una relazione importante. Infatti, il cervello può essere concettualizzato solo all’interno della triade Sé, corpo e ambiente. Il Sé è incarnato, connesso strettamente al corpo, ma è anche intrinsecamente connesso all’ambiente. Il Sé è radicato nel contesto ambientale e il concetto di embeddedness descrive proprio tale collegamento. Di conseguenza il sé non è isolato né dal corpo né dall’ambiente e l’attività neuronale è intrinsecamente neurosociale. Da questo si evince come il “Sé è una relazione piuttosto che un’entità, è intrinsecamente relazionale, un processo continuo di strutturazione e organizzazione della relazione tra cervello, corpo, ambiente” (p71). Pertanto, l’attività dello stato di riposo del cervello non può essere concettualizzata né come puramente intrinseca né come estrinseca, ma è contemporaneamente entrambi in quanto è presente un continuo flusso all’interno delle interconnessioni relazionali tra cervello, corpo e ambiente. Tale stato è responsabile, sostiene Northoff, della costruzione della relazione tra cervello, corpo e ambiente. Da questo che si può asserire che la stessa coscienza è relazionale. Questo riporta a varie teorizzazione psicoanalitiche le quali sottolineano che essere inseriti in un ambiente comporta fare delle esperienze che vuol dire essenzialmente esperienza relazionale: nella relazione con l’adulto che lo accudisce il bimbo “impara”. Impara, in primo luogo, le modalità di funzionare emozionalmente: si fondano qui le basi che sono state dette affettive che, in realtà, occupano e occuperanno la quasi totalità del funzionamento cerebrale (Cena e Imbasciati, 2014)
La posizione di Northoff sembra affine in alcuni elementi a quella di Gallese che sostiene come il cervello esprima la propria piena funzionalità solo ed esclusivamente perché legato a un corpo situato in un particolare ambiente all’interno del quale si instaurano relazioni intersoggettive. Da ciò deriva, specifica sempre Gallese (2014), che un approccio neurobiologico alla comprensione dei processi mentali debba concentrarsi come dal sistema cervello-corpo nelle sue situate relazioni scaturisca l’attività mentale.
I risultati delle ricerche neuroscientifiche mostrano i possibili meccanismi neurali che possono far luce su fenomeni clinici già noti. Infatti, nella storia della psicoanalisi vi sono state varie intuizioni che hanno anticipato la comprensione ora permessa da tali scoperte (Gallese, Eagle, Migone, 2006).
BIBLIOGRAFIA
Ammaniti, M., & Gallese, V. (2014). La nascita della intersoggettività: lo sviluppo del sé tra psicodinamica e neurobiologia. R. Cortina
Bion, W. R. (1959). “ Attacks on linking” International Journal of Psychoanalysis, 40. (Trad. it. in Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, cit.)
Bion W.R. (1962). “Learning from experience”. Heinemann. (Trad. it Apprendere dall’esperienza, Armando 1962 )
Cena, L., & Imbasciati, A. (Eds.). (2014). Neuroscienze e teoria psicoanalitica: verso una teoria integrata del funzionamento mentale. Springer Science & Business Media.
Gallese, V. (2014). Quali neuroscienze e quale psicoanalisi?: Intersoggettività e Sé corporeo: Appunti per un dialogo. Rivista di psicoanalisi, 60(3), 687-703
Gallese, V., Eagle, M. N., & Migone, P. (2006). La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività e alcune implicazioni per la psicoanalisi. La simulazione incarnata, 1000-1038
Klein M. (1946) “Notes on Some Schizoid Mechanisms”, International Journal of Psychoanalysis, vol.27, 1946, con alcune note ed un paragrafo aggiunte in “Notes on Some Schizoid Mechanisms” in M. Klein, P. Heimann, S. Isaac, J. Rivière – Development in Psychoanalysis, Hogarth Press, London, 1952. (Trad. it. in: “Note su alcuni meccanismi schizoidi” in Scritti: 1921-1958 – Boringhieri, 1978)