Psicoanalisi e dintorni
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“LA CURA PSICOANALITICA” – di Benedetto Genovesi. Recensione di Elisabetta Bellagamba

Cosa si intende per cura? A Cosa porta la cura, o meglio l’aver cura? Che cosa significa aver cura di? Come nasce il soggetto? Come si sviluppa un Sé nel suo esserci in modo vitale e presente nel mondo? Come si origina il senso e la percezione del proprio sentirsi esistere? Queste sono le domande sottese al testo di Genovesi, il quale, intessendo fitte trame di relazioni tra varie discipline, ci mostra come noi esseri umani siamo un’unità bio-psico-sociale e nel nostro essere dei sistemi dinamici complessi non lineari nell’interazione ci trasformiamo. In modo fluido l’autore spazia passando dalla psicoanalisi, alla fisica quantistica, alla filosofia e alle neuroscienze. È un viaggio, come dice Genovesi nell’incipit, in mare aperto. Dobbiamo essere pronti a recepire i tanti stimoli che il viaggio della lettura ci dona, tollerando, come quando si è in mare aperto, di non riuscire a intravedere la terra ferma. Come chiarisce la relazione di indeterminazione di Heisenberg, non appena si afferra una verità, come la posizione di un elettrone, un’altra verità sfugge via dalla presa, in questo caso, la velocità. E sempre le scoperte della fisica quantistica ci hanno mostrato, come ricorda l’autore, che i risultati dell’atto di osservare sono frutto di un’interazione tra l’osservatore e l’oggetto osservato. La realtà cambia a seconda di chi osserva. Qui veniamo a un altro tema caro all’autore: la relazione. Un elettrone da solo non va da nessuna parte, come è intitolato il primo capitolo. In principio è la relazione afferma anche Buber nei suoi lavori. La relazione è insita fin dal concepimento e “la relazionalità è implicita nel nostro essere (p. 53). “La nostra stessa natura umana è relazionale, sin dalla vita intrauterina, e noi siamo in relazione con l’ambiente che ci circonda” (p.19). In questa relazionalità c’ è un avvolgimento carnale che, come sostiene l’autore, co-genera un campo comune di contatto multisensoriale. In queste prime fasi dell’esistenza di contatto tra corpi, corpo del neonato e corpo della madre, le esperienze si condensano nella sensorialità, la cui memoria sarà conservata in modo implicito, sede dell’inconscio non rimosso. La relazione è incarnata: il toccare e l’essere toccato, il guardare e l’essere guardato. Infatti, l’autore, riprendendo Gallese, ci dice che il tatto, come funzione motoria, e la vista, come funzione sensoriale, sono strettamente collegati e in relazione tra loro. Il neonato guarda la madre, mentre viene nutrito, la tocca, e la respira. La madre vede il proprio bambino. È in questo gioco relazionale di vedere e essere visti che nasce il soggetto, è cosi che si pongono le fondamenta del sentirsi esistere, come l’autore sostiene.

 A partire dalla relazione “si attivano i processi neuro-psico-biologici” (p.59). L’ambiente, inteso in senso stretto come madre ambiente e in senso più proprio come ambiente esterno, nonostante sia presente un auto-organizzazione, sottolinea l’autore, è importante che possa essere percepito come sicuro e rassicurante. Qui Genovesi si collega alla teoria polivagale, la quale fornisce un’importante contributo sulla relazione tra stato viscerale e espressione emotiva. Infatti, come riporta l’autore, lo stato fisiologico contribuisce enormemente alle reazioni di risposta ad uno stimolo. Pertanto, uno stesso stimolo può produrre risposte diverse in base allo stato fisiologico nel quale una persona si trova. Ad esempio, la mobilizzazione cambia la capacità di leggere segnali sociali positivi, mentre l’immobilizzazione può rendere un individuo impermeabile a input positivi. Gli stati viscerali colorano la percezione che abbiamo sia di noi stessi che di quello che ci sta intorno. La strada maestra per la regolazione degli stati affettivi è la comunicazione fisiologica mente-cervello-visceri. I comportamenti di lotta servono per sviluppare quelli di difesa e di aggressività adattivi, come strumenti per tirare fuori gli individui da reazioni di attacco-fuga e traghettarli verso mobilizzazione affettive e di coinvolgimento reciproco. Il primo ambiente sociale, mediato dalla figura primaria, influenza direttamente la formazione finale dei circuiti del cervello infantile, responsabili del futuro sviluppo emotivo dell’individuo.

L’autore ci conduce all’origine relazionale della psicobiologia del bambino, il corpo psicobiologico o meglio i due corpi, nello scambio della relazione che si forma, giocano un ruolo importante nello stabilire le fondamenta della futura vita biologica, fisica, affettiva, cognitiva e sociale. La qualità della relazione, come viene descritto in uno dei capitoli del libro, è determinante in questo senso. La buona relazione primaria fa circolare nel campo tutte quelle funzioni, come la capacità di amare, di pensare, di comprendere le emozioni, che permettono di sognare e, quindi, anche di trasformare ciò che viene sentito come spaventoso e minaccioso. Genovesi sottolinea che è proprio l’equilibrio tra continuità e discontinuità, tra match e missmatch, a dare coesione e costanza non solo al Sé, ma anche alla relazione. È così che il Sé sente di esistere, nella sua complessità e multiformità che deriva dall’incontro con l’altro.

In questo modo, sostiene l’autore, il bambino può sviluppare quella resilienza che gli permetterà di assorbire gli urti senza rompersi. Nella relazione tra due esseri si “generano delle inferenze predittive probabilistiche che hanno il compito di anticipare i bisogni” (p.63), consentendo, così, l’allostasi che promuove quei cambiamenti corporei in “rapporto ai feedback ricevuti nella relazione” (p.63).

Quando, però, l’atmosfera relazionale è intrisa di minaccia e pericolo il bambino sprofonda in uno stato di allerta con il rischio che arrivi all’immobilizzazione e al collasso. Questo porta a un ritiro dal mondo esterno iperinvestendo, invece, un mondo di fantasticherie. “Se non c’è stata o non c’è ancora una buona relazione d’amore con l’oggetto primario, e quindi nulla è ancora accaduto” (p.75) si genera l’angoscia dell’attesa, di un attesa di “non si sa cosa, di qualcosa di sconosciuto che lascia il neonato in uno stato di sconforto, senza aspettative e senza speranza”. E il bambino può sprofondare nell’annientamento, nel nulla.

L’autore, dopo aver posto l’accento sulla qualità della relazione pone, anche, l’accento sulla quantità. Infatti, riprendendo Paracelso, Genovesi sostiene che “la quantità fa la qualità” (p.100), c’è un limite che deve essere rispettato. L’alternanza fisiologica tra presenza e assenza è strutturante, ma qualora tale alternanza propenda eccessivamente per uno dei due poli può diventare destrutturante e antivitale. A seconda del dosaggio e della misura, afferma Genovesi “il piacere può diventare dispiacere e il dolore può trasformarsi in piacere” (p.101). A più riprese viene sottolineata la natura ambigua di alcune esperienze. Nel dispiacere ci può essere piacere. I desideri, alle volte, posso essere pericolosi e generare dolore.

E la cura cosa è? La cura sta “nella relazione tra analista e analizzando” (p.109). La cura è ciò che accade all’interno della relazione che prende corpo all’interno del campo analitico. Proprio nel campo, nel gioco tra analista e analizzando che viene co-costruita una nuova narrazione che riscrive quella passata, trasformandola in “potenzialità evolutive” ( p.120). L’analista cunza l’analizzando. Genovesi ci fa immergere nella lingua e nel calore siciliano. Cunzare, spiega, indica l’atto del prendersi cura e ogni cosa cunzata è “sistemata, riequilibrata, abbellita, insaporita, armonizzata”. La cura passa anche attraverso alla creazione di tutte quelle condizioni che possono portare l’analizzando a vivere la musica degli affetti, tollerando la sinfonia che si genera dall’incontro.

Come direbbe Bion nell’incontro ci sono due persone spaventate. Spavento che si genera dal fatto che nessuno dei due sa che cosa avverrà, come l’altro risponderà, quali emozioni nasceranno dal “toccarsi e dal guardarsi”. Ma la fiducia, riprendendo l’immagine del mare che l’autore spesso ci rimanda, nel saper nuotare permette al soggetto di immergersi e di bagnarsi nelle acque dell’incontro.

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