Venerdì 16 novembre – ore 21.00
La bocca del lupo
di Pietro Marcello
(Italia, 2009, 76′)
Enzo torna a Genova dopo tanti anni di assenza, molti dei quali trascorsi in carcere. Ad aspettarlo nella piccola casa di famiglia nel ghetto c’è Mary, fedele compagna di una vita. La Genova della sua infanzia e dei racconti di suo padre, che l’aveva sempre descritta come una città ideale, sembra svanita nel nulla. Del resto, i ricordi di Enzo sono confusi e i luoghi del suo passato sono stati intaccati in modo profondo dallo scorrere del tempo.
Interviene: Gabriella Giustino
Gabriella Giustino (Centro Milanese di Psicoanalisi) è nella redazione di SPIweb (www..spiweb.it) dove collabora allo Spazio Cinema.
La Bocca del Lupo
di Pietro Marcello (2009)
Verso la distruzione- Verso la ricerca dell’oggetto
Commentare questo film è semplice e insieme difficile. Il regista, con uno sguardo “verista” lucido ed evocativo, racconta amore e miseria tra gli esclusi degli esclusi, indigenti ed emarginati di Genova.
E’ un film ibrido, certamente originale che intreccia liberamente e con maestria la narrazione nostalgica del passato con un documentario del presente spesso duro e mai ammiccante.
La bocca del lupo è percorso da immagini d’una città che non c’è più e di uomini e di donne che non ci sono più. Rifiuti del tempo, sono anche Enzo e Mary, e con loro gli altri uomini e le altre donne che la macchina da presa coglie nel buio dei vicoli stretti che danno sul porto.
Il film sembra raccogliere l’eredità pasoliniana del guardare ai margini del mondo senza giudicare né edulcorare. La descrizione nostalgica e poetica della città di mare, confine tra la vecchia e la nuova storia, teatro di cambiamenti simbolici della nostra società mi sembra alquanto ben riuscita. La voce narrante fuori campo che fa riflettere sulle nuove povertà dei migranti abitanti delle caverne sul mare, che non sono stanziali nè mobili, rende in modo molto efficace la condizione di questi pezzi di società smarriti ed in continua attesa. Interessante e lucida la descrizione del tessuto sociale dei quartieri poveri della livida città portuale, il ghetto della città vecchia dove i genovesi non ci sono più ed al loro posto vivono migranti ed emigranti, piccoli delinquenti e prostitute. Riaffiora nella mia mente la Genova di De Andrè e delle sue ballate e mi sembra che il film si avvicini alla potenza comunicativa di questa musica.
Enzo, emigrato siciliano, e Mary, conosciuta in carcere, nella sezione dei transessuali, hanno un legame amoroso da vent’anni. La storia tra i due, pur nella sua crudezza, non sfugge ad una atmosfera un pò melodrammatica che allude ad un aspetto salvifico dell’amore.
La descrizione dei caratteri dei due personaggi è molto esplicita: Enzo pieno di violenza e rivendicazioni e Mary sottomessa e depressa. Di quale amore dunque si tratta? A me sembra un legame tra naufraghi della vita che può aiutare entrambi.
“Il sentimentalismo” secondo Winnicott, “ contiene una negazione inconscia della distruttività che sottende la costruttività”.
Ho citato questo Autore proprio perchè si è occupato molto delle origini della tendenza antisociale. Freud attribuisce l’azione delinquenziale al senso di colpa inconscio in relazione al conflitto edipico per cui il delinquente commette il reato per alleviare sensi di colpa interni. L’azione criminale esterna è per l’Autore uno spostamento di un crimine fantasticato internamente (parricidio e/o incesto).
Winnicott , invece, pone l’accento sull’ambiente e afferma che le radici dell’atto criminale possono ritrovarsi nelle interazioni precoci tra madre e bambino.
La deprivazione, il mancato sostegno all’Io del bambino in sviluppo “…costringe l’ambiente ad essere importante…”.
Ogni comportamento antisociale, da questo punto di vista, implica all’origine la mancata risposta ad un bisogno. Se l’analista è capace di riconoscere la deprivazione del paziente e di adattarsi ad esso ci sarà la possibilità di scoprire una buona esperienza che era stata perduta. Winnicott quindi giunge alla conclusione che vi è un legame tra deprivazione e delinquenza ed illustra, con molti casi clinici, questa ipotesi. I bambini con tendenza antisociale sfidano inconsciamente la società perché cercano la madre che non hanno avuto.
Credo che l’amore “strano” e un po’ melodrammatico tra i due protagonisti del film si possa guardare da questo punto di vista.
Il fatto che Mary sia una persona transessuale non è ovviamente trascurabile e mi ha richiamato alla mente il drammatico film di Fassbinder “ Un anno con tredici tredici lune”. In questo film la depressione, che spesso sottende il senso di rifiuto delle persone che si sentono di abitare un corpo che è diverso dal genere che si attribuiscono, ha esiti drammatici. L’amore non ricambiato, porta alla distruzione di sé e al suicidio. Spesso le persone transessuali, ripercorrendo la propria esistenza non riescono a trovare tracce di felicità. Talvolta investono di speranza una trasformazione chirurgica del corpo che nella maggior parte dei casi si rivela causa d’ulteriore depressione e senso di confusione d’identità.
Nei primi anni di vita i bambini si riconoscono attraverso gli occhi degli adulti. La prima percezione d’identità dipende dunque dall’immagine che i genitori rimandano al piccolo.
Stoller (1968), un autore psicoanalitico, distingue l’identità sessuale (che si riferisce all’anatomia) dall’identità di genere che consiste nel convincimento soggettivo di appartenere ad un determinato sesso (e che può anche non essere in accordo con l’dentità sessuale). Se predomina una madre apprensiva (che utilizza il bambino come oggetto-Sé) ed il contatto fisico con lei è continuo ed eccessivo, per il bambino non è facile la differenziarsi. I piccoli destinati a diventare transessuali sono bambini molto angosciati che non riescono a separarsi dalla loro madre (Ovesey e Person, 1973). Le componenti ambientali e dinamiche variano ovviamente da caso a caso ma, in generale, questi bimbi soffrono di angosce depressive profonde che limitano la loro vitalità e capacità di crescere.
Di Mary sappiamo che ha alle spalle una storia molto difficile: un grave trauma e rifiuto familiare, periodi di tossicodipendenza, isolamento in carcere.
Eppure l’incontro fortuito con l’uomo forte e muscoloso che la protegge dallo scherno diventa per lei uno scopo di vita, una zattera a cui aggrapparsi che si esprime poi nella formulazione di un sogno. Un sogno semplice, di vita insieme tranquilla e serena che non potrà realizzarsi ma che sosterrà entrambi con la speranza di un futuro migliore.
I due protagonisti dunque sembrano vivere continuamente in una dinamica che oscilla “verso la distruzione-verso la ricerca dell’oggetto”, dove per oggetto s’intende la speranza.
E’ questa oscillazione che li salva dal degrado e che, malgrado le difficoltà, gli restituisce dignità e umanità.
Gabriella Giustino
Buio in sala 2012