di Maria Grazia Vassallo
Commentando mesi fa la retrospettiva di Hopper alla Fondazione Beyler di Basilea, osservavo quanto l’atmosfera emotiva che impregna i suoi lavori risultasse, in quell’occasione, particolarmente risonante con la perturbante esperienza di straniamento che avevamo tutti vissuto nei mesi del lockdown, nella desolata solitudine delle nostre città deserte (vedi commento E. Hopper a Basilea).
E comunque, con l’estate ormai alle porte, allora sembrava potessimo lasciarci alle spalle minacce e pericoli, e dopo la paralisi di quel faticoso e drammatico periodo potessimo tornare a vivere la vita di ‘prima’, rianimando di vitalità il mondo fuori e dentro di noi. Sappiamo bene come è andata e quanto questa speranza sia rapidamente andata delusa, precipitandoci nuovamente in una condizione di ancora più profonda e intollerabile angoscia e frustrazione. La cosidetta “ Pandemic Fatigue” – con il suo carico di disturbi d’ansia, depressione, insonnia, irritabilità, rabbia – è andata emergendo a poco a poco come ulteriore conseguenza psicologica del momento che stiamo attraversando, dove all’angoscia per le vittime, al timore dei contagi, alla preoccupazione per le conseguenze sociali ed economiche della pandemia, va a sommarsi ormai l’insofferenza per il claustrofobico isolamento nei nostri spazi privati e per il restringimento degli spazi di relazione e scambio affettivo.
Tra le tante limitazioni che aggiungono pesantezza al vivere, è precluso anche l’accesso agli spazi culturali, a quei luoghi ove l’arte e la bellezza potrebbero offrire conforto e nutrimento vitalizzante allo smarrimento e l’inquietudine che segnano la nostra esistenza; la bellezza forse non salverà il mondo, ma sicuramente aiuta a sopravvivere, e da psicoanalisti siamo consapevoli di quanto l’arte possa rappresentare un ‘oggetto trasformativo’ in grado di attivare esperienze profonde, aiutandoci a rendere tollerabili emozioni negative e stati mentali di sofferenza. L’arte è infatti anche apertura verso l’interno, contatto con la profondità dell’essere; l’opera d’arte, con la sua forza espressiva, si apre un varco dentro di noi attraverso la percezione e la sensorialità, ci emoziona e ci aiuta a dar forma a vissuti e pensieri che ci abitano a volte confusamente e dolorosamente, rendendoli rappresentabili e maggiormente vivibili.
Pensato espressamente come messa a tema della difficoltà di fare arte e avvicinarsi all’arte in questo periodo, il progetto artistico di JR per Palazzo Stozzi si intitola “Ferita”, e come recita il comunicato del Museo. “…propone una riflessione sull’accessibilità ai luoghi della cultura nell’epoca del Covid-19 […] Palazzo Strozzi diviene così il palcoscenico spettacolare per una ferita, simbolica ma dolorosa, che accomuna tutte le istituzioni culturali italiane e non solo: musei, biblioteche, cinema e teatri, costretti a limitare o a non poter far accedere il pubblico ai propri spazi”.
A chi si avvicina, l’elegante facciata di bugnato di Palazzo Strozzi appare come segnata da una profonda lacerazione, uno squarcio che consente allo sguardo dello spettatore di penetrare all’interno come in uno spaccato architettonico, di ‘entrare’ visivamente in luoghi oggi preclusi al pubblico. Con una monumentale istallazione site specific – alta 27 metri e larga 33, realizzata con un collage in bianco e nero stampato su pannelli di alluminio – lo street artist e fotografo francese JR ha idealmente ‘aperto’ gli spazi museali, rendendo visibili e ricordando a tutti quali preziosi contenuti essi ospitino.
Realizzata come una anamorfosi, l’istallazione fotografica sulla facciata del palazzo è costruita per creare una illusione visiva per cui, se ci collochiamo da una precisa prospettiva, lo sguardo sembra inquadrare diversi ambienti all’interno del palazzo: il colonnato del cortile al piano terra, una parete di biblioteca fitta di libri all’ultimo piano, ma anche una immaginaria sala espositiva in cui si intravedono il Ratto del Gianbologna e la Venere e la Primavera del Botticelli- in realtà ospitate agli Uffizi – , iconiche immagini di bellezza e testimonianze dello splendore dell’arte italiana del Rinascimento.
È potente e suggestiva questa istallazione di JR. Il varco, la breccia nella facciata, mi hanno fatto pensare ad edifici mutilati da una esplosione, aggrediti da vicende belliche o rivolte sociali. Mi è sembrato, in una mia personale lettura, che il lavoro di JR desse voce anche alla rabbia e all’insofferenza che serpeggiano in questa seconda fase della pandemia e alimentano un desiderio di ribellione a reclusioni, chiusure e divieti che ci privano dolorosamente della bellezza del contatto con il mondo. Con la capacità propria dell’artista, JR ha simbolicamente demolito muri, annullato limiti, ha dato corpo a questa fantasia distruttiva trasformandola in una opera d’arte, un’istallazione che possiamo vedere e condividere in uno spazio pubblico, e che ci aiuta ad immaginare e sognare il momento in cui potremo di nuovo avvicinarci alla Primavera, aspettando che torni a risvegliare il mondo alla vita.