Introduzione alla presentazione del libro
I SEMINARI ANALITICI DI GRUPPO DI GIOVANNI HAUTMANN (a cura di Antonino Brignone), Edizioni ETS, Pisa, 1999
svoltasi presso il Gabinetto G.P.Vieusseux, in Palazzo Strozzi a Firenze, il 21 Ottobre 2000
Il trovarsi quì questa mattina, soci di diverse associazioni, Società di psicoanalisi, associazioni di psicoterapia psicoanalitica, sia per la terapia di adulti che per la terapia dell’infanzia e dell’adolescenza dà la misura dell’importanza del lavoro svolto da parte della persona di cui parleremo: il Dott.Hautmann. Uno psicoanalista a tutto tondo capace di cogliere lo sviluppo e il deficitario sviluppo del pensiero in tutte le età del soggetto in cura, la cui lunga carriera, ha consentito a tanti di incontrarlo, a molti episodicamente, ad alcuni con maggiore continuità. Questi ultimi, più facilmente, hanno potuto cogliere, il suo impegno di ricercatore, la sua fatica di studioso, di attento lettore del proprio e dell’altrui pensiero e il suo sforzo costante a costruire una teoria della mente.
La sua profonda conoscenza dell’opera freudiana, lo studio, la elaborata assimilazione del pensiero kleiniano, la frequentazione di tutti i maggiori postkleiniani negli anni 60 70, 80, lo studio del pensiero di Bion, protratto nel tempo, dalla comparsa delle prime pubblicazioni, agli ultimi seminari, fanno di lui uno dei maggiori esperti di un preciso filone della teoria psicoanalitica, teoria che egli stesso ha contribuito ad accrescere e a sviluppare.
Ogni concetto teorico di Hautmann nasce dalla clinica, dal lavoro con il paziente, unica fonte d’incontro con il fenomeno. La ripetizione dell’incontro diviene una sorta di autoconvalidazione che favorisce la sua acuta, attenta e creativa osservazione, da cui, sempre in via deduttiva, la extrapolazione dal novero dei fenomeni noti e la messa a punto della nuova ipotesi concettuale con la definizione e la denominazione di un concetto nuovo.
Non sempre è facile seguire il cammino clinico puntuale di Hautmann, talvolta è necessario un atto di fede, ma certamente tutto si può pensare meno che il suo punto di arrivo sia un qualcosa, almeno per lui, di casuale o non sperimentato. Difficile autore questo psicoanalista, perchè usando sempre il materiale clinico pretende di trasmetterci la passione che lui vive nel suo muoversi con il paziente e l’emozione dello sviluppo del processo analitico, passione ed emozione che noi possiamo vivere nella supervisione e meglio ancora in un seminario clinico di gruppo. Essendo fortunatamente tanti i suoi scritti, ognuno di noi trova un suo filo che gli consente di apprezzare e conoscere la continuità del lavoro di ricerca, i punti di arrivo e i postulati teorici.
Molti sono, come ho detto, gli scritti di Giovanni Hautmann e di essi parlerò per parlare di lui e del suo essere psicoanalista, ne parlerò in un modo che nasce dal saccheggiare i suoi lavori qua e là e ricucendoli secondo un mio criterio interno teso a mostrare il mio modo di pensare e proporre questo psicoanalista, a me particolarmente caro. Se poi lui non dovesse riconoscersi in questo mio ritratto, necessariamente parziale, pazienza, ciò che io gli sto per proporre sarà sicuramente oggetto di trasformazione nella sua mente e se questo significasse costringerlo ancora una volta a lavorare, benvenuto il suo lavoro perchè è a causa di questo e per questo che noi siamo quì.
Ed ecco allora il triangolo magico: “Fantasmi, Interpretazione e Setting” lavoro pubblicato nel 1974, presentato a Roma nel ’73. Un lavoro datato che io considero il suo lavoro più bello e più importante. Un lavoro che postula concetti mai traditi successivamente, sempre attuali, una base per quello che è stato il suo pensiero ed il suo concettualizzare e teorizzare sulla psicoanalisi sempre partendo dalla realtà dell’esperienza clinica.
Forse Giovanni Hautmann allora non era consapevole totalmente dell’importanza di quanto stava asserendo con questo suo lavoro perchè si esprime in questo modo: “Potrei divertirmi a rappresentare tale triade con un triangolo nel quale i vertici, I, S, F, indichino l’interpretazione, il setting e i fantasmi e i lati rappresentino la correlazione che collega circolarmente i tre elementi e che è l’oggetto della nostra riflessione. E, successivamente: “… nè le interpretazioni dell’analista, nè le fantasie dell’analizzando, espresse che siano dalle sue associazioni, dal suo comportamento, dal suo agire nella stanza dei giochi, trovano un fondamento che conferisca loro il senso della verità, di un sufficiente grado di coerenza interna, se non si sviluppano all’interno di quella condizione che chiamiamo setting. Ma per contro la descrizione fotografica del medesimo, non solo è parziale, ma è incapace di trasmettere il senso che esso ha per l’analista e per l’analizzando, se non colto, invece, come sfondo della vicenda fantasmatica che si svolge tra i due protagonisti”.
Vicenda che per Hautmann necessita che la realtà venga scolorita ma che rimanga sempre sullo sfondo “filo tenue ma reale con tutto ciò che è nell’analista l’uomo intero”, per citare le sue parole.
Dicevo prima che forse Hautmann non era consapevole dell’importanza che questa sua semplice costruzione, il triangolo, avrebbe mantenuto nel tempo, certamente era ben consapevole, così come Bion nel suo libro “Gli elementi della psicoanalisi”, della importanza dei tre termini o meglio dei tre elementi della psicoanalisi: fantasia, interpretazione, setting, perchè all’inizio della comunicazione che aveva a che fare con un convegno sull’interpretazione dice: “Non ho intenzione di svolgere i tre argomenti, neppure parzialmente, perchè da soli esauriscono tutta la Psicoanalisi”.
Da “Pensiero onirico e realtà psichica” del 1977 si può cogliere uno sviluppo ed una precisazione del concetto espresso attraverso il triangolo, con una puntualizzazione sul termine “realtà psichica” per distinguersi dal concetto freudiano ove realtà psichica veniva contrapposto a realtà esterna, talvolta espressa anche con i termini “realtà materiale”, ” realtà fattuale”. Ma ciò che Freud chiamava realtà psichica è ciò che noi oggi chiamiamo realtà interna ed Hautmann, nel suo tentativo di significare diversamente un termine di comune accezione, riparte dalla Klein ove la realtà interna, come precipuo oggetto dell’analisi, designa l’universo della fantasia conscia e ed inconscia, che inizia come rappresentazione mentale dell’istinto, in continuo rapporto di interdipendenza reciproca con la realtà esterna e vissuta come qualcosa di variamente concreto, per arrivare, sempre Hautmann, a postulare la realtà psichica come l’insieme dell’attività mentale che organizza la realtà fisica e per la quale si può porre il problema della esplorabilità con il metodo psicoanalitico.
In tal modo egli giunge infine a dichiarare che quella che noi chiamiamo realtà esterna è già il prodotto di una attività organizzativa della nostra mente, della nostra attività psichica che nell’incontro con l’universo fisico lo organizza a vari livelli di complessità a seconda della evoluzione ed integrazione delle nostre funzioni psichiche di simbolizzazione. Ad un certo grado di evoluzione delle medesime scatta la capacità di distinguere tra ciò che nella nostra attività mentale si appoggia sull’universo fisico per costruire la realtà esterna e ciò che si appoggia al Sè, ed al sentimento del Sè, per costruire la realtà interna.
Nuovo anche il concetto di livello onirico del pensiero che si configura cioè come una funzione mentale differenziata, conscio-inconscia, sempre in atto nel sogno come nella veglia, che in particolari momenti del sonno dà luogo al sogno manifesto e che nella seduta analitica fornisce il pensiero di base del “contenitore ludico” che paziente ed analista alimentano in continuazione.
“Contenitore ludico” ecco un’altra formulazione di Hautmann per indicare uno spazio temporale, protetto e favorito dal setting, cioè una condizione atta a generare, sviluppare e conservare il processo analitico, catalizzandolo e contenendolo.
Ma tornando al livello onirico, asse portante, a mio avviso, della teoria che Hautmann ha sviluppato nel corso degli anni, è interessante la sua affermazione quando dice: “credo che il livello onirico del pensiero sia ubiquìtario e sottenda il pensiero della coppia analista-analizzando nella seduta analitica a formare la relazione contenitore-contenuto in opera nella medesima, così come all’interno del paziente durante il sonno, nel sogno, ma anche in ognuno di noi durante le operazioni del pensiero cosciente, nella veglia.
Il livello onirico del pensiero ha una funzione integrativa tale da farne il sistema basale sia dello sviluppo mentale individuale sia del processo terapeutico. è il livello più arcaico del pensiero in cui fa la sua comparsa il pensiero simbolico. Qui nasce il concetto hautmaniano di “pellicola di pensiero simbolico” ovvero momento iniziale della formazione del Sè.
Concetto che lo porterà a formulare una interessante ipotesi sulla etiopatogenesi delle psicosi, dell’autismo, delle situazioni borderline ad esempio, ipotizzando che proprio un difetto primitivo nella organizzazione della pellicola di pensiero simbolico ne sia la causa. Tale difetto sarebbe conseguente ad un processo patologico da lui denominato “splitting cognitivo primario”, cioè una scissione tra componenti dell’attività rappresentazionale e componenti dell’area percettiva e motoria. Da cui alterazioni nella formazione del simbolo.
Lo splitting cognitivo primario sarebbe il corrispettivo patologico della pellicola di pensiero simbolico. Per il difetto della sua formazione i componenti che dovrebbero integrarsi nell’attività percettiva e rappresentazionale restano invece non integrati. Quando ciò accade assistiamo ad una sorta di degenerazione dell’ordine rappresentazionale e dell’ordine percettivo.
Riassumendo con le parole di Hautmann, tratte dal lavoro “Aspetti asimbolici della mente e rapporti col narcisismo nella formazione del Sè dell’analisi dell’organizzazione borderline: Il comparire del livello onirico del pensiero è il segno dell’organizzarsi dell’area mentale del simbolo con la quale soltanto, io direi, può parlarsi di organizzazione del Sè.
Ho indicato questi momenti iniziali di formazione del Sè con l’espressione formazione di una pellicola di pensiero. Tale stato dinamico della mente darebbe il via ad un processo che conduce alla organizzazione di un Sè capace di contattare gli oggetti della realtà fisica, sotto la spinta costruttiva del narcisismo libidico, laddove sotto il dominio del narcisismo distruttivo si può individuare la progressione espansiva dell’asimbolico”..
Di fatto, per Hautmann, la situazione analitica rappresenta una opportunità correttiva, in presenza del difetto di costituzione fisiologica della pellicola di pensiero simbolico, una occasione per il soggetto di fruire della rèverie dell’analista per dare luogo alla costituzione di una iniziale pellicola di pensiero materno-fetale, evento unico che può consentire la ripresa di un processo interrotto o l’avvio di un processo non iniziato.
Vorrei ricordare che Hautmann cita il concetto di rèverie in vari lavori precisando che Bion lo aveva espresso ad Edimburgo nel 1961, presentando la sua teoria sul pensiero, ripresa in “Apprendere dall’esperienza” l’anno successivo e che lui, Hautmann, se ne era occupato nel 65′ a proposito di “controidentificazione proiettiva” dimostrando così, oggi, a noi, come la sua mente venga da lontano.
L’atteggiamento mentale dello psicoanalista al lavoro è sempre stato uno dei motivi di maggiore interesse per Hautmann, sul quale si è sempre battuto e sul quale ha sempre parlato, quasi ad introdurre il suo proprio modo di essere nella supervisione o nella sua conduzione seminariale di gruppo. Un modo da cui non si può prescindere e la cui mancata conoscenza renderebbe spesso non comprensibile lo sviluppo del pensiero che nasce nella sua mente mentre lavora con una persona o con un gruppo su un materiale che non gli appartiene ma che finisce per non appartenere più a nessuno, nemmeno al proponente, perchè subisce una trasformazione apparente con la comparsa di significati precedentemente impensabili, espressione questi ultimi di un processo multifattoriale nato nell’hic et nunc del lavoro mentale della coppia o del gruppo.
Con emozione si può cogliere quanto sopra nella conclusione del lavoro “Il mio debito con Bion”, in cui riprendendo gli ultimi seminari tenuti da Bion a Roma, nel ’77 riferisce il ripetersi dell’espressione “immaginazione speculativa” per indicare l’atteggiamento mentale – comune all’analista al lavoro – con cui nei seminari egli ascolta, comprende e ripropone! e che ad Hautmann sembra la sintesi, in due parole appunto “immaginazione speculativa” del cammino verso arte e scienza, inseparabili a formare la funzione psicoanalitica della mente a cui la rèverie di Bion è approdata.
Arte e Scienza un binomio trasformabile, in psicoanalisi, per Hautmann nella coppia di termini creatività e scientificità che egli esprime attraverso il domandarsi se nella trasformazione di un’espressione verbale capace di veicolare un vissuto di verità del fantasma che si anima in quel dato momento tra i due componenti di quella data coppia analitica, non ci sia qualcosa che partecipa, anche se non vi si esaurisce, di quanto avviene nella trasformazione della realtà, esterna o interna, in opera d’arte, poetica, figurativa o musicale che sia.
Bion, Hautmann ci fanno assistere ad un duetto che, nel rileggere i lavori di Hautmann, prende sempre più corpo fino a costituirsi come un pensiero di coppia armonica, nel quale la cadenza episodica dell’uno consente il fraseggio successivo che stimola, successivamente, la cadenza dell’altro. Il risultato è un concerto che consente, a noi fortunati spettatori, di godere in modo semplice e comprensibile di qualcosa che non facilmente avremmo potuto godere e di cui difficilmente avremmo potuto fruire se avessimo avuto a disposizione i singoli spartiti. Ammesso di essere capaci di leggere la musica, in altre parole di avere una capacità psicoanalitica di fondo.
A questo punto mi rimane solo da ringraziare, con affetto, il Dott.Giovanni Hautmann per avermi trasmesso questa capacità.