Alba Donati Tu paesaggio dell’infanzia, La Nave di Teseo, 2018
Recensione e intervista di Rossella Vaccaro
“Una poesia di sensi e sentimenti, cui si va a raccordare una memoria che s’allunga sui tempi di una consuetudine quotidiana prolungata all’infinito, di modo che, in ogni giorno che passa, e mentre la vita respira, niente vada perduto” (Massimo Onofri, Il sole 24ore, 27 ottobre 2013).
Svincolata da mode e tendenze, in trecento pagine di autenticità, di bene famigliare e civile, di stile ed emozioni, di sentimenti senza sentimentalismo e di pensiero senza retorica, ecco tutte le poesie di Alba Donati pubblicate dal 1997 al 2018 in Tu, paesaggio dell’infanzia, edito da La nave di Teseo, 2018, e dedicata alla figlia Laura Rosa. Il volume è composto da quattro parti: La Repubblica contadina, Non in mio nome, Idillio con cagnolino e Tu, paesaggio dell’infanzia.
L’ultima parte, inedita, che dà il nome alla raccolta, ha per orizzonte il piccolo borgo di Lucignana, luogo natio e ispiratore della poetessa. Se è vero che una mente che incontra una storia non è più la stessa, è per me vero che dopo l’incontro con le poesie di Alba Donati non si è più gli stessi. La sua è una parola forte, convincente, libera, sempre dalla parte dei più deboli o dei più sfortunati, mai dimentica dell’amore per la vita e per gli esseri umani. Una parola che diventa coro senza mai offuscare il singolo, una parola sobria e al contempo determinata. Una straordinaria capacità di comporre versi che immaginano le pieghe del vivere quotidiano, il senso, l’imprescindibilità, anche dolorosa, dei legami famigliari.
Alba Donati è una poetessa ben affermata nel panorama nazionale, scrittrice, critica letteraria e curatrice di molte pubblicazioni, che oggi vive tra Firenze e Lucignana. Presidente del Gabinetto Scientifico Letterario di Firenze è anche fondatrice della scuola di scrittura Fenysia e consulente editoriale de La Nave di Teseo. Il suo esordio risale al 1993 su Poesia nella rubrica “I poeti di trent’anni” di Milo de Angelis. Nel 1997 pubblica il libro di poesie La Repubblica Contadina (City Lights, Premio Mondello Opera Prima e Premio Sibilla Aleramo), nel 2004 esce Non in mio nome (Marietti, premio Diego Valeri, Premio Carducci, Premio Pasolini, Premio Cassola) e nel 2013 Idillio con cagnolino (Fazi, Premio Lerici, Premio Dessì, Premio Ceppo) https://www.spiweb.it/libri/con-autore/intervista-ad-alba-donati/. Quest’ultimo è una raccolta di poesie divisa in Sezioni e al centro del quale ci sono tre generazioni: una nonna, una madre e una figlia, tre donne messe a confronto in un arco temporale di ottant’anni in cui ciascuna di loro si trova a vivere rispettivamente il periodo post-bellico, il boom economico e la società tecnologica. Il libro termina con Il pianto sulla distruzione di Beslan, il punto lirico più alto della raccolta che ricorda i tragici eventi del 2004, e che è stato poi tradotto dal Department of French and Italian, della University of Arizona, musicato dall’Orchestra Regionale della Toscana e infine rappresentato al Teatro Verdi di Firenze nel 2009. Nel 2010 ha creato, con Beatrice Monti della Corte, il Festival degli Scrittori, dove sono stati ospitati scrittori e attori di livello internazionale come Emmanuel Carrère e Jeremy Irons.
Lo scorso agosto sono andata a trovare Alba Donati a Lucignana, un delizioso piccolo borgo dalle case in pietra, la cui origine risale a prima dell’anno Mille; è una frazione del Comune di Coreglia Antelminelli, in Garfagnana, o alta Val di Serchio, in provincia di Lucca, compresa tra le Alpi Apuane e la catena dell’Appennino tosco-emiliano. Un territorio magico, immerso nei boschi di castagni e ricco d’acqua. Ho incontrato Alba nella sua libreria ‘Sopra la penna’ realizzata attraverso un crowdfunding e situata in un piccolo cottage di legno dove ogni libro è scelto accuratamente dalla sua proprietaria, un minuscolo gioiello di 5 metri quadrati circondato da un giardino all’inglese, un gazebo e piante di rose profumate dove si possono gustare thè raffinati in belle tazze di porcellana, in un’atmosfera curata e molto accogliente. L’apertura della libreria è l’inizio della realizzazione di un sogno di Alba esitato in un progetto culturale di cui la libreria è solo la prima tappa. Un’iniziativa che ha visto coinvolte molte delle persone del luogo e sostenuto. Tra il mese di giugno e settembre è stata visitata da circa 1.500 persone.
E per finire lascio al lettore l’opportunità di un incontro più riavvicinato con Alba Donati attraverso l’intervista che mi ha gentilmente rilasciato.
Alba, quando ho pensato di tornare a intervistarti nessuno aveva idea di quanto ci stava aspettando: la pandemia che sta attraversando l’intero pianeta. L’offensiva del coronavirus ha dolorosamente cambiato in brevissimo tempo le nostre abitudini. La domanda diventa inevitabile: come stai vivendo questo periodo così complesso?
È stata l’occasione per tornare a casa. A Lucignana, 170 abitanti, in collina tra Appennini e Apuane. Era una scelta obbligata: ho una madre di 101 anni che deve essere seguita. Ma presto si è rivelata una scelta che andava verso la strada del desiderio. La strada del meno, del poco, dell’essenziale. Il Covid nella sua devastante violenza, su cui c’è tanto da indagare e da capire, ci ha detto che si può ripensare l’affanno in cui viviamo.
La tua poesia, il tuo scrivere sempre attento all’“accadere”, già parla di questa tragica esperienza che accomuna tutto il mondo?
C’è un nodo importante in questa vicenda che da sempre mi ossessiona. Il bene degli altri. L’altro come sorella o fratello. Qui si è fatta strada una condizione nuova: l’amico, la sorella, il padre potevano essere potenziali nemici. Sono condizioni in cui si può dare il peggio o il meglio. Si può scatenare una violenza cieca o invece attivare l’attenzione. È un crinale d’inciampo per molti di noi.
Alba, dopo Idillio con cagnolino uscito nel 2013, ecco Tu, paesaggio dell’infanzia, una raccolta di tutte le tue poesie pubblicate dal 1997 al 2019, compresa una sezione d’inediti che dà il titolo all’opera. Quest’ultima è dedicata a Laura Rosa, tua figlia: è stata la tua musa ispiratrice? Possiamo non essere né madri, né padri, ma tutti siamo stati bambini e tutti conserviamo le tracce indelebili dell’infanzia, un ‘tempo che non passa’ e in cui ci si esercita a essere l’adulto di domani.
Direi addirittura che l’adulto di domani per essere davvero se stesso deve ritrovare il bambino o la bambina che era. Ho fatto analisi per anni e a un certo punto l’ho vista quella bambina allegra, sempre piena di invenzioni, di canovacci teatrali da condividere, che spesso si chiudeva in soffitta per leggere libri che parlavano di altri tempi. Mi ero persa e lei diventò il mio obiettivo. La poesia non registra mai questi cambiamenti doviziosamente ma sono le braci su cui ardono le parole. Laura la mia musa? Certo, lo era già anche prima di nascere.
Lucignana, il tuo amatissimo paesino d’origine di fronte alle Apuane, ispira la tua poesia, insieme ai vividi ricordi della tua infanzia.
Andrea Zanzotto non scriveva se non protetto dalle sue montagne. Io tutte le volte che metto piede sul balcone di sera e vedo il cielo, respiro come se prima non lo avessi mai fatto. E ogni volta penso a L’infinito di Leopardi. Una specie di automatismo. Tornare a respirare e L’infinito. L’infinito e tornare a respirare. Come si fa a non scrivere se non da e di qui? L’infanzia poi non ha accesso mai direttamente, perché è anche tragica, violenta e bisognosa e io non voglio dialogarci direttamente. Ma appare tuttavia con il suo bagaglio d’irriverenze, libertà, sogni.
Non possiamo certo dimenticare la Biblioteca che hai aperto a Lucignana, purtroppo recentemente andata a fuoco. Un incidente o un ‘attacco’? Mi sembra che la tua bella raccolta affermi con forza che la poesia è inestricabile dalla biografia del suo autore. E penso a una delle tue poesie:
Scrivere quattro
Devo lo scrivere alle poche
cose avute in dono dalla sorte
una povertà possidente
di boschi d’ottobre e brina
di dicembre, di rose di maggio
e soffitte arredate di ragni
e vecchi cappotti.
Devo tutto al niente, al caso
come è giusto che sia
Un incidente, o un attacco del destino. La libreria Sopra la Penna, sì, una follia che ha incrociato migliaia di persone desiderose di condividere questa mia follia. Quando ho aperto, nel paesino di 170 abitanti, e ho visto arrivare le persone con i pullman, i camper da tutta Italia, no non potevo crederci ma era la felicità. Lo scrivere lo devo certo anche ai libri letti. La letteratura è una catena magica, quel passaparola di orecchio in orecchio che inevitabilmente cambia la parola di partenza. Vi ricordate il gioco che facevamo da bambini? Nel leggere qualcosa teniamo e qualcosa perdiamo. Così tutto ricomincia da capo.
In Notizie dall’interno (Einaudi, 2013) Paul Auster scrive che niente è meglio che avere 6 anni. In seguito per lui il cambiamento ha coinciso con la consapevolezza di essere ebreo e del conflitto tra i suoi genitori. Un difficile inizio del ‘congedo dall’infanzia’. Com’è stato il tuo congedo dall’infanzia? Le tue poesie certamente la ‘conservano’ con grande cura.
Alle elementari, durante la ricreazione, mi ero inventata di fare con un’amica le gemelle Kessler con tutte le altre bambine che facevano le ballerine. Ci lanciavamo da una finestra e l’ingresso della scuola era il nostro set, il nostro red carpet. La vita era dura. Mia madre era una donna medioevale, le amiche giocavano a Ora ti voglio ora no. I miei erano in una crisi tremenda e l’unica persona che amavo, mio fratello, si sposò e se ne andò. Tuttavia c’erano i sogni, la vita interiore era salda e ricca, poi c’erano le zie, i libri, Dickens, Pippi Calzelunghe.
Mi pare che nella tua raccolta ci sia anche tanto presente, anche questo intriso di sensazioni forti. Compare anche il dolore, ma mai il pessimismo. Una tua grande dote, da dove arriva?
Guarda ne sono consapevole. Essere priva di pessimismo è una forza innata. Non so da dove arrivi, credo da mio padre. Lui è così. Quello che resta da fare, da vivere, è sempre una fortuna.
La tua poesia racconta di tempo e di morte, di amore e di generatività, di guerra e d’ingiustizie. Nella forza con cui celebri tutto questo c’è una straordinaria potenza evocativa, che apparentemente sembra non costarti nessuno sforzo, ma che fluisce naturalmente.
Ti ringrazio, è bello quello che dici, e può dirlo solo il lettore. Comunque vengo da una società contadina, dove l’epos, il grande racconto, la fola, erano terreno comune.
Alba, è molto bella la tua definizione di ‘contado interiore’. Cos’è per te?
Una comunità di persone semplici, anche ingenue ma unite, e al contempo è uno spazio dentro di noi che contiene il bene per gli altri, i bisognosi, in primo luogo.
È stato detto e scritto che con te la poesia italiana ha registrato una svolta: un traguardo e una responsabilità.
Oggi non si sa più a chi si deve correre dietro, ai critici o ai lettori che spesso la pensano diversamente. L’unica è correre dietro ai propri sogni o alle proprie ossessioni. Personalmente amo quel crocevia, dove la storia incrocia la biografia, una sorta di memoir poetico collettivo.
Nelle tue parole, la Storia si esprime nel sentimento di un tempo sia collettivo che personale. In un’epoca in cui la condivisione non è facile, il tuo è un potente richiamo a un ‘noi’ di cui si sono perse le tracce. Le tue parole testimoniano come la tua straordinaria sensibilità poetica non possa che stare dalla parte dei più deboli. Qualcuno ha scritto che nei tuoi versi si può ancora sentire la voce del proletariato, parola oramai archiviata. Che ne pensi?
Vengo da Lucignana, un paese dove nessuno prese mai una tessera fascista, ho un albero genealogico che si ferma ai bisnonni, perché nella povertà le dinastie non esistono, c’è solo una grande famiglia. Questa è una ricchezza che ti radica al‘noi’ a quel proletariato ancestrale dal quale provengo.
Per terminare questo nostro prezioso scambio, Alba, uno sguardo su Firenze, città verso la quale sei generosa e operativa: il Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux, storica istituzione fiorentina di cui sei l’attuale presidente, e la Scuola di linguaggi della cultura ‘Fenysia’, di cui sei fondatrice. Un’istituzione e una Scuola dedicate alla cultura di cui mai come oggi si sente il bisogno.
Firenze è una città che cerca costantemente la sua identità. Il Medioevo, il Rinascimento, l’Ottocento dei forestieri, il Novecento delle Riviste e di Luzi. Tende a chiudersi, a rimpicciolirsi sui suoi miti perché producono budget e turismo. Una eredità splendida e difficile. Ho cercato e cerco di mettere questo sapere sul piatto della contemporaneità, cerco di creare piccole scosse, di far rivivere i classici nelle parole degli scrittori di oggi. Molti appuntamenti sono stati indimenticabili (Murgia- Deledda/ Mari- Gadda solo per far un esempio). Fenysia che ho creato con Pierpaolo Orlando, parte da un concetto semplice: prima leggere poi scrivere. Sembra scontato, ma non lo è.
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