Firenze, Sala “La Colombaria” (Via S.Egidio 23/1 Firenze), sabato 22 gennaio 2005, relazione al Seminario “‘LAVORARE INSIEME. SUPERVISIONE DI GRUPPO E GRUPPO DI SUPERVISIONE”
a cura del Centro Psicoanalitico di Firenze (Sezione Toscana SPI) e della Associazione Fiorentina di Psicoterapia Psicoanalitica (AFPP)
Il tema di cui mi sono occupato nel corso degli anni, prevalentemente dal punto di vista operativo e con qualche riflessione clinico-teorica, è quello del seminario analitico di gruppo.
Con questa denominazione ho voluto fare riferimento, prima di tutto, al “seminario” inteso come un elemento strutturale specifico della formazione analitica che in una sorta di triade affianca gli altri due elementi formativi che sono l’analisi individuale e la supervisione.
Questa struttura formativa, il seminario analitico di gruppo, è, secondo me, il modello operativo auspicabile da privilegiare per l’attività seminariale formativa negli istituti di psicoanalisi ed al tempo stesso può essere esportato fuori dagli istituti medesimi per la formazione degli psicoterapeuti o per la formazione delle diverse professionalità degli operatori negli ambiti istituzionali, comunque e ovunque si ritenga necessaria una base operativa di derivazione psicoanalitica atta alla collaborazione integrata di discipline diverse accanto a psicoanalisti.
Il mia personale percorso è partito dalla conduzione di seminari analitici di gruppo costituiti da partecipanti di professionalità diverse, ha transitato attraverso partecipanti qualificati come psicoterapeuti analitici sia per adulti che per bambini, per approdare a gruppi costituiti da analisti.
I gruppi di seminario sono stati costituiti da un numero variabile di persone, nei casi più fortunati sempre le stesse per una sequenza di molti seminari, con un lavoro di circa 3 ore per seminario. Al gruppo dei partecipanti veniva riferito un paziente: in genere delle note di storia e qualche seduta di osservazione e/o di terapia. Chi riferiva il paziente era uno psicoterapeuta o un osservatore od uno psicoanalista. Si è data anche l’esperienza di una sequenza di seminari il cui oggetto era costituito da un piccolo gruppo di bambini psicotici raccontati al gruppo di seminario dagli operatori che nella istituzione li seguivano nel trattamento come piccolo gruppo.
Vorrei cercare di descrivere il seminario analitico di gruppo da due punti di vista:
– da quello delle modalità di funzionamento del gruppo;
– da quello delle condizioni della mente del paziente quale è rappresentata dal lavoro del gruppo rispetto a come la si rappresenta attraverso il lavoro analitico nella situazione analitica.
Vengo al primo punto: il funzionamento del gruppo ricalca il modello della situazione analitica. Così come nella situazione analitica si instaura una relazione tra analista e analizzando, altrettanto avviene, in questo tipo di seminario, tra conduttore e gruppo dei partecipanti.
Il conduttore favorisce una spontanea e libera produzione di pensieri sull’oggetto presentato al seminario. Ciò istituisce subito una seconda relazione esplicita nel gruppo di seminario: quella tra i partecipanti e l’oggetto raccontato.
Il conduttore interviene sulla produzione di partecipanti nel modo e nei tempi più vari trattando uno o diversi interventi alla stregua di associazioni libere di un paziente in analisi, secondo il disegno congetturale che gli interventi possono attivare nella sua mente, grazie soprattutto alla mobilitazione controtransferale con cui risponde alla produzione del gruppo. Egli tenta a tal fine di rendersi il più possibile recettivo al pensiero gruppale ed al suo controtransfert ad esso, emarginando sia il suo proprio pensiero individuale direttamente suscitato dall’oggetto del seminario, sia la formulazione individuale con cui si manifesta il pensiero di ogni partecipante, per cogliere al di là di essa come veicolo, il risvolto costitutivo di un costruendo discorso gruppale.
L’impegno mentale del conduttore è quindi da una parte centrato sugli interventi, per enuclearvi quel risvolto di senso che può andare a comporre il discorso in cui il gruppo può riconoscersi al di là dei singoli, e dall’altra parte è incentrato su se stesso per cogliere il punto di intersezione tra lo sviluppo di una pensiero gruppale alla cui formazione anche egli contribuisce, ed un pensiero individuale suo proprio tramite cui si afferma il suo ruolo di conduttore.
Credo che questo ruolo sia complesso nel senso che assomma sia le funzioni che Bion segnala come proprie del mistico in rapporto al gruppo, per cui si può dire che è nella mente del conduttore, anche a partire da un suo pensiero pure attivamente distanziato, che si catalizza l’esistenza del pensiero gruppale, sia la funzione analitica sua propria in rapporto all’oggetto del seminario (il paziente raccontato) funzione ad un tempo emarginata dalla mente per recepire e visualizzare la gruppalità, ma anche richiamata per una sua riespressione nei termini di quella gruppalità che la suddetta auto- esclusione attiva ha contribuito a catalizzare.
Dicendolo in altri termini, questa condizione della mente del conduttore riproduce abbastanza la situazione del setting mentale dell’analista in seduta: esperienza del negativo, rapporto con l’ignoto, rapporto con “oggetti enigmatici”, sospensione attiva di memoria desiderio e conoscenza, sono elementi, variamente indicati, propri della mente analitica al lavoro. Così nel seminario analitico di gruppo la mente dell’analista-conduttore assume condizioni pure del tutto particolari inerenti all’ascolto. Equivalente a quanto ora detto circa la mente analitica in seduta, c’è qui una attiva marginalizzazione della propria idea inerente al paziente raccontato. Direi che non è che manchi nell’analista una sua ipotesi interpretativa come avviene in una supervisione individuale o di gruppo, ma direi che questa ipotesi, invece che organizzarsi ed esplicitarsi, va sullo sfondo e si lascia gestire da quegli apporti gruppali che in parte anche sbocciano dai suoi impalpabili semi così come ogni teoria o modello psicoanalitico, presente nell’analista al lavoro, si scolorisce lasciandosi variamente trasformare, assumere e soggettivizzare dalla produzione fantasmatica che si attiva nel campo analitico, ma che a sua volta prende una forma dall’ascolto attentivo dell’analista in cui entra anche il suo sfondo teorico.
In modo analogo a quanto avviene all’analista in seduta individuale in cui lo spazio mentale si apre alla recezione delle proprie fantasie così come a quelle del paziente, nell’analista conduttore del seminario lo spazio mentale si apre alla recezione dei propri fantasmi attivati dal caso raccontato e dai pensieri e emozioni trasmesse dai canali verbali e non verbali della gruppalità seminariale. Nel notare come si possa rintracciare una sorta di setting nel seminario avvicinabile a quello della situazione analitica, ne va sottolineata l’interconnessione con l’apporto fantasmatico che costituisce l’oggetto del lavoro in entrambe le condizioni. Nell’analisi la fantasia inconscia proviene dall’analista e dall’analizzando nel loro incontro mentale; nel seminario proviene dal paziente raccontato, dal gruppo e dal conduttore nel loro intreccio.
Ma oltre che tra di loro, setting e fantasmi si connettono con l’interpretazione. L’ascolto dei fantasmi reso possibile dal setting si traduce nella interpretazione da parte dell’analista. Nel seminario l’ascolto dei fantasmi approda ad una costruzione che equivale all’interpretazione analitica. La costruzione del conduttore in fondo interpreta come la gruppalità del seminario rappresenta il paziente raccontato.
Anche nel seminario si può istituire un processo che raffigura un approfondimento del paziente raccontato, così come nel seminario si mantiene pressochè costante la modalità relazionale tra conduttore e gruppo. Il processo è marcato da delle tappe, la relazione è costante.
L’apporto dei partecipanti al seminario che elabora il racconto che illustra la storia del paziente e la espressione di sè nella seduta e nella relazione con il terapeuta, diventa quindi l’oggetto immediato su cui lavora il conduttore per estrarne una rappresentazione del paziente. Questo apporto dei partecipanti è naturalmente verbale, ma le verbalizzazioni illustranti certi contenuti di pensiero od anche esprimendo affetti, producono un clima emotivo che riceve una configurazione anche da tutti gli elementi comunicazionali ed espressivi che improntano di se la verbalizzazione quali i silenzi, le pause, il ritmo nel succedersi degli interventi, le espressività motorie, la comunicazione diretta di emozioni, di sensazioni, di eventi corporei, per non dire delle variazioni prosodiche del linguaggio, etc.
La produzione nel suo insieme assume livelli di simbolizzazione di qualità diversa e vedendo le cose dal punto di vista dei fenomeni del gruppo, può configurare una preminente dominanza del gruppo di lavoro, così come un crescere dell’organizzarsi in assunti di base. E naturalmente sta al conduttore gestire la situazione del gruppo cercando di utilizzarla come strumento atto alla raffigurazione del paziente raccontato.
Sempre riferendosi al modello della situazione analitica è da segnalare, come già si è detto, che emerge anche nel seminario una processualità, procedendo dall’inizio verso la fine, che porta ad una rappresentazione progressivamente più organizzata di un insieme di sottorappresentazioni parziali che si sono abbozzate durante il percorso. Questa processualità in parte è promossa dal gioco reciprocamente stimolante degli interventi, in parte dall’evolversi della loro matrice di pensiero gruppale, ma soprattutto dalle costruzioni dell’analista che interpretando il fantasma con cui il gruppo si rappresenta il paziente promuove nuovi assetti fantasmatici del gruppo con cui si complessizza la rappresentazione del paziente.
L’aspetto processuale coinvolge anche gli apporti del terapeuta che nell’evoluzione del seminario producono molto spesso più ricche sfaccettature della realtà mentale del paziente e della relazione terapeutica.
Un intervento del conduttore a partire dalle parole di un partecipante è, per esempio, questo:
“Allora è vero quello che diceva la Dottoressa G. che noi ci rapportiamo al materiale della paziente che ci è stato raccontato da quando è sul lettino, in modo diverso da prima; ma credo che dipenda dal fatto che la paziente è entrata veramente in terapia producendo una qualità della di fesa strettamente connessa con la struttura psicopatologica della paziente che si è evidenziata sul lettino”
Va osservato quindi che secondo il conduttore l’intervento della Dottoressa G. segnala un modo diverso, da quando la paziente è sul lettino, del nostro modo di rapportarsi al materiale. La Dottoressa G segnata con il suo “Noi” una condizione del gruppo seminariale e la collega al materiale raccontato quando la paziente passa dalla posizione vis-a-vis al lettino. Il conduttore interviene su questa segnalazione di una variazione recettiva gruppale e ne propone la ragione nell’effetto del comportamento difensivo della paziente che porta nella seduta analitica la manifestazione di una sua struttura psicopatologica.
Il conduttore quindi non ha fatto qui una proposta atta a comprendere la situazione dal materiale direttamente raccontato, ma dal vissuto gruppale inerente a questo materiale segnalato da un partecipante.
Ma dopo questo intervento il conduttore prosegue: “…. dobbiamo tenere presente che il racconto di questo materiale (cioè delle comunicazioni della paziente da quando si è messa sul lettino) ha attivato una enorme creatività nel gruppo…. “, etc. dopodichè il conduttore, lasciando il sospeso il contenuto di numerosi interventi, si chiede se la terapeuta ha potuto rispondere con la stessa creatività alla paziente o se l’attuale fermento ed affioramento di molti punti di vista, non segnali nella relazione terapeutica un blocco del controtransfert.
Il discorso andrà avanti passando per l’ipotesi che questo blocco fosse indotto dalla violenta proiezione nella terapeuta da parte della paziente di una scissione di sue due diverse aree psicopatologiche. Ma è la creatività del gruppo che ha permesso al conduttore di interrogarsi sulla situazione controtransferale della terapeuta, dopodichè il conduttore riprenderà alcuni contenuti di alcune tesi di partecipanti e formulerà dentro di sè l’ipotesi di una scissione che la paziente violentemente proietta nella terapeuta accecandone la ricettività emozionale per una certa sua area1.
Mi sembra a questo punto di avere a sufficienza illustrato il funzionamento del seminario analitico di gruppo con particolare riferimento alla relazione conduttore-gruppo. Verrei adesso ad alcune riflessioni sul secondo punto, quello di come viene rappresentata la mente del paziente nella situazione analitica e nel seminario analitico di gruppo.
Ho già richiamata l’equivalenza tra l’interpretazione/costruzione in analisi, strettamente interdipendente dal setting e dalla costellazione fantasmatica, e le costruzioni cui il conduttore approda nel seminario. Va però naturalmente tenuto ben presente che l’interpretazione analitica è una comunicazione che avviene all’interno di una relazione, e su cui in buona parte la relazione si fonda, e che pertanto implica sempre un momento interattivo. Questo momento interattivo tra conduttore e paziente manca nel seminario ove invece è spostato sulla relazione tra conduttore e gruppo.
Naturalmente è necessario parlare della interpretazione perchè quello è il luogo in cui è esplicitata la rappresentazione del paziente. Nell’analisi e nella costruzione seminariale prende ivi forma la significazione del paziente in tutti i suoi aspetti intrapsichici, interpersonali, sia strutturali e storici che relazionali, ma mentre nella interpretazione analitica questa messa in forma veicola un vissuto comunicativo, nella costruzione seminariale questa interazione, con le emozioni trasformative che comporta, riguarda il gruppo del seminario e lo psicoterapeuta che viene a farvi parte, ma non il paziente.
Parlando della componente comunicativo-interattiva della interpretazione mi attengono al modello analitico relazionale e quindi alla relazione transfert-controtransfert classicamente inteso. Per approfondire il tema delle differenze di come il paziente viene rappresentato dalla interpretazione che si produce nella seduta rispetto a come viene rappresentato dalla costruzione che si produce nel seminario, mi è utile pensare alla interpretazione cercando di distinguerne due sue componenti.
Già nel 19732 scrissi a proposito dell’interpretazione di quegli aspetti “che combinano strettamente insieme quanto espresso dal materiale emergente nel processo analitico, con il modo di fondo con cui paziente trasforma e vive il setting, lo esprime nelle modalità di comunicazione delle sue fantasie e l’analista lo coglie e lo esprime nel suo modo di interpretare”. Aggiunsi che al di là del contenuto sono le modalità espressive in cui l’interpretazione è formulata che determinano delle difficoltà quando si cerca di condividere il racconto della seduta con un gruppo di colleghi. Riferendomi ad una esemplificazione clinica, cercai di riflettere sulla struttura linguistica dell’interpretazione al di là del suo contenuto, parlai dell’interpretazione come significante, intendendola come struttura portante del significato proposto. Segnalai l’importanza dell’aspetto formale descritto perchè il contenuto che si intendeva trasmettere potesse effettivamente raggiungere il paziente. Parlai anche del fatto che era in questa forma di significante che si poteva cogliere una funzione di specchio rivelatore delle fluttuazioni del grado di concretezza delle modalità di pensiero espresse dal paziente nel suo rapporto transferale.
A distanza di oltre 30 anni, il lavoro di Joan Coderch “Un contributo alla concezione pluralistica della psicoanalisi”3 chiarisce ulteriormente il punto; l’autore scrive:
“Ogni atto interpretativo, in virtù di essere un atto linguistico comprende due distinte componenti in accordo con la linguistica attuale: una, più visibile delle altre, è denominata semantico-referenziale ed è costituita dalla proposizione o dalla unione di proposizioni sulla realtà della mente del paziente, le quali possono essere vere o false; l’altra componente, più implicita, è denominata pragmatico-comunicativa, ed è una azione che esprime la soggettività di chi parla e le sue intenzioni verso l’interlocutore”.
Coderch aggiunge che mentre l’aspetto proposizionale è collegato alle teorie psicoanalitiche, l’aspetto pragmatico-comunicativo è espressione della personalità dell’analista e di come questa traduce il pensiero, la coerenza interna, il desiderio di aiutare, comprendere e farsi comprendere. Anche, io direi, come traduce nella interpretazione la temperatura e la distanza di cui ci parlò Meltzer e tutto ciò che attiene al clima del setting in quel dato momento.
Mi pare che la mente del paziente in analisi ci si dispiega nella sua realtà attraverso forme che configurano un modo reciproco di viversi e comunicarsi dei protagonisti della coppia; la mente del paziente raccontato nel seminario ci si dispiega attraverso la descrizione semantico- referenziale che ne fa il conduttore, le cui proposizioni danno un quadro della sua realtà mentale che vale in sè, al di fuori di un momento comunicativo. Tuttavia i momenti comunicativi si sono moltiplicati nel processo seminariale attraverso i vissuti che ogni partecipante ha provato ed in base al quale ha espresso le proprie congetture e contribuito al coagularsi nel conduttore di un pensiero gruppale. Quindi la componente pragmatico-comunicativa dell’interpretazione ha partecipato a livello del lavoro del gruppo alla costruzione finale di tipo contenutistico-proposizionale che raffigurerà la mente del paziente. Credo che questa componente linguistica pragmatico-comunicativa, pregna di emozioni, ancorata alle persone concrete, abbia messo in scena tanti aspetti del paziente raccontato attraverso processi identificatori continui tra ogni partecipante e il paziente raccontato. Credo che si possa vedere il seminario nel suo svolgersi come l’animarsi di aspetti del paziente nelle forme comunicative dei partecipanti che diventano personaggi che incarnano la molteplicità degli aspetti del paziente. Estraendone il conduttore la dimensione gruppale, istituisce il punto di congiunzione che permette il passaggio dalla dimensione pragmatico-operativa alla dimensione proposizionale semantica-referenziale che alla fine restituisce all’ambito dell’oggettività, l’esperienza della soggettivizzazione del paziente che il seminario ha elaborato nella processualità del suo lavoro.
1 Questo materiale può essere letto nei dettagli nel libro: Antonino Brignone “I seminari analitici di gruppo di Giovanni Hautmann”, ETS, Pisa, 1999 (pagg 136-143).
2 Hautmann G. Fantasmi, interpretazione e setting. Rivista di Psicoanalisi, 1974, XX
3 Coderch J. Un contributo alla concezione pluralistica della psicoanalisi. Rivista di Psicoanalisi, 2004 N° 3