Psicoanalisi e dintorni
Lascia un commento

“Freud ed il suo compagno segreto” di Elisa Casini

Freud e Fliess
Articolo pubblicato in forma integrale nella rivista “AeP Adolescenza e Psicoanalisi”, anno XV – n.1 – maggio 2021 (pp. 71-80).

Era l’anno 1887. Due uomini si incontrano all’università di Vienna.

Uno era Sigmund Freud, aveva trentun anni e teneva lezioni sull’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso. L’altro era Wilhelm Fliess, un otorinolaringoiatra di Berlino, di poco più giovane, che intraprese un viaggio di studio a Vienna e in tale occasione frequentò le lezioni di Freud.

Dalle loro discussioni scientifiche sorse una mutua simpatia che progredì subito per Freud nel desiderio di approfondire la loro conoscenza. Il 24 novembre 1887, poco tempo dopo il loro primo incontro, scrisse a Fliess:

“Egregio amico e collega, la mia lettera odierna è dettata da un motivo professionale, devo però iniziare confessando che spero di poter proseguire il rapporto con Lei, e che Lei mi ha lasciato una profonda impressione, la quale potrebbe facilmente indurmi a comunicarLe schiettamente in quale categoria di uomini sento di doverLa collocare” (Lettera 1) [2].

 

Sulla loro amicizia si fonda la nascita della psicoanalisi.

Entrambi ebrei, giovani medici, interessati ad aspetti che esulavano dai campi della medicina classica, mossi da ambizioni scientifiche potenti, strinsero una relazione sempre più intima. “Senza Fliess – afferma Anzieu (1976, p.138) – la scoperta della psicoanalisi non avrebbe avuto luogo”. Fliess “ebbe un’importante funzione per lo sviluppo del pensiero scientifico di Freud, in quanto ne divenne per molti anni il confidente” (Musatti, 1967, p.XXIII). Freud teneva in gran considerazione il parere dell’amico, gli esponeva le sue riflessioni teoriche sia in periodici incontri a due, che chiamavano ‘congressi’, sia attraverso una fitta corrispondenza.

Il loro epistolario, compreso in un arco temporale di diciassette anni, dal 1887 al 1904, rappresenta la testimonianza più completa del travaglio interiore che visse Freud nel periodo in cui dalla medicina si orientò verso l’elaborazione della psicoanalisi. Nelle lettere le vicende umane s’intrecciano con l’emergere delle ipotesi teoriche, scopriamo in nuce i concetti che Freud ha sviluppato lungo tutto il corso della sua vita. Sembra aver impiegato il tempo a venire per chiarire e articolare in una costruzione teorica coerente i nuclei centrali delle sue ipotesi, emerse proprio negli anni dell’amicizia con Fliess. Dagli Studi sull’Isteria (1895) fino alla Psicopatologia della Vita Quotidiana (1901), passando per l’opera magna L’interpretazione dei sogni (1899), Freud ha condiviso con Fliess il periodo più fertile della sua produzione.

Freud si sentiva isolato nella comunità medica, il suo scandagliare la vita sessuale lo pose dinanzi alle resistenze della società positivista del tempo e Fliess fu per molti anni il suo unico interlocure:

 “Di che cosa non ti sono debitore! Conforto, comprensione, incitamenti nella mia solitudine, significati della mia vita, che io debbo a te, e da ultimo anche la salute, che nessun altro mi avrebbe saputo ridare” (Lettera 85, 1 gennaio 1896).

 

Freud innalzò progressivamente l’amico Fliess, ne fece un medico eccellente e un pensatore sopraffino. Che funzione dunque ha avuto questa amicizia per Freud?

Secondo Jones (1953, p.254) “che un uomo quasi maturo, felicemente sposato e padre di sei figli, nutra un’appassionata amicizia per un individuo a lui inferiore intellettualmente, e che gli sottoponga per diversi anni i suoi giudizi e le sue opinioni è un fatto pure insolito, sebbene non del tutto nuovo”. Eppure quando nel 1936 la principessa Marie Bonaparte, allieva di Freud, lo informò di aver acquistato alcune sue lettere da un mercante d’arte e che a venderle era stata la vedova del destinatario, Ida Fliess, Freud ne fu profondamente scosso. Si disse grato alla Bonaparte e concluse perentorio: “Vorrei che nulla di tutto ciò venisse a conoscenza dei cosiddetti posteri” (Fachinelli, 1989, p.154).

Che l’epistolario fosse scottante lo dimostra il destino controverso che ebbe fino alla sua pubblicazione. La Bonaparte, comprendendone il valore storico e culturale, trasgredì l’ingiunzione del Maestro e dopo alcune peripezie belliche riuscì a mettere in salvo le lettere che furono pubblicate a cura di Kris, con la supervisione della figlia Anna Freud, nel 1950, ovvero ben undici anni dopo la morte di Freud, e soltanto in edizione parziale, a causa di numerose e deliberate omissioni. L’epistolario ci è giunto in forma integrale molti anni dopo, nel 1985, a cura di Masson.

Di che cosa Freud aveva timore? Quale segreto contenevano le lettere?

Sono molti gli Autori che studiando l’epistolario evidenziano una corrente omosessuale nel legame Freud-Fliess. Masson afferma che la relazione tra i due fu certamente amorosa e che Freud stesso “era solito parlare della componente omosessuale di questa amicizia” (Freud, a cura di Masson, 1985, p.21). Entrambi gli amici ritenevano inoltre che tutti gli individui avessero una predisposizione alla bisessualità psichica, come concettualizzato da Fliess. Scrive Freud:

“ […] non vi può essere alcun sostituto per il contatto con un amico che una particolare, quasi femminile, parte di me chiede” (Lettera 244, 7 maggio 1900).  

 

La loro amicizia si ruppe quando Fliess attaccò pubblicamente Freud proprio per averlo derubato delle sue idee sulla bisessualità presenti nelle opere di autori della cerchia freudiana. La difesa di Freud fu piuttosto debole e imbarazzata, prese distanza dalle accuse e attenuò l’originalità del tema ma, in conclusione, lo scambio epistolare svoltosi tra il 20 e il 27 luglio 1904 sancì una dolorosa separazione dall’amico più caro “con Freud accusato di slealtà e di indiscrezione e di certo convinto, nel profondo, di essere per l’essenziale colpevole” (Fachinelli, 1989, p.151).

Seppure – come afferma Jones (1953, p.281) – “l’argomento della bisessualità rimase evidentemente penoso per entrambi” era stato davvero sufficiente a dividerli?

Al lutto della fine dell’amicizia con Fliess, Fachinelli (1989) collega il famoso malessere che colpì Freud sull’Acropoli, descritto nel saggio “Disturbi di memoria sull’Acropoli” (Freud, 1936). Freud interpretò il suo disturbo in riferimento al conflitto edipico, come se arrivato ‘in cima al mondo’ avesse sconfitto definitivamente il padre. Secondo Fachinelli (1989) il disturbo sarebbe invece legato al dispiacere allora recente della fine della relazione con Fliess che, come il padre, era stato vinto e superato. Fliess può dunque essersi posto per Freud in un ruolo paterno? Il loro rapporto si collocherebbe in una dinamica edipica?  

Questa ipotesi è sostenuta dagli Autori che individuano in Fliess il sostituto di Breuer, già amico e mecenate del Nostro, in Breuer il sostituto del padre reale Jacob e quindi in Fliess il sostituto del padre (Jones, 1953; Kris, 1961; Musatti, 1967). Tuttavia esaminando alcuni elementi biografici di Freud scopriamo che “la figura di Fliess sembra entrare solo apparentemente nel novero dei sostituti” (Traversa, 1986, p.371).

Quando nacque Freud, nel 1856, il padre Jacob aveva quarantun anni. Da un precedente matrimonio aveva avuto altri due figli ormai ventenni e la madre di Freud, Amalie, era loro coetanea. Sigmund fu il figlio primogenito di Amalie “destinato a grandi cose” (Musatti, 1967, p.XIV). Freud ebbe sul piano cosciente affetto e devozione verso il padre ma ne rimase crescendo profondamente deluso per la sua condizione economica e sociale svalutata (Ibidem). Nella sua autoanalisi, iniziata nell’estate del 1897, dieci mesi dopo la morte del padre Jacob, Freud scoprì sentimenti fortemente aggressivi nei suoi confronti, quegli stessi sentimenti su cui ha fondato il Complesso di Edipo, ma ebbe al contempo pena e preoccupazione per quel padre anziano, un padre-nonno, meno forte nei fatti di quanto Freud lo abbia raccontato nella storia della psicoanalisi.

Il complesso edipico è ciò che Freud ha elaborato per colmare il vuoto della sua assenza?

Come evidenzia Fachinelli (1989, p.176) il mito di Edipo avrebbe potuto fungere da ideale regolatore destinato “ad aggiustare l’intrico angosciante dei rapporti personali e a ridare una certa importanza e centralità alla figura di Jacob”. E a conferma del suo bisogno di figure maschili forti è nota l’ammirazione che Freud adolescente nutriva per i grandi condottieri della storia, Napoleone, Massena e Alessandro Magno (Ricci, 1998).

La relazione Freud-Fliess è dunque complessa e certamente non riducibile alla dimensione edipica. La configurazione familiare di Freud lo poneva inoltre in un inusuale confronto con il nipote coetaneo, figlio del fratellastro Emmanuel, che chiamava ‘nonno’ suo papà Jacob. Freud ha ribadito più volte come l’ambivalenza verso il fratello-nipote sia stata una spinta fondamentale per divenire se stesso. Jones (1953, p.37) riporta le sue parole: “Un intimo amico e un nemico da odiare sono sempre stati indispensabili alla mia vita emotiva, e sono sempre riuscito a crearli ex novo. Non di rado mi sono a tal punto avvicinato al mio ideale infantile che l’amico e il nemico coincidevano nella stessa persona, naturalmente non simultaneamente, come invece avveniva nella mia prima infanzia”.

È proprio in questo rispecchiamento ambivalente che sembra costituirsi il rapporto con Fliess.

L’incontro fra i due instaurò uno stato di eccezione. Fin dai primi scambi epistolari è possibile cogliere in Freud una sorta di fascinazione, di follia amorosa per cui affidò a Fliess la “funzione di amico, di sostegno, di confidente, di cassa di risonanza, di amplificatore, necessaria a ogni genio impegnato in un processo di creazione” (Anzieu, 1976, p.138). Scopriamo un Freud a momenti fragile e demotivato: “si deve dire la verità – afferma Jones (1953, p.269) – e cioè che non sempre Freud ebbe la serenità e l’intima sicurezza che gli furono così tipiche negli anni della sua fama”. Freud viveva talvolta stati di inquieta paralisi, si lamentava con l’amico del suo cattivo umore e della sua insoddisfazione ma i loro congressi gli infondevano fiducia ed energia nel lavoro.

“ […] mi sento tuttavia molto isolato, ottuso dal punto di vista scientifico, pigro e rassegnato. Quando parlavo con Lei e mi rendevo conto che Lei pensa così bene di me, allora riuscivo persino ad avere stima di me stesso, e l’immagine di suadente energia che Lei offriva non mancava di avere influenza anche su di me” (Lettera 7, 1 agosto 1890).

 

Grazie alle loro appassionate discussioni teoriche Freud si convinse di aver incontrato qualcuno “più visionario di lui” (Ricci, 1998, p.29). Ed egli non cercava di meglio.

Fliess divenne l’autentico daimonios di Freud (lettera 69, 24 luglio 1895), la sua effervescenza intellettuale gli offrì una visione liberatoria, un esempio di ciò che era possibile osare nel campo della creazione scientifica e intellettuale. “Si può dire senza esagerazione che Fliess dà a Freud, col suo esempio, il permesso di fantasticare senza limiti, nell’ambito ben circoscritto e riservato della loro unione: al limite il permesso di delirare” (Fachinelli, 1989, p.162).

 “Non trattenerti dallo scrivermi delle ellissi anche se sto attraversando proprio ora uno dei miei momenti di irragionevolezza. Ognuno infatti dovrebbe dare quello che ha, senza riguardo per l’altro. Anch’io faccio così. Il sentirsi liberi da costrizioni costituisce lo stimolo principale a scrivere queste lettere. […] l’incompiutezza delle tue scoperte non mi disturba affatto; tu sai che io non rifletto; io recepisco, godo, mi stupisco e sono pieno di aspettative” (Lettera 172, 30 luglio 1898).

 

Si creò da principio un’alleanza teoretica in cui Freud poté affidare all’amico una competenza superiore nell’ordine della medicina poi il compito di affiancare agli aspetti più propriamente psicologici delle sue teorie i loro fondamenti biologici “per comporre insieme la nuova scienza dell’uomo” (Masson, a cura di, 1985, pp.7-8).   

“Il pensiero che saremo occupati nello stesso lavoro è il più gradevole che io possa concepire al momento. Vedo che, per le vie traverse della medicina, tu stai raggiungendo il tuo primo ideale, vale a dire la comprensione fisiologica dell’uomo, mentre io nutro la segreta speranza di arrivare per le stesse vie alla mia meta iniziale, la filosofia. Questo volevo infatti in origine, quando ancora non mi era per nulla chiaro per quale fine fossi al mondo” (Lettera 85, 1 gennaio 1896).

 

Freud eserciterà una costante sollecitazione sull’amico a migliorare e talvolta esasperare le sue teorie tanto che “rapito dallo sforzo di astrazione e concettualizzazioni necessari alla sua ricerca, Freud non manifesta alcuna obiezione verso le teorie alquanto strane di Fliess” (Ricci, 1989, p.29).

Al contrario del moderato Breuer che, condivisi con Freud i primi Studi sull’Isteria (1886-1895), si era ritratto dinanzi all’esplorazione della sessualità, Fliess sottoponeva al parere dell’amico le sue generalizzazioni e i suoi voli più arditi. Lungi dall’eludere i problemi sessuali, Fliess ne aveva fatto il nucleo della sua teorizzazione: postulava l’esistenza di uno stretto rapporto tra la mucosa nasale e l’attività genitale, riteneva che la bisessualità fosse propria di ogni essere umano e che tutta l’esistenza fosse regolata da leggi periodiche. Si apriva dunque la possibilità di esplorare insieme il territorio proibito della sessualità: “Non si può fare a meno di gente che ha il coraggio di pensare cose nuove prima di essere in grado di dimostrarle” gli scrisse Freud (Ibidem, p.263).

Gli incipit delle lettere, gli argomenti trattati e la qualità del loro dialogo racchiudono una quota di follia necessaria a spingere la loro mente oltre i confini del già noto. Fliess dà a Freud – scrive Chianese (2021) in un capitolo dedicato a ‘Freud e la follia’ – la possibilità di inaugurare il famoso phantasieren freudiano che rimanda al mondo immaginario e alla creatività che lo anima.

Su questa folie à deux si fonda la nascita della psicoanalisi.

“[…] sono un uomo che non può vivere senza una mania, una passione divorante, senza un tiranno, per dirla con Schiller, e questo è diventato tale per me. Nel servirlo non conosco limiti. È la psicologia; essa è sempre stata la meta che mi allettava da lontano e che ora, da quando mi sono imbattuto nelle nevrosi, si è fatta molto più prossima. […] Nelle ultime settimane ho dedicato ogni minuto libero a questo lavoro; ho impiegato le ore notturne, dalle undici alle due, intento a fantasticare, interpretare e congetturare, interrompendomi solo quando arrivavo a qualche assurdità o quando non ne potevo proprio più, con la conseguenza che poi perdevo interesse per il mio quotidiano lavoro di medico. Non chiedermi i risultati per molto tempo ancora” (Lettera 64, 25 maggio 1895).  

 

L’innegabile investimento omosessuale di Freud su Fliess, più che fine a se stesso, è dunque stato un mezzo per fare dell’amico un doppio al servizio dello sviluppo del suo pensiero. Lo sguardo libidico di Fliess permetteva a Freud di lanciarsi senza paura nel movimento autoerotico insito in ogni processo creativo (Botella C., Botella S., 1984). Sul doppio Fliess, Freud custodiva le sue quote di narcisismo a rischio, l’amico era proiezione di sé nell’altro e riconoscimento dell’altro in sé, in una condizione interiore dinamica dove istanze regressive e spinte emancipative lottavano tra loro. Il lutto che in sostanza attraversava Freud in quegli anni non era solo del padre reale Jacob ma di tutto ciò che il Padre rappresenta; la perdita del sapere della ragione, della Legge e della sua protezione per aprirsi all’ignoto, alla scoperta di sé e dei fenomeni inconsci. La fiducia e la sfrontatezza di Fliess, i suoi consigli e gli incitamenti controbilanciavano i timori di Freud che idealizzava l’altro per salvaguardare se stesso.

“Non posso fare a meno di un altro, e l’unico altro, l’alter, sei tu” (Lettera 42, 21 maggio 1894).

 

“Sono infinitamente felice che tu mi conceda il dono di essere per me l’Altro, un critico e lettore, e oltretutto della tua qualità. Non riesco proprio a scrivere se non ho un pubblico, ma riesco a scrivere con il massimo piacere soltanto quando lo faccio per te” (Lettera 167, 18 maggio 1898).

 

Su questo lavoro in doppio si erge il genio Freud e la sua opera. Ed è sul lavoro in doppio che si costituirà il metodo psicoanalitico.

Essi crearono un universo delirante in cui la figura di Fliess si pone nell’immaginario di Freud “come punto di riferimento necessario e sufficiente ad attivare e poi mantenere un dialogo in realtà soprattutto interiore che il Freud ‘paziente’ intraprende e continua con il Freud ‘funzione analizzante’ […]” (Traversa, 1986, p.372). Con queste parole magistrali Traversa ci apre la strada alla comprensione di un rapporto in cui a Fliess potrebbe assegnarsi il ruolo che spetterà poi all’analista, ovvero l’altro, il doppio psichico, in un percorso che porterà lo stesso Freud paziente a divenire Freud analista. In questo percorso lo slegamento dei nessi di coscienza che caratterizzava il dialogo tra i due amici è diventata nella clinica psicoanalitica la ‘regola fondamentale’, la prescrizione posta al paziente: dire tutto senza censura. E chissà che anche a seguito dell’epilogo che ebbe il loro rapporto, Freud si sia chiesto come limitare, con il setting e le sue regole, quell’eccesso di coinvolgimento personale che, come accaduto con Fliess e altri amici e allievi illustri in seguito, può condurre anche il rapporto analitico al suo naufragio?

L’equilibrio della coppia si alterò nel loro congresso del 1900 ad Achensee, quando Fliess sostenne che le leggi periodiche erano operanti anche nella psiche e influenzavano la psicopatologia a prescindere dall’analisi. Così si rompeva quell’armonia “in cui la fiducia e la credenza dell’uno nel lavoro dell’altro fungevano da moltiplicatore delle energie della coppia, in un mondo vissuto come nemico e incredulo” (Fachinelli, 1989, p.165).

Freud ebbe una reazione rabbiosa:

“Non si può negare che noi ci siamo un po’ allontanati l’uno dall’altro. […] ti schieri contro di me e mi dici che ‘il lettore del pensiero legge semplicemente i suoi stessi pensieri negli altri’ cosa che toglie ogni valore ai miei sforzi. Se credi davvero che le cose stiano così getta, senza leggerla, la Vita quotidiana nel cestino. […] Indipendentemente dal valore duraturo che il suo contenuto può avere, puoi considerarla una testimonianza della parte che hai avuto nella mia vita” (Lettera 270, 7 agosto 1901).

 

Fliess non riusciva più a sopportare la superiorità intellettuale di Freud, il successo che aveva raggiunto negli ultimi anni e ancor meno la critica che egli operava alla sua teoria dei periodi.

La rottura definitiva avvenne quando Fliess accusò Freud di plagio. Lo denunciò pubblicamente con un opuscolo in cui rivendicava, non a torto, la paternità del tema della bisessualità psichica. Lo stesso Jones (1953, p.278) ha ammesso che “fu forse l’unica volta in vita sua in cui per un attimo Freud non fu perfettamente retto”. Freud fu costretto a correre ai ripari, chiese agli editori benevolenza per attenuare i toni della rivendicazione.

“Il fatto che la nostra corrispondenza, che languiva ormai da tempo, sia stata ripresa proprio a causa di questo incidente di cui tu mi rimproveri, è cosa che non affligge te solo, ma anche me. Non è colpa mia, comunque, se tu trovi il tempo e la voglia di scrivermi solo per ragioni così futili. Negli ultimi anni – a partire dalla Vita quotidiana – tu non hai mai mostrato alcun interesse per me, né per la mia famiglia o per i miei lavori. Oggi non me ne rincresce più, e ne avverto poco la mancanza: non te ne faccio un rimprovero e ti prego di non rispondere su questo punto” (Lettera 287, 27 luglio 1904).

 

Finì così la loro amicizia. Chissà che Fliess si sia sentito derubato della passione, l’ardire e la creatività che, ben oltre il tema della bisessualità, Freud aveva attinto dal loro rapporto?

Bibliografia

Anzieu D. (1976). L’autoanalisi di Freud e la scoperta della psicoanalisi. Vol. 1. Astrolabio Ubaldini, Roma.

Botella C., Botella S., (1984). L’homosexualité inconsciente et la dynamique du double en séance. Revue française de psychanalyse, 48 (3), pp.687-708.

Chianese (2021). Il vivente e il sacro. Astrolabio Ubaldini, Roma.

Fachinelli E. (1989). La mente estatica. Adelphi, Milano.

Freud S. (1899). L’interpretazione dei sogni. OSF, Vol. 3.  Boringhieri, Torino.

Freud S. (1901). Psicopatologia della Vita Quotidiana. OSF, Vol. 4, Boringhieri, Torino.

Freud S. (1936). Disturbi di memoria sull’Acropoli. OSF, Vol. 11, Boringhieri, Torino.

Freud S., a cura di, Masson J.M. (1985). Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904. Universale Bollati Boringhieri.

Freud. S., a cura di, Kris E. (1961). Le origini della psicoanalisi. Bollari Boringheri, Torino.

Freud S., Breur J. (1895). Studi sull’Isteria e altri scritti (1886-1895).  OSF, Vol. 1. Boringhieri, Torino.

Freud S., Ferenczi S., a cura di, Semi A.A. (1993). Lettere (1908-1914). Vol. 1. Cortina Raffaello, Milano.

Jones E. (1953). Vita e opere di Sigmund Freud. Il Saggiatore, Milano, 2014.

Musatti C.L. (1967). Introduzione. In Freud S.: OSF, Vol. 2. Boringhieri, Torino, 2004.

Ricci G. (1998). Sigmund Freud. Bruno Mondadori, Milano.

Traversa C. (1986). Circa un metodo per apprendere il metodo. Rivista di Psicoanalisi, 32(3), pp. 363-376.

[1] Il titolo di questo scritto s’inspira al romanzo di Conrad “Il compagno segreto” (1911).

[2] Gli stralci delle lettere di Freud citate in questo scritto sono tratti dal testo: Freud S., a cura di Masson J.M., (1985), Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904. Universale Bollati Boringhieri, Torino

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *