Irving D. Yalom, Chiamerò la polizia, Neri Pozza, Venezia, 2019.
Recensione a cura di Teresa Lorito
Chiamerò la polizia è un piccolo libro di Irvin D. Yalom, un racconto molto intenso che narra di un dialogo fra due vecchi amici, un dialogo atteso da anni.
Proprio nel cinquantenario della loro laurea, finalmente, parlano del dramma che, in maniera diversa, portano dentro: il dramma dell’Olocausto. I due amici sono entrambi sopravvissuti: Bob è arrivato da solo a Boston a 17 anni, la sua famiglia sterminata; Irvin emigrato con la sua famiglia negli Stati Uniti prima che il nazismo arrivasse al potere, ma non per questo lontano dagli orrori dello sterminio.
Si incontrano nelle aule universitarie e subito nasce fra loro un’intensa amicizia che dura negli anni, anche quando le loro strade si dividono “lui specializzandosi in chirurgia cardiaca e io prendendomi cura dei cuori infranti attraverso la parola”. Negli anni il loro rapporto rimane solido anche se entrambi sanno che c’è un non detto, qualcosa che occupa le loro difficili notti. Se Bob non parla della sua esperienza in Ungheria dove a 14 anni lavorava per la resistenza, Irvin sa che per lui è difficile ascoltare gli orrori dell’Olocausto.
Ma quella sera Bob chiede aiuto: “Mi sta capitando qualcosa di serio… Il passato sta erompendo… Le mie due vite, la notte e il giorno si stanno unendo. Ho bisogno di parlare”.
Ed è in questo dialogo che le varie professionalità di Yalom, lo psichiatra, lo psicoterapeuta e lo scrittore, si intrecciano per dar vita ad un appassionato racconto di un giovane ragazzo costretto a vedere la morte, costretto a sopravvivere, e di come tutto questo sia stato per Bob un ricordo e un pensiero così intollerabile da relegarlo al silenzio della notte, al mondo dei sogni e degli incubi, riempiendo il giorno con un lavoro infaticabile per non pensare.Poi un episodio fortuito, una parola pronunciata riporta tutto in superficie e arriva prorompente il bisogno di parlare, il bisogno di essere assolto.
Un racconto semplice, ma vivido del meccanismo della rimozione, di come la si utilizzi per poter vivere e come il riaffiorare dei contenuti rimossi implichi una modificazione delle nostre abitudini e il bisogno di comunicare, di condividere.
E alla fine di questa conversazione “Si voltò, si mise di fronte a me e ci abbracciammo, più a lungo di quanto avessimo mai fatto in precedenza.”