Questo contributo di Marina Breccia sviluppa un filo associativo collegato alla bellissima mostra “Islam e Firenze. Arte e collezionismo dai Medici al Novecento” frutto di una collaborazione tra le Gallerie degli Uffizi e i Musei del Bargello, non un commento, che lasciamo al puntuale contributo del direttore dei Musei del Bargello Paola D’Agostino, ma un lavoro analitico e associativo, intorno a tutto ciò che scompare ai nostri occhi, come gli esempi meravigliosi di arte islamica presenti nelle collezioni fiorentine e in molti casi esposte per la prima volta mostrano. Tutto un mondo di relazioni, di contatti, di dialoghi silenziosi fra culture, che a volte rischiamo di non-vedere, di oscurare, di sommergere nelle pieghe del conosciuto. Così è nel gioco fra visibile ed invisibile, fra cecità e visione, fra luce ed oscurità che possiamo sperimentare l’inesauribile lavoro psichico che ci rende umani.
OSCURITA’
Marina Breccia
Vorrei qui brevemente indicare come la nostra percezione visiva possa essere più o meno oscurata e come la cecità-oscurità che ne derivi abbia caratteristiche multiple ed eterogenee.
E’ partendo da una sorta di oscuramento parziale della realtà che possiamo infatti prendere in considerazione alcuni aspetti psichici che ci consentono di rivolgerci all’arte, sia nell’osservarla che nel crearla. Oscurità e cecità non hanno infatti un’accezione puramente negativa, ma direi invece che è proprio con una dialettica ricorsiva tra arte,lettura e psiche che queste – oscurità e cecità- ci consentono di andare oltre un’evidenza della realtà, non solo sorpassandola, ma addirittura capovolgendola, rendendo cioè non evidente ciò che appare evidente- uno degli scopi della psicoanalisi-.
Così una grande meditazioni rende ciechi, sottolineava Plinio nella Naturalis Historia, così Tiresia, e Omero con lui, diventavano veggenti; ma l’attacco del visibile all’invisibile e viceversa ricorre nella letteratura e nell’arte, come ricorda Novalis , e come fa Borges nel suo autoritratto tratteggiato da cieco ( Rimando a Narciso e gli Altri, M. Breccia, a cura di, 2014) oppure come ripropone Zmiijewiski nel suo filmato Blindy.
Tuttavia se la psiche ha questo straordinario potere di fare buio sull’immagine e sulla parola, può cioè con una sorta di labor limae dei poeti trovatori ritrovare entrambe, rinnovate e contaminate dal soggettivo che le usa con la sua creatività, può però accadere anche il processo inverso:
- che lo sguardo psichico rivolto all’ esterno si abbui senza rinnovarsi
- che cerchi solo la ripetizione stereotipata di parole- immagini “cose”, deoggettualizzate
- che la ricerca di far luce sia solo tautologica : trovo solo ciò che cerco perché lo voglio trovare.
Vi è insomma il rischio che questo scambio vitale, che passa attraverso la percezione, si interrompa, muoia , prenda una via esclusivamente allucinatoria, o cerchi debolmente di sopravvivere.
Il processo di desoggettivazione passa in questi casi proprio attraverso alcune di queste modalità di relazione con l’oggetto esterno/ interno, che viene così deoggettualizzato. Rimangono solo “ cose morte”, anche su un esteso piano sociale.
Questo vasto processo di disinvestimento deve convocare la psicoanalisi a soffermarsi su alcuni punti:
- gli eroi, che sono tali solo nei sogni “ ciechi” appunto di chi li guarda, confondendo pragmatismo risolutore con eroismo, e che annientano i piccoli testimoni di verità
- la cecità di identità negate che portano a compensazioni in forme estreme di eroismo attraverso il martirio, in nome di un Dio o di un Capo. Il tutto con conseguenze sociali non poco catastrofiche come nel caso di Jihadismo o di Generation Identitaire, posizioni opposte, ma entrambe immolative di una purezza compensativa dell’ identità negata. Senz’altro doveroso ricordare a questo proposito anche il Nazismo.
- la cecità verso uno scompenso climatico colpevole e destruente che sta desertificando il globo e le menti, e porta con sé: siccità, povertà e guerre, in un circolo continuo e ingravescente.
E molto altro.
Non ignorerei peraltro le preziose, anche se parziali, capacità di sopravvivenza della nostra mente, quando la cecità non è ancora totale, e le parti -attiva e passiva – conservano ancora una esigua dinamica che consente all’uomo di “ sforzare lo sguardo”, per consentirne ancora un recupero.
In Fuocoammare ( film di Gianfranco Rosi ,2016, Orso d’oro al festival di Berlino) Samuele Pucillo, nel suo crescere per diventare un bravo marinaio, poiché a Lampedusa tutti lo sono, e mentre la sua crescita e la sua storia si interseca inevitabilmente con quella dei profughi migranti che arrivano, quando arrivano vivi, sui barconi, si imbatte in una sua “ parziale cecità”. Come gli fa notare il medico, non si era accorto che aveva un “ occhio pigro”, tuttavia lui può ancora favorire il recupero di quella vista divenuta monoculare, dissociata , non integrata e scissa, come quella di una parte della società verso i migranti, e lo può fare oscurando l’occhio sano, “ costringendo “ l’altro ad uscire dalla sua pigrizia.
Lo sguardo dissociato ci può far cadere in una nube lattiginosa in cui si diffondono inspiegabili epidemie, per contaminazioni infettanti, come riporta nel suo romanzo Cecità ( 2010) Josè Saramago , o può far prevalere la spavalda astuzia del male sull’inerme cecità del bene, come ricorda Paolo Rumiz in Maschere per un massacro (2013), sulla guerra in Bosnia.
Se dunque la cecità può condurre ad un’attivazione delle capacità intuitive come ricorda Borges: “sono cieco ma intuisco che molte son le strade”,oppure al contrario ad un rovinoso trascinare una collettività alla rovina, come indica il quadro di Peter Bruegel, La parabola dei ciechi (1568 ;Napoli, Galleria Nazionale Capodimonte), è nell’occhio pigro che Samuele di Fuocoammare “vuole curare” che noi tutti confidiamo.
Marina Breccia