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Biggio G. (2013). Discussione della relazione di R.Britton, Soggettività, Oggettività e Spazio Triangolare

Seminario AFPP CSMH – AMHPPIA SIPP SPI

28 Settembre 2013

Sala del Giardino d’Inverno, Istituto Montedomini, Via de’ Malcontenti 6 Firenze

Introduce A.Molli (CSMH – AMHPPIA)

Intervengono S.Nissim (SPI) e G.Biggio (SIPP)

 

 

In primo luogo, vorrei ringraziare il nostro relatore per la presentazione che è stata molto stimolante e certamente in grado di sollecitare riflessioni su molti piani. Vorrei inoltre dire con sincerità che mi sento estremamente onorato di poter interloquire con una personalità prestigiosa come Ronald Britton. Mi limito quindi a fornire un breve quadro di analisi e alcuni spunti che spero possano contribuire alla discussione.

 

Come descrive Marie Bridge (2002), alla fine degli anni ‘80 presso l’Istituto di Psicoanalisi londinese furono tenute una serie di conferenze per trasmettere il pensiero di Klein e Bion. Ronald Britton era tra gli autori che rappresentavo il pensiero neokleiniano e che si sarebbero distinti nello sviluppare e far evolvere in nuove direzioni alcuni aspetti particolari del pensiero di Klein e Bion. Nella stesura editoriale curata da Anderson (Clinical Lectures on Klein and Bion, 1992), Britton scrive un capitolo intitolato “Keeping things in mind”. Nel curare la prefazione di questo volume Hanna Segal scriveva che gli autori avevano l’ “arduo compito” di descrivere idee complesse in maniera comprensibile senza denudarle della loro profondità.

 

Britton e Michael Feldman, per esempio, furono indicati come “nuovi autori” cui spettava di favorire il primo sviluppo di alcune concezioni allora allo stato germinale. In particolare si evidenziavano i lavori di John Steiner sul lutto e quello di Ronald Britton sulla situazione edipica. Vi erano anche contributi di di Patricia Daniel, Ruth Riesenberg Malcolm, Edna O’Shaughnessy, Irma Brenman e Elizabeth Bott Spillius. Lo spirito delle conferenze, e del libro successivamente, era quello di far comprendere come i concetti kleiniani e bioniani utilizzati nella pratica clinica potessero essere sviluppati e modificati.

 

Britton collegava la posizione depressiva con l’Edipo utilizzando i concetti di Melanie Klein, egli affermava che la mente può attaccare sè stessa e il fatto di trattare con i pazienti molto malati ci permette di evidenziare l’odio e il terrore della conoscenza che sta alla base del fenomeno del “non apprendimento”. Nel capitolo titolato “Keeping things in mind”, Britton scrive del reciproco rapporto tra contenitore e contenuto. Il “contenuto” dà senso al contesto che lo contiene; il contenitore dà forma e confini sicuri per ciò che esso racchiude. Egli parlava di una “lieve persecuzione reciproca” tra contenitore e contenuto come dimensione necessaria per la vita.

 

Britton descrive il rapporto tra psicoanalisi tradizionale, Freud – Klein – Bion (1959, 1962a,1962b) (intesa come contenitore ) e il nuovo pensiero e lavoro clinico (inteso come contenuto).

 

Alcuni dei concetti che erano nell’aria in quel periodo storico avrebbero poi assunto un ruolo centrale, in particolare i rifugi psichici e il riposizionamento in primo piano del complesso di Edipo.

 

Il lavoro “Credenza e immaginazione” (1998) raccoglie alcuni lavori di Ronald Britton nell’arco di quindici anni, esplorando i concetti relativi a questi argomenti da una prospettiva post-kleiniana. II testo riflette sull’ipotesi che lo status delle fantasie inconsce presenti nella mente di un individuo possa essere quello dei fatti o quello delle possibilità. L’autore esplora il modo in cui oggettività e soggettività sono interrelate e traggono origine dal triangolo edipico.

 

Indagando sui diversi aspetti delle credenze che emergono dal lavoro psicoanalìtico, Britton esamina la relazione tra realtà psichica e narrativa e i modi in cui la questione della credenza, dell’immaginazione e della realtà sono esplorate nelle opere di Wordsworth, Rilke, Milton e Blake. Il riferimento ad poeti (Coleridge, Wordsworth) che si ispirarono alla cornice paesaggistica (poeti denominati Lake Poets, poeti laghisti)  torna nella relazione di oggi (il paziente scrittore che alla fine riesce a incontrarsi metaforicamente con l’analista in una brughiera dell’anima). Mi chiedo se il riferimento all’incontro nella brughiera sia anche collegabile al concetto di Santuario, descritto in “Keeping things in mind”. Il Santuario come sensazione di essere in un luogo sicuro, che esprime l’idea di essere dentro qualcosa di buono, definito come “un senso di essere tenuto” (Winnicott, 1960). Un sentimento analogo a quello che Esther Bick aveva equiparato con l’avere un senso di avvolgimento – come una pelle – intorno a sé.

 

Ripensando ai poeti laghisti mi sono chiesto se primo punto cruciale nella relazione di oggi, sia la ricerca della possibilità di incontro con un paziente in una terra o paesaggio sicuro per il Sé ( pr il paziente e per entrambi). Questa possibilità d’incontro avviene in un punto molto sottile dove l’analisi del transfert e del controtransfert permettono di individuare un luogo in cui esista una pelle sufficientemente avvolgente che possa “tenere” il paziente in un involucro sicuro (ricordiamo i riferimenti ai pazienti dalla pelle troppo spessa o troppo sottile). Questo ci porta a quanto espresso da Britton su contenitore e contenuto, ovvero sulla possibilità che il paziente trovi una pelle-contenitore in grado di farsi influenzare dal Sè (contenuto) del paziente stesso. In questa posizione si riattiva una funzione di reverie, di dialogo tra contenitore e contenuto, dialogo interrotto nella esperienza traumatica del paziente. Il dialogo tra contenitore e contenuto offre la possibilità – come direbbero alcuni autori francesi – di essere non solo soggetto alla propria esperienza ma soggetto della propria esperienza. Il poter essere soggetto della propria esperienza riporta all’acquisizione di una funzione narrativa all’interno della quale il soggetto è sé stesso e al tempo stesso è in grado di vedere sé stesso; ovvero abbia acquisito la possibilità di essere in una posizione terza, così come viene descritto da Britton nella triangolazione edipica.

 

Un secondo punto che vorrei evidenziare riguarda il rapporto tra caos e triangolazione edipica. Parto da lontano, ma non troppo spero; in un simposio tenuto qualche anno fa da Britton e Fonagy all’Istituto di Psicoanalisi di Londra “Grasping the Nettle: or Why Psychoanalytic Research is such an Irritant” (Afferrare l’ortica: perché la ricerca in psicoanalisi è così irritante) (Britton, 2000) veniva “afferrata l’ortica” in merito ad alcuni interrogativi che fanno parte della ricerca in psicoanalisi; ovvero la difficoltà di trascrivere entro modelli scientifici operazionali il comportamento umano. Ho trovato che il riferimento fatto in quella occasione da Britton al caos e alla teoria dei frattali sia stato un modo molto utile di pensare l’imprevedibilità del comportamento e del pensiero umano. Nella relazione di oggi egli ha suggerito che l’idea di un oggetto buono materno può essere recuperato scindendo la sua ostilità percepita e attribuendola a una forza ostile esterna. Tale forza ostile – egli dice – è rappresentata ad esempio in varie religioni del mondo antico come “mostri del Caos”, nell’antico Egitto era chiamata “Apophis”. “Apophis era l’incarnazione del caos primordiale, non aveva organi di senso, non poteva né udire né vedere, poteva solo urlare.” (Cohn 1993 p.2). Apophis contrasta continuamente “Ma’at”, la personificazione femminile dell’ordine nel mondo che rappresenta la madre buona, scissa dal caos. Così pure a livello individuale la forza ostile che è stata descritta come attacco del legame originario con la madre ed è identificata nel bambino con il padre edipico; il legame tra i genitori è percepito in grado di distruggere la madre come fonte di bontà e di ordine.

 

Quando Britton parla della “Incomprensione maligna e la necessità di un accordo” ci dice che talora nel transfert sembra che la paura di base sia di essere dominati da equivoci maligni. Parla di un paziente in cui l’esperienza di essere frainteso in modo fondamentale era annientante. Questo scatenava la paura di un ritorno al caos primordiale, corrispondente alla nozione di Bion di terrore senza nome che segue un fallimento di contenimento.

 

Mi chiedo se esista un caos primordiale dal quale il bambino si difende attraverso la scissione della ostilità percepita nel padre, o nel terzo in generale, e se con il formarsi di una terza posizione edipica – come descritta dall’autore – vi possa essere una elaborazione del caos in accettazione della imprevedibilità. L’accettazione della imprevedibilità come parte della capacità negativa di Bion (1963), ripresa da Keats, potrebbe essere un esito dell’integrazione tra la soggettività/oggettività psichica derivante dalla elaborazione edipica, così come nella matematica la teoria dei frattali è una possibilità di rappresentare l’imprevedibilità. A proposito della ricerca in psicoanalisi Britton (2000) afferma che abbiamo a che fare con i frattali psichici.

 

Il lavoro è talmente generoso di inviti a riflessioni e collegamenti clinico teorici che non è semplice per me terminare con un terzo ed ultimo punto di riflessione. Comunque mi chiedo se sia possibile fare qualche considerazione di tecnica psicoanalitica. Ovvero nel lavoro si fa riferimento ad una convergenza di vari autori di scuola francese sul tema edipico in relazione alle patologie borderline, in particolare Joyce McDougall, Janine Chassaguet Smirgel, e Andre Green. Il riferimento a Rosenfeld riguarda i pazienti narcisisti ipersensibili e coriacei (Rosenfeld 1987, pp.233-234). Il riferimento alla pelle spessa e pelle sottile è ripreso da Alessandra Lemma nel suo libro “Sotto la pelle: psicoanalisi delle modificazioni corporee” (Lemma, 2005) nel suo lavoro con pazienti borderline.

 

Britton sviluppa quello che è un accenno in Rosenfeld fornendo una costruzione che descrive le dinamiche transferali e controtransferali dei pazienti. Trovo illuminante da un punto di vista clinico il passaggio in cui una delle funzioni dell’analista è di favorire la possibilità per il paziente di raggiungere la terza posizione all’interno della relazione analitica. Mi ha colpito in particolare il fatto che l’analista possa rischiare di fare coppia con le proprie teorie, lasciando il paziente “fuori” della scena come spettatore, altrove. Britton afferma che consultare il proprio Sé analitico era vissuto dai pazienti come un forma di rapporto sessuale interno, corrispondente ad rapporto tra genitori escludente il paziente stesso. Egli dice che l’unico modo per trovare un luogo utile per pensare fosse quello di permettere di articolare dentro di sé il medesimo vissuto, comunicando con i pazienti il fatto di comprendere il loro punto di vista. Mi chiedo come il tema tradizionalmente definito “alleanza terapeutica” e quindi il tema delle difese e resistenze al trattamento analitico sia presente in questo lavoro, anche in confronto con le posizioni in questo ambito della psicoanalisi relazionale.

 

Come fare allora “prendere in mano l’ortica” con i pazienti difficili con pelle sottile? Come evitare di essere percepiti come interpretanti/persecutori senza essere passivi recettori genericamente empatici, ovvero come svincolarsi dal circuito chiuso tra oggettività persecutoria e soggettività fusionale? Mi chiedo se sia anche qui che l’analista può cercare di far emergere uno spazio, una terza posizione.

 

 

 

Riferimenti bibliografici

 

 

 

Bion, W.R. (1959), “Attacchi al legame” in Second Thoughts, pp.93-109, New York: Jason Aronson (1967)

 

Bion, W.R. (1962a), “Una teoria del pensiero”, in Second Thoughts, pp.110-119, New York: Jason Aronson (1967)

 

Bion, W.R. (1962b), Apprendere dall’esperienza ristampe Maresfield, Londra: Karnac, (1984)

 

Bion, W.R. (1963), Gli elementi della psicoanalisi, trad it. Armando editore, Roma (1973)

 

Bridge, M. (2002), Book review: Clinical Lectures on Klein and Bion, edited by Robin AndersonHardback, Separate volumes are available in hardback and in paperback. London/New York: Tavistock/Routledge, 1992. 139 pp.

 

Britton, R. (1989), “Il collegamento mancante: la sessualità dei genitori nel complesso di edipico” in D., Breen (a cura di) (1993), L’enigma dell’identità dei generi, trad it. Borla editore, Roma (2000)

 

Britton, R. (1992) “Keeping things in mind.” In Clinical Lectures on Klein and Bion, ed. Anderson, R. New York, London: Brunner-Routledge. Pp 102-114.

 

Britton, R. (1993), “Fundamentalismus und Idolbildung” in Die klugen Sinne pflegende Ed. Gutwinski-Jeggle J. & Rotmann J.M.R. edizione diskord Tübingen.

 

Britton, R. (1998), Credenza e immaginazione , trad it Borla , Roma (2006)

 

Britton, R. (2000), The Nettle Paper presented at the Annual Research Lecture of The British Psychoanalytical Society on 1st March

 

Britton, R. (2013), Subjectivity, obiectivity and triangular space, Seminario in collaborazione con AFPP, AMHPPIA, SIPP, Firenze

 

Cohn, N. (1993), Cosmos, Chaos e il mondo a venire Yale University. Press New Haven & London

 

Lemma, A. (2005), Sotto la pelle Psicoanalisi delle modificazioni corporee, Raffaello Cortina Editore, Milano (2011).

 

Rosenfeld (1987), Conoscenza e interpretazione , Routledge, London, Routledge

 

Winnicott, D. (1960), “The theory of the parent-child relationship.”, Int. J. Psychoanal., 41:585-595.

 

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