Firenze, 15/1/2022
Come riproposto in un passo del libro, la storia del movimento psicoanalitico ha sempre visto nella figura paterna un ruolo fondante: dal padre come figura centrale nella vita mentale dell’individuo e della società (Freud, 1914), al padre che sostiene la diade madre-bambino (Winnicott, 1966), al padre visto come terzo specifico e processo in movimento. Al padre è stato sempre assegnato il ruolo di “terzo” rispetto alla diade madre-bambino, diventando promotore di quella discontinuità che separa il bambino dalla madre, che si interpone alla loro fusione, facendo sì che la madre sia madre e il bambino sia bambino. La funzione paterna ha assunto la funzione di porre il limite, il limite all’indistinto, all’anarchia, alle pulsioni permettendo a loro di acquistare una forma evolutiva e di accedere al pensiero. Come afferma Pellizzari, in molti miti dell’origine in principio vi è uno stato caotico, dove tutto è indifferenziato, privo di forma: “alla nascita naturale si innesta una dimensione simbolica, quella del riconoscimento, che nell’antichità si concretizzava con l’elevazione del figlio al cielo da parte del padre. Era un momento di isolamento del figlio dalla madre, ma anche dalla terra, e questo aveva una profonda valenza misterica”. Così, la funzione paterna si è guadagnata, nel tempo, la funzione di garante della civiltà, sia nel microcosmo familiare sia nella società.
Con l’inizio della modernità, però, questa organizzazione semantica incentrata sulla figura del padre è entrata sempre più in crisi. Oggi la funzione paterna conosce una crisi profonda ed inedita. Ciò sembra dovuto a molteplici fattori. L’avvento della democrazia ha fatto decadere l’idea di un potere assoluto, di origine divina, e introdotto l’idea di un potere laico, condiviso e in perenne discussione. L’emancipazione femminile ha portato all’uguaglianza dei sessi e alla fine dell’istituzione del “capofamiglia” con tutte le conseguenze sul piano pratico e simbolico che ancora non si sono completamente delineate. Un tempo Diventare padre era percepito come la rappresentazione di un potere che andava oltre lui come persona particolare. Il padre avrebbe anche potuto essere un individuo debole e insignificante, ma era il padre e come tale detentore di un potere indiscutibile. Oggi non più. Non si ha più a che fare con famiglie patriarcali, in cui il ruolo di padre viene sancito da un principio di autorità, perlopiù i padri il proprio ruolo se lo debbono conquistare. Ogni padre deve conquistarsi credibilità e rispetto per così dire “sul campo”, senza che nulla venga dato per scontato.
D’altra parte, mentre per la madre, la maternità è sentita come un fatto corporeo, fisico, per il padre la paternità è una acquisizione, un’operazione mentale complessa, una precisa volontà di assumere questa condizione: poter vivere la paternità come una esperienza unica, diversa per ogni uomo e per ogni nascita, che apra a gioia profonda ma anche a turbamenti, sentimenti inaspettati, nuove responsabilità, a un diverso senso di sé che richiede un profondo riassestamento psichico. Dal punto di vista della procreazione l’uomo feconda la donna ma, spesso, rimane del tutto inconsapevole di aver dato vita a un futuro bambino. Diventare padre comporta la crisi dell’identità fin a quel momento costruita per trovarne una nuova e nel far questo tutta la propria storia individuale e generazionale viene rivisitata, le relazioni attuali e passate vengono modificate per far spazio nella mente a un nuovo oggetto di amore.
Il libro “Diventare padre. Sguardi sulla paternità interiore”, a cura di Laura Mori, si pone l’ambizioso compito di offrire una serie di sguardi sulla figura del padre, sulla funzione paterna, sull’essere e diventare padre, così come è emerso dalle periodiche discussioni all’interno del gruppo di lavoro degli autori del libro. Come descritto, il libro è frutto di un complesso lavoro di un gruppo di medici e psicologi, psicoanalisti e psicoterapeuti che per un lungo periodo di quattro anni, si sono riuniti una volta al mese, per discutere proprio sulla costruzione dell’identità paterna alla luce della osservazione di padri secondo varie prospettive e di riflessione su molti testi letterari, rappresentazioni artistiche, film e documentari. La letteratura e l’arte, a loro volta, hanno consentito di avventurarsi e farci avventurare proprio all’interno della conoscenza stessa della paternità, avvicinandoci profondamente alle dimensioni del divenire ed essere padre. Si è trattato spesso di intuizioni, spunti e costrutti che, come dicono gli autori, anche se non interamente nuovi, una volta collocati nella riflessione gruppale, come ha detto Goethe, si sono “così coordinati fra loro che possono valere come nuovi”. La narrativa è stata ben utilizzata sia con singoli brani illuminanti sia con storie esplicative di un certo percorso psicologico. D’altra parte i romanzi riescono, spesso, a far luce su delle verità profonde sulla condizione umana e, nello specifico, sono riusciti a tratteggiare sentimenti basilari che riguardano l’essere padre, slegati dal ruolo e dalla funzione e che riguardano direttamente l’identità personale.
I primi tre capitoli del libro – Un nuovo campo di vulnerabilità, Il progetto di John, Padri e figli – illustrano attraverso testimonianze letterarie, lo stato psichico della Paternità interiore, il lavoro psicologico che porta all’acquisizione di questo stato e alcune caratteristiche del legame paterno con i figli e con i propri padri.
Nel libro, le autrici hanno definito Paternità interiore quell’esperienza psichica costituita dalle dinamiche psicologiche e dalle fantasie che si attivano nell’uomo fin dalla prima nascita di un figlio o una figlia e che possono avere influenza sul rapporto col figlio reale, con la realtà circostante e sul cambiamento dello statuto identitario del nuovo padre.
Per meglio definire questo concetto, la curatrice del libro Laura Mori si è rivolta alle parole dello scrittore Vladimir Nabokov nella sua autobiografia romanzata “Parla, ricordo”, che ci hanno portato direttamente all’interno dell’Area psichica del neo-padre, con le sensazioni e i pensieri condensati in immagini di complessità, il cambiamento del Sé, l’alterata percezione sensoriale e visiva dell’ambiente, i sentimenti ambivalenti che si mettono in moto dopo la nascita del figlio: “ (…) stavo tornando a casa alle cinque del mattino, dal reparto di maternità (…) dove ti avevo accompagnato un paio di ore prima (…). Gruppetti di passeri sinistroidi tenevano chiassosi raduni mattutini fra tigli e lillà. Un’alba limpida aveva completamente sguainato un bordo della strada deserta. Sull’altro lato le case erano ancora livide di freddo e ombre di varia lunghezza rientravano gradualmente su se stesso in quel modo prosaico che è tipico del giorno appena iniziato quando subentra alla notte in una città ben tenuta, ben innaffiata, dove l’odore penetrante dell’asfalto si insinua sotto la fragranza che emana dalla linfa degli alberi; a me, però, l’aspetto visivo della faccenda pareva del tutto nuovo, come una maniera insolita di apparecchiare la tavola, poiché non avevo mai visto prima quella strada all’alba pur essendoci passato spesso, ancora senza prole, al tramonto. Nella limpidezza e nel vuoto di quell’ora meno familiare, le ombre si trovavano sul lato sbagliato della strada, con un effetto di inversione non privo di eleganza (…).
Come ci dice l’autrice, Nabokov descrive con estrema vividezza l’esperienza psichica della Paternità interiore del neo-padre, il cambiamento dello stato del suo Sé attraverso l’intensa percezione sensoriale e soprattutto visiva della novità dell’ambiente intorno così diverso da quando non era presente la prole. La nuova percezione della strada è accompagnata dai vissuti ambivalenti, i passeri sono chiassosi e sinistroidi, l’alba è limpida ma anche livida, l’odore penetrante dell’asfalto si insinua sotto la fragranza dei tigli, la posizione sbagliata delle ombre non è priva di eleganza. Il protagonista non è più soltanto figlio ma anche padre. Si nota che è in atto un processo complesso, che apre a nuovi punti di osservazione di se stesso e del mondo, nel quale la gioia e l’entusiasmo si accompagnano a sentimenti di perdita e smarrimento, in cui si fa sentire una sorta di straniamento, di stupore, di meraviglia, un sentirsi fuori da se stesso senza possedere più l’abituale visione del mondo e tutto appare nuovo e inconsueto, facendo fatica ad ancorarsi alla realtà di sempre.
In altre pagine tratte da Anna Karenina di Tolstoj, le autrici Ceragioli, Luperini e Smorto ci hanno introdotto nel territorio paterno quando il padre incontra per la prima volta il figlio e inizia ad accoglierne il nuovo ruolo: “..quello strano essere rosso che si dondolava e nascondeva il capo dietro gli orli delle fasce. Ma c’erano anche il naso, gli occhi che guardavano storto e le labbra che si muovevano. Quel bellissimo bambino gli ispirava soltanto un senso di disgusto e di pietà. Era tutt’altro che quel sentimento che egli aspettava”. Nel brano sembrano emergere le caratteristiche del processo conoscitivo del padre che non riesce ad integrare la prima immagine del figlio, a coglierne l’interezza. Non sembra venire colto niente di armonioso ma parti tra loro discordanti. Sembrano esserci tutte le emozioni del nuovo padre: il terrore tormentoso, il timore che quell’essere impotente possa soffrire ma anche la gioia e l’orgoglio. Sono processi che ruotano intorno al riconoscimento del figlio come proprio, alla acquisizione di responsabilità e rappresentano la premessa di ogni altro movimento psichico verso il legame di paternità.
Le stesse autrici ci indicano anche come diventare padre significhi fare un passo nel campo della vulnerabilità cioèin quell’amore fondato su una sorta di paura che fa temere per la fragilità di ciò che è piccolo e in quella successiva spinta protettiva che la stessa vulnerabilità determina nel padre. Nel brano Una vita come tante di Hanya Yanagihara, il futuro padre osserva un evento che non si colloca direttamente nel suo corpo, il padre osserva un evento che mano a mano potrà trovare un posto nella sua mente e da lì avere accesso al suo corpo in termini di emozioni e quindi di affetti: “riconosco che è un amore singolare, un amore che non si fonda sull’attrazione fisica, sul piacere, sull’intelletto ma sulla paura. Non conosci la paura finchè non hai un figlio e forse è questo che ce lo fa sembrare un amore straordinario (…) ogni giorno il tuo primo pensiero non è ti voglio bene ma come sta?” Il padre sembra trovarsi in un campo visivo più ampio, riuscendo a vedere il futuro a cui il bambino tende. Tutto cambia, si presenta la paura e difronte ad essa, il padre può sentire la nuova spinta protettiva verso il figlio per difenderlo da qualsiasi rischio che potrebbe minacciarlo.
L’autrice Fattirolli, attraverso il racconto di John Fante, Full of life, individua i processi di costruzione dell’identità di padre a partire dalla gravidanza fino alla nascita del bambino. In questi, compare la nostalgia dei vecchi tempi quando il padre non sperimentava il senso dell’esclusione con la compagna assorbita nella nuova esperienza, compare il passaggio generazionale con l’assunzione di una identità adulta e la riconciliazione col proprio padre. Il percorso verso la paternità sembra giungere al suo momento cruciale, l’ambiguità e l’ambivalenza possono essere tollerate, i frammenti possono ricomporsi, i sentimenti conflittuali possono essere attraversati da un nuovo potenziale di crescita.
Ogni persona, quando diventa genitore, si pone due importanti compiti psicologici: rinunciare alla propria unicità per prendersi cura di un figlio/a e mobilitare tutti quei processi identificatori con i propri genitori al fine di assumere il ruolo di genitore nei confronti del proprio figlio/a. L’esito di questo movimento consente di produrre nuova energia, dando vigore al sentimento della paternità. Come ci dice Monique Bydlowsky, nel suo Il debito di vita, nel processo di filiazione i neogenitori sono legati ai propri genitori e agli antenati da un debito di vita inconscio, poter riconoscere questo “debito di esistenza” diventa una delle condizioni necessarie della capacità di trasmettere la vita. Ecco che il padre del futuro padre fa il suo ingresso per dare una mano a bonificare il percorso del figlio verso la paternità. È grazie a questo passaggio di testimone, grazie alla capacità del proprio padre di mettersi da parte, grazie alla capacità del protagonista di reggere il senso di colpa per avere spodestato il padre dal suo posto, per vederlo rimpicciolire e ormai vecchio, che può compiersi il processo di assunzione della paternità. Prendere il suo posto è un traguardo, la realizzazione di un desiderio covato fin dall’infanzia ma nello stesso tempo è intriso di tristezza per aver spodestato il padre dal suo posto per vederlo rimpicciolito e ormai vecchio.
Nei capitoli successivi del libro vengono, invece, presentate riflessioni generate da varie esperienze cliniche. Nel quinto capitolo Papà in attesa di Cenerini e Messina, gli autori riportano osservazioni raccolte per alcuni anni attraverso la conduzione di gruppi esperienziali con i “papà in attesa” e i ”neo-papà”, in cui viene esplorato ciò che può sentire un uomo nel percorrere il viaggio che lo porta ad essere padre: tutti quei sentimenti, immagini, fantasie che si attivano nei futuri padri in attesa di un figlio, come, anche, le ricadute sulla futura madre e sullo sviluppo emotivo del figlio o della figlia. Nel capitolo sesto Nuova famiglia, primi legami di Cresti, Fiori, Lapi è stato raccolto un vasto materiale attraverso le indagini osservative svolte in famiglia con una metodologia di ispirazione psicoanalitica, l’Infant Observation secondo il modello di Esther Bick con cui è stato possibile osservare le dinamiche emozionali e relazionali dei padri ancor prima che il bambino sia nato. Nel capitolo settimo, sono state considerate le Paternità sospese (Italiano) legate a una nascita prematura. Come indicato in Genitori prematuri di Stern e Norman (2000), un figlio che nasce troppo presto significa doversi separare prima di essere pronti a farlo col rischio di interrompere bruscamente le fantasie intorno al bambino. Nel capitolo ottavo, le autrici Fiori, Fattirolli, Lapi, Mori e Pratesi hanno riportato le Mancanze, le Perdite e le Riparazioni della paternitàin cui il vissuto del lutto si risveglia con sensi di colpa, vissuti di vuoto presenti nella persona e nella coppia, stati di vergogna. Le autrici ci indicano come queste situazioni richiedano all’individuo e alla coppia uno sforzo di grande riadattamento: nuovi obiettivi si dovranno sostituire ai vecchi, nuove emozioni dovranno imporre diversi equilibri. Nell’ultimo capitolo di Fattirolli, Lapi, Fortini, Storie di paternità difficili, vengono, invece, presentati più esempi di paternità difficili che richiedono, ciascuno, a loro volta, un modo unico e proprio di essere padre.
Anche se nella visione attuale post-moderna, alcuni psicoanalisti hanno decretato il declino della funzione paterna, rimane necessario per la crescita psicologica globale del figlio, che il padre possa preservare quella funzione di guida etica e i propri connotati ideali, integrandoli, magari, con la sua tenerezza e affettività. Allora, parafrasando Recalcati, ci possiamo domandare, Cosa resta del padre? L’ultimo romanzo di McCarthy, “La strada”, sembra offrire suggestioni in questo senso. “La strada” sembra indicarci una nuova strada, senza dover avere il recupero nostalgico della figura padronale del padre. Nel libro è descritta una Apocalisse ipermoderna, un mondo sopravvissuto a una catastrofe ecologica senza precedenti. Il mondo è diventato spento, grigio, senza luce. Nel mondo non c’è il mattino e gli esseri umani si derubano, si mangiano, potremmo dire un mondo spogliato dalla Legge. Esistono, però, due generazioni: un padre e un figlio. A questo proposito, Recalcati descrive un passaggio molto intenso poeticamente: “siamo abituati a pensare alla mano pesante del padre che scuote, sancisce, qui viene presentata la mano posta delicatamente sul torace del figlio, attenta a percepire la presenza del suo respiro. In questo senso sembra di essere molto lontani dal mito di Edipo, il figlio non entra in contrasto col padre, ha, invece, bisogno del padre, come il padre ha bisogno del figlio e della tenerezza che prova per lui. Il figlio necessita del padre come anche il padre necessita del figlio”.
Come ci dicono le autrici del libro nel quarto capitolo (Cresti, Lapi, Mori), i nuovi padri delle ultime generazioni si presentano sempre più coinvolti e partecipi nell’accudimento primario del figlio e tale coinvolgimento emotivo e corporeo sollecita “(…) oltre alla mobilitazione delle parti maschili di sé e all’identificazione con il padre, anche una condivisione con una parte femminile di sé, rigettata dalla cultura tradizionale. I nuovi padri sono chiamati sempre di più a questo compito psichico, a tollerare i vissuti regressivi che può comportare, e a confrontarsi con tutto il complesso di identificazioni con le proprie figure femminili e infantili”.
Franco Fornari, distinguendo tra “codice materno”, che interpreta sulla base dell’affetto e della comprensione, e “codice paterno”, che interpreta invece sulla base del rigore e della frustrazione, ha espresso l’idea che la nostra società soffra di un eccesso di codice materno a discapito di quello paterno. Ciò, dice, comporta una stagnazione evolutiva, una difficoltà a crescere per impreparazione ad affrontare le durezze della vita adulta. Se questo è ampiamente condiviso, resta tuttavia difficile immaginare una rifondazione del codice paterno in una società non più sorretta da orizzonti simbolici in grado di giustificarlo e renderlo attendibile e riconoscibile. Se la funzione paterna resta sempre la medesima nel suo compito di introdurre una separazione fondante, senza la quale vi sarebbe un caos informe ed infecondo, un trionfo della pulsione di morte, come possiamo osservare in tante patologie legate alle varie forme di dipendenza, tuttavia il suo esercizio non può più essere appannaggio dei soli padri reali, deve diventare una tensione condivisa, sia in ambito familiare che sociale. La funzione paterna sembra oggi una funzione che possa astrarsi dalla concretezza sessuale del maschile, che pur ne rappresenta la testimonianza simbolica, per diventare un compito culturale che interessa l’intera società alla ricerca di nuovi parametri di senso che sappiano conferire un ordine semantico ed etico non più riconducibile a dogmi assunti come assoluti.
In conclusione, potremmo riprendere quanto anticipato da Fiorella Monti nella sua prefazione al libro: “se il mondo ha bisogno di padri, i padri hanno bisogno di essere aiutati a dare ascolto al loro bambino e al loro padre interni, a mettersi in contatto con le loro parti creative in grado di prendersi cura di quelle fragili”. Solo in questo modo, aggiunge, “sarà possibile immaginare un padre sempre più capace di tenerezza, di pazienza, di infondere speranza, di trasformare un problema in opportunità, di rispettare la libertà del figlio”.
Oggi, pur in un tempo di fluidità di ruoli e funzioni, per i neo-padri sembra possibile riuscire a trovare una loro specificità e centralità nel vivere la paternità grazie alla loro capacità di muoversi in un campo di vulnerabilità: una paternità che non sia individualmente esibita né socialmente perseverata ma, appunto, primariamente, una Paternità interiore.