Relazione presentata al seminario di Formazione Psicoanalitica – “Narcisismo e psicosomatica” di Vincenzo Bonaminio.
Auditorium Ente Cassa di Risparmio, 17 Marzo 2012
“Come stai?” ho chiesto ieri a un amico e lui, come sovente accade, mi ha risposto: “Mi difendo”. Normalmente queste parole sarebbero passate inosservate, ma questa volta ho meditato su di esse.
Mi difendo da cosa, a quale scopo? E’ un paranoico? Un visionario onnipotente che ritiene di potersi difendere da ogni attacco maligno alla salute? Un ossessivo alle prese con un nemico sempre in agguato? No, mi sono detta, è semplicemente un soggetto che ha una buona capacità di vivere il suo io sentendo che deve affrontare costantemente un conflitto, che vive quindi il suo essere con i suoi limiti, che ha un inconscio che riceve e trasmette, un preconscio in grado di rappresentare e legare le rappresentazioni , di cosa, di parola e di affetto, e che può trasmettere al conscio la speranza di farcela, con un sottofondo di depressione che in quelle parole non si cela del tutto. Depressione legata al senso di realtà che la mia domanda imponeva. . Come stai già metteva sul piatto le due alternative bene-male e con esse il Piacere di stare bene e il Dispiacere di stare male. E’ proprio con questo duplice percepire, piacere dispiacere, che il bambino inizia ad organizzare l’Io piacere che corrisponde alla prima operazione di giudizio di attribuzione.
Cioè quella operazione che serve a mettere dentro quello che è buono e rigettare quello che si sente cattivo. Certo questo è un primo tempo, tempo in cui si realizza l’allucinazione dell’oggetto legata al principio di piacere. Con essa appare anche la rappresentazione dell’oggetto in assenza e, nel tempo dell’io realtà, la capacità di accordare ad esso l’esistenza anche se in assenza. Questo processo avviene nella normalità, ma quando ci troviamo confrontati con pazienti che mostrano un pensiero legato al fattuale e al concreto, che mostrano una mancanza quasi totale del tono dell’umore, un gelo degli affetti, una mancanza di sensi di colpa e di angoscia, ci rendiamo conto che è in atto una denarcisazzione dell’Io , mentre vi è un sovrainvestimento del l’oggetto reale e concreto.
Mi sono chiesta come due miei Pazienti che presentavano una forma di depressione senza oggetto, una depressione senza depressione, chiamata Depressione Essenziale, avrebbero risposto alla mia domanda “come sta” e sono certa che sarebbe stata” bene”, senza espressione, con tono della voce pacato e monotono. In effetti quando Mario è venuto al primo appuntamento, puntuale, corretto e gentile, ma senza anima e le prime parole che ha pronunciato sono state: “ sono venuto perché mia moglie dice che non sono normale”. “in che senso?” chieo io, “non so, io non ho dolori, dormo e mangio, anche troppo, regolarmente.” Solo si sentiva stanco . Nessuna espressione particolare del viso, nemmeno quando mi diceva che la figlia di 9 anni era brava a scuola, poiché anche nei buoni risultati scolastici della piccola vedeva solo un adeguamento alle aspettative del mondo esterno. Il medico aveva consigliato la moglie di chiedere un aiuto psicologico poiché riteneva che la fatica che Mario denunciava fosse solo psicologica. In realtà Mario non aveva ottenuto la promozione che si aspettava nel suo impiego in un ente statale. La moglie, che lo ha accompagnato la prima volta, lo descriveva come un bravo uomo, dedito alla famiglia, molto religioso, perfetto lavoratore. Non era mai stato un estroverso, ma ora le pareva che la passività che mostrava, la mancanza assoluta di tono fossero eccessivi. In realtà Mario presentava una depressione essenziale, ovvero una depressione senza depressione la cui caratteristica principale è determinata da un inconscio che riceve ma non trasmette. Una melanconia senza oggetto. Se nella malinconia, così come la descrive Freud , c’è un processo di regressione che porta l’Io del soggetto a identificarsi con l’oggetto perduto, oggetto la cui qualità narcisistica è riconosciuta, in questo caso, come sopra ho già sottolineato si ha una perdita narcisistica dell’Io che, poggiandosi su un deficit di organizzazione narcisistica primaria, ci permette di dire che nella depressione senza oggetto si ha una perdita narcisistica primaria. In Mario non rabbia, non delusione, non sensi di colpa, c’era un “gelo degli affetti” come sottolinea Nicolaidis. Per fare questa diagnosi è importante che si metta in pratica una tecnica ben specifica . Bisogna guardare il modo con il quale il paziente entra, come si siede, come è vestito,, come si muove, infine tutti i modi di espressione senso-motori e percettivi al fine di captare le qualità pulsionali che potrebbero dare vitalità a un linguaggio da poter essere analizzato. Ma questo avverrà in un secondo tempo. Nella depressione senza oggetto in realtà l’aspetto atonico mette in evidenza una disorganizzazione mentale. Si ha la netta sensazione che il processo secondario si sia completamente isolato e scisso da quello primario. Si possono notare, durante la seduta, movimenti , gesti, reazioni sensorio-motrici o mimiche, oppure reazioni viscerali che possono essere interpretate come una sorta di linguaggio preverbale . Il modo di relazionarsi di Mario, così come quello di coloro che presentano una simile patologia, era di tipo regressivo, primitivo, devitalizzato e anche i comportamenti assumevano un carattere automatico anche se, in alcuni momenti, essi venivano superinvestiti pulsionalmente, il più frequente era il suo mangiare in modo compulsivo. Inutile cercare in lui l’espressioni di un desiderio, certo si sarebbe potuto pensare che una censura era in atto, ma se così fosse stato ci sarebbe stato una scelta, dei lapsus, delle irregolarità nell’uso dei tempi, l’utilizzo di condensazioni, di spostamenti, ma anche questi erano difficili da trovare poiché il linguaggio era povero e, come già sottolineato, essendo l’inconscio chiuso nella sua possibilità di esprimersi, i sogni erano nulli o sono immagini immobilizzate o legate ad avvenimenti concreti del giorno trascorso.
Anche Chiara era in uno stato di depressione senza oggetto. Aveva le stesse modalità di relazione, di linguaggio di Mario,la stessa espressività congelata del volto . Lei aveva investito un comportamento ripetitivo, stereotipato che riempiva completamente la sua giornata: giocava a un gioco al computer dal momento in cui si alzava sino a sera e solo per “dovere” svolgeva i lavori casalinghi inevitabili.
Se Mario si era presentato al primo colloquio con una buona salute, Chiara era affetta da una asma iniziata all’età di 2 anni dopo un grave trauma. Non è in questa sede che posso descrivervi tutti i passaggi di queste terapie, ma voglio sottolineare come l’investimento narcisistico sull’Io si sia rigenerato.
Mentre la moglie di Mario, dopo otto mesi di terapia senza risultati, almeno apparenti, gli aveva fatto sospendere la terapia, Chiara ha proseguito sino alla fine. Per due anni non ho avuto notizie di Mario. Chiara invece aveva avuto un notevole miglioramento dell’asma, che era praticamente sparita, ma ancora l’aspetto depressivo era evidente. Per ambedue la “malattia” che li ha colpiti, successivamente, ha avuto una funzione riorganizzatrice psichica. Ambedue si sono ammalati di cancro, ma mentre con Chiara ho potuto vivere i momenti più difficili sino alla completa guarigione, con Mario ho vissuto gli ultimi due anni prima della sua morte. Come possiamo pensare che una malattia come il cancro, in questo caso, possa giovare alla psiche? Più sopra, ho insistito sul fatto che nei casi in cui si presenta un paziente con una organizzazione sia mentale che di vita di tipo operatorio, ma soprattutto in casi di depressione senza oggetto, il disinvestimento è sull’Io del soggetto, sul suo mondo interiore, sulla sua possibilità di provare, o meglio, di poter percepire prima e rappresentare poi , sensazioni di piacere o dispiacere, di desiderio o paura. La malattia assume il carattere di oggetto, si impone con i suoi dolori, è qualche cosa che viene dal suo corpo, che lo attacca, che gli fa sentire il suo corpo, in qualche modo che risveglia quel corpo congelato, che riapre le porte all’inconscio, alla paura della morte e del dolore. La malattia è come un elettroshok che ridà vita alla psiche, almeno in certi casi. Mario e Chiara ne sono un esempio.
Mario dopo due anni mi ha telefonato e mi ha testualmente detto: “Ho bisogno di lei. Deve aiutarmi a morire vivo. Ho un cancro all’ultimo stadio”. Certo non è facile per un analista affrontare questo tipo di relazione. Se il mio narcisismo era stato duramente messo alla prova durante la prima fase del nostro percorso insieme, dove sentimenti di impotenza, di annullamento, di aggressività seguiti da sensi di colpa e disorientamento erano costanti, ora questa domanda mi toccava nel profondo, nelle mie paure della morte, e , forse, suscitavano in me un assurdo bisogno onnipotente di dirmi “ma io lo salverò”. Certo che Mario nei due anni che hanno preceduto la sua morte ha veramente vissuto con me momenti di grosse emozioni, di desideri, di piaceri e di paure, insomma di vita.
Chiara, invece, aveva manifestato il reinvestimento narcisistico del suo corpo quando, sottoposta a chemioterapia, cominciò a soffrire e disperarsi per la caduta dei capelli. Ricordo che M.Fain, con il quale seguivo in supervisione il caso, mi disse, “questa ce la può fare”. E devo dire che furono parole profetiche.
In ambedue i casi la malattia, subentrata in uno stato di depressione essenziale, aveva aiutato a rinarcisizzare e investire il proprio IO e con esso ritrovare la voglia di sentirsi vivi
Come ho sottolineato all’inizio di questo mio breve lavoro, la depressione si articola intorno alla nozione di perdita dell’oggetto, reale o immaginario investito narcisisticamente al punto che la sua perdita ci fa apparire il mondo povero e vuoto. Nella depressione senza oggetto solo l’oggetto concreto, esterno viene sovrainvesto a scapito dell’investimento dell’oggetto interno . Questo comporta, quindi, che anche l’istanza superegoica assuma più che altro una funzione di ideali e valori collettivi, un narcisismo basato sui valori della collettività che si impone appunto dall’esterno. Molto vicino all’individuo nella folla descritto da Freud in “Psic. Delle masse e analisi dell’io”, l’individualità sparisce, l’elaborazione soggettiva dei dettami esterni non vengono sottoposti ad alcuna critica, ma a differenza dell’uomo nella folla descritto da Freud, nel Paziente operatorio non vi è quell’eccesso di entusiasmo che manifestano i seguaci di un lider, anzi, al contrario il suo modo di essere è opposto: pacato, educato, ubbidiente, ma senza espressione emotiva nel volto. Brava persona che teme conflitti, tutto proteso a mantenere una omeostasi interna e una assoluta tranquillità esterna. Come Mario, prima della mancata promozione,questi soggetti appaiono bene integrati, buon padri di famiglia, diligenti impiegati , ligi ai dettami della legge, senza critica, pedissequamente. Questa modalità di vita operatoria può non dare sintomi, non è detto che queste persone si debbano ammalare. Certo che se un avvenimento esterno, anche se poco significativo, viene a turbare la loro omeostasi, può assumere valore di trauma capace di disorganizzare in modo drammatico questa “vita banale”. Così una forma di depressione senza oggetto si organizza. In essa si vede un disinvestimento libidico dell’io in quanto oggetto. Se nella psicosi il disinvestimento libidinale è relativo alla rappresentazione dell’oggetto, nella depressione essenziale, o depressione senza depressione, tipico dello psicosomatico, si mette in moto un processo di denarcisizzazione, che toglie all’Io lo statuto di oggetto. Questo comporta che il legame pulsionale non è più efficiente e la distruttività si libera e può creare quel processo contro evolutivo descritto da Marty, da De M’Uzan, Michel Fain ed altri. Chi ha rapporti con queste persone prova un sentimento di estraneità e nessuna sensazione o libido ci viene trasmessa. L’analista “è toccato a morte” (Pontalis – Perdre de vue”) e questo è il controtransfert che si sviluppa in queste terapie e che ci può aiutare a comprendere la storia di questi pazienti, soprattutto comprendere che qualche cosa delle basi del suo narcisismo non si è potuta organizzare. Il rischio è che noi ci si lasci vincere dalla noia, dalla stanchezza, dalla ripetizione continua dell’identico, dalla impossibilità di lavorare come siamo abituati cioè attraverso le interpretazioni. Con questi pazienti dobbiamo accettare di essere feriti nel nostro narcisismo di terapeuti, usare tecniche adeguate e stare molto attenti che non si voglia dire che noi siamo i detentori del sapere, che noi camminiamo nel verso giusto senza vedere che anche se zoppichiamo possiamo considerarci buoni analisti-