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Filippini S. (2003). Narcisismo e perversione relazionale

Testo della relazione di S. Filippini al terzo seminario su “I Profili clinici del narcisismo” (organizzato dal C.P.F. presso il Convitto della Calza – 22 febbraio 2003) che pubblichiamo per gentile concessione dell’Autrice

Nell’accingermi ad affrontare il problema delle perversioni narcisistiche, o perversioni relazionali, come abbiamo scelto di chiamarle, mi pare necessario, in via preliminare, separare da esse il gruppo delle perversioni stricto sensu, quello cioè delle perversioni sessuali. L’uso di questo termine è andato facendosi più raro, soprattutto in psichiatria, a causa della possibile commistione con giudizi di valore. Il DSM IV infatti usa al suo posto i termini di “disfunzioni sessuali”, “parafilie” e “disturbi dell’identità di genere”.

Freud il punto di partenza è obbligato ha studiato l’argomento a partire dalla Psychopatia Sexualis di Krafft-Ebing. Ripercorrendo in modo molto schematico le sue prime formulazioni, vediamo come, nei Tre saggi sulla teoria sessuale del 1905, Freud istituisca una distinzione tra aberrazioni riguardanti l’oggetto sessuale, come omosessualità, pedofilia, zoofilia, e aberrazioni che si riferiscono al fine, cioè quelle pratiche che non sono dirette alla congiunzione degli organi sessuali durante la copula, come l’esibizionismo, il voyeurismo, il sadismo e il masochismo… Nello stesso saggio Freud parla di pulsioni parziali (vedere, toccare, odorare, mostrare, picchiare, mordere, ecc…) scaturite da diverse zone erogene (la bocca, l’ano, la pelle in generale, i genitali stessi…) che a conclusione del processo di sviluppo della psicosessualità si sottomettono al primato genitale; se questo processo fallisce e tale risultato non viene conseguito, le pulsioni parziali entrano in conflitto con l’impulso genitale. Ciò può produrre esiti diversi: se la pulsione parziale viene rimossa e al suo posto compare il sintomo, abbiamo lo sviluppo di una nevrosi; in alternativa, se la pulsione parziale dominante si esprime liberamente, abbiamo come esito la perversione. Da qui deriva il famoso aforisma freudiano secondo il quale la nevrosi è il negativo della perversione (Etchegoyen e Arensburg 1982).

Successivamente Freud descrisse le fasi di sviluppo pregenitali che culminano nella fase fallica e nel complesso di Edipo. Solo nella pubertà l’individuo raggiunge una genuina relazione oggettuale (non incestuosa) ed entra nella fase genitale. Su questa base le perversioni si spiegano come fenomeni di fissazione e regressione ai livelli pregenitali di sviluppo, con una pulsione parziale che domina la vita sessuale del perverso e diventa il centro intorno a cui ruotano tutte le sue fantasie. Si deve anche ricordare come Freud successivamente ponesse il meccanismo del diniego alla base della perversione Si può dire, con Freud, che lo psicotico sostituisce la realtà con un’altra, il nevrotico la rimuove e il perverso la denega. In questo senso la perversione rappresenta una difesa dalla psicosi (1924).

Subito dopo Freud altri autori nel suo entourage, come Hans Sachs (1923, cit da Etchegoyen e Arensburg), hanno affrontato il problema della perversione: quest’ultimo ha stabilito una differenza tra nevrosi e perversioni a partire dalla constatazione che nelle prime il sintomo è egodistonico, mentre nelle seconde è sintono con l’Io. Nel 1945, nel suo Trattato di Psicoanalisi, Otto Fenichel ha considerato la perversione come una tecnica difensiva per eludere l’angoscia di castrazione al fine di raggiungere l’orgasmo genitale.
Successivamente, con lo svilupparsi di diverse scuole psicoanalitiche, le perversioni hanno ricevuto attenzione e considerazione diversa. Melanie Klein non ha affrontato questo argomento; tuttavia, con la sua teoria delle fasi schizoparanoide e depressiva e con la descrizione del meccanismo dell’identificazione proiettiva, ha posto le basi per un allargamento della sua comprensione. Si può affermare che in generale i kleiniani considerano le perversioni come manifestazioni dell’istinto di morte (Hinshelwood 1989).

Secondo Meltzer (1973) la sessualità perversa si sviluppa su una struttura narcisistica. La relazione del perverso con il suo oggetto è indifferente (Etchegoyen, Arensburg 1982), cioè non c’è separazione e differenza tra soggetto e oggetto sia in quanto l’oggetto non ha uno statuto proprio, non esiste per sè, sia perchè esso è affettivamente indifferente per il soggetto perverso che lo usa per i propri scopi e lo svaluta. Meltzer inoltre (1973) dilata il campo della perversione quando dice che “Non c’è attività umana che non possa venire pervertita, dato che l’essenza dell’impulso perverso consiste nel trasformare la parte buona in cattiva, conservando l’apparenza della bontà” e aggiunge: “così l’impulso perverso si lega a quello criminale attraverso il desiderio di svalutare e disprezzare gli oggetti buoni”. In questo modo l’autore collega perversione e psicopatia: si può anche affermare che la psicopatia prende origine dalla perversione. (Sanchez-Medina 2002) Anche Rosenfeld (1971) ha sottolineato l’importanza del narcisismo in particolare del narcisismo distruttivo – nella vita sessuale perversa. Egli considera il narcisismo come il tentativo di evitare la relazione oggettuale, e ne sottolinea appunto la natura distruttiva. L’oggetto nella relazione perversa rappresenta per l’Io infantile del soggetto un sostituto del seno o della coppia parentale. Masud Khan nel suo libro “Lo spazio privato del Sè” (1974) espone il suo concetto di trauma cumulativo, ovvero l’idea che un singolo trauma, per quanto importante, non è sufficiente a produrre una perversione. Egli dà valore piuttosto ad eventi traumatici ripetuti che hanno luogo nelle relazioni tra il bambino e chi si prende cura di lui.

Golberg (1995) considera i comportamenti perversi “da una parte come utili alla coesione del Sè, dall’altra come una condizione patologica che si esprime nello sfruttamento di altri” (pag.12).
Del tema della perversione si è occupata, in numerosi articoli e libri, Janine Chasseguet-Smirgel (1978, 1984, 1991). In estrema sintesi ella sostiene che in tutte le perversioni, indipendentemente dal loro contenuto specifico, c’è uno sfondo sadico. Lo scopo del perverso è la distruzione della realtà intesa come differenza tra i sessi e tra le generazioni, come necessario riconoscimento delle capacità generative dei genitori e dell’impotenza del bambino. La distruzione della realtà ha appunto lo scopo di annullare queste differenze, attraverso un processo che tende a rendere tutto uguale: ano e vagina, feci e latte, defecazione e nascita, pene e scibale fecali. L’autrice cita spesso l’opera di de Sade per mostrare come, nell’universo sadico, l’apparente molteplicità (che diventa invece monotona ripetizione) dei vari atti perversi rimanda in realtà ad un tentativo di sminuzzare, distruggere e abolire le differenze, come avviene nel processo digestivo in cui le feci diventano omogenee e non si può di certo più distinguere il lesso dall’arrosto! C’è insomma una fecalizzazione che annulla le differenze odiate dal perverso. Chasseguet-Smirgel fa propria l’affermazione di Stoller secondo il quale la perversione è una forma erotizzata di odio.

Un Panel dell’American Psychoanalytic Association del 1991 è stato dedicato al tema del sadomasochismo nelle perversioni. Non è questa la sede per riassumerne i contenuti: basti citare il fatto che in quell’occasione Pulver ha proposto un suo tentativo di definizione, affermando che si può parlare di perversioni quando per raggiungere l’eccitazione sessuale è obbligatorio fare ricorso a fantasie erotiche e comportamenti che non hanno come oggetto il rapporto genitale (naturalmente, dopo avere dato una definizione così ristretta, Pulver ha dovuto ammettere che una dose di fantasia perversa è ubiquitaria, che il comportamento perverso è frequente e si estende lungo uno spettro di psicopatologia che va dalle nevrosi, ai disturbi di personalità, alla psicosi), mentre Sandler ha concluso il Panel interrogandosi sulle differenze tra comportamenti sessuali di tipo perverso, fantasie perverse che non vengono messe in atto e aspetti non sessuali della perversione.

In Italia, Franco De Masi si occupato di perversioni nel suo volume La perversione sadomasochistica. L’oggetto e le teorie (1999) In questo studio egli si è proposto di mettere a fuoco, appunto, la perversione sadomasochistica, anzi di fare di questa perversione una sorta di “tipo ideale” nel senso che Max Weber attribuisce a quest’espressione – che consenta di distinguere nettamente questa entità psicopatologica da tutta una serie di comportamenti sadomasochistici riscontrabili in altre condizioni psichiche, come le strutture borderline e psicotica, nelle quali essi svolgerebbero funzioni difensive, finalizzate a evitare l’angoscia e a mantenere l’integrità psichica. Nella perversione sadomasochistica propriamente detta, invece, lo scopo fondamentale del perverso consiste, secondo De Masi, nel dominio sull’oggetto e nel trionfo, di qualità maniacale, che ne deriva.

L’autore distingue nettamente la perversione sadomasochistica dalle altre espressioni della sessualità, e giunge ad affermare che la prima, la perversione, non ha nulla a che fare con la sessualità condivisa. Come fa rilevare Barale, nella intelligente prefazione al volume, la teoria delle perversioni che De Masi propone è, in modo apparentemente paradossale, “non erotica, non sessuale e, direi, non oggettuale” (pag.10). De Masi ritiene infatti che, ai fini della comprensione della patogenesi della perversione sadomasochistica, sia più utile rivolgere lo sguardo alle vicissitudini dell’aggressività che a quelle della sessualità.
“Fondamentalmente, concepisco la perversione come una tecnica di eccitamento mentale, che nasce dall’isolamento e si svolge nell’immaginario personale. L’eccitamento si autoproduce attraverso specifiche figurazioni il cui nucleo è rappresentato dal piacere di dominare o possedere un altro o, viceversa, di essere dominati o abusati. Anche se l’ambito delle azioni nella perversione si limita alla sfera della sessualità, l’eccitamento non deriva da una forma primitiva di sessualità, ma piuttosto dall’idea del potere, senza la quale non verrebbe mai mobilitata alcuna sessualità perversa” (pag.128). Nell’ultimo capitolo, conclusivo, di questo saggio l’Autore, coerentemente con il suo interesse a elaborare una spiegazione del fenomeno della perversione, pone in rapporto il “male con il piacere” per mostrare come il primo sia, in alcuni casi, causa del secondo. Egli si interroga anche sulla natura del “male”, che fa coincidere, in ultima analisi, con il costrutto della “distruttività”.

“La distruttività fredda è simile a un assassinio senza passione; il male è insensibile al dolore proprio e altrui. Il male non è l’opposto dell’amore, ma freddezza e assenza di amore. (…) A mio avviso il male conduce a una forma di orgasmo mentale che consente di agire al di fuori di ogni consapevolezza e responsabilità” (pag. 159). Qualunque cosa si pensi di questo accostamento tra termini così eterogenei come male e piacere (io non ne penso bene…), resta il fatto che il libro di De Masi – allo stesso modo degli scritti di Chasseguet-Smirgel, di Rosenfeld, di Meltzer, di Masud Khan – ha il merito di fare intravedere che il meccanismo perverso, che trova nella sessualità il luogo ideale in cui esercitarsi, può senza troppe forzature essere considerato come origine e causa di tratti di carattere, stili di comportamento, marchi relazionali. E’ a questi aspetti che intendiamo rivolgerci ora.

Dalla perversione sessuale alla perversione relazionale
Adopereremo quindi, d’ora in avanti, il termine perversione nel suo significato letterale di atti o comportamenti o stili di relazione che determinano una deviazione, un mutamento in senso deteriore, che guastano, corrompono (Vedi anche il Vocabolario della Lingua Italiana “Il Conciso” Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1998). Anche Meltzer (1973, già citato) si riferiva a questo alone semantico del termine quando affermava: “Non c’è attività umana che non possa essere pervertita, dato che l’essenza dell’impulso perverso è di trasformare il buono in cattivo, pur conservando l’apparenza del buono” (pag.208).

Nella letteratura psicoanalitica viene spesso usato anche il termine di “perversità” per riferirsi ad alcuni tipi di comportamento, di personalità o di legame. Il termine ha un’implicazione non sessuale e si avvicina al concetto di distorsione, rovesciamento, pervertimento di ciò che è reale, vero o giusto. E’ sinonimo insomma di perversione morale (Cohen 1992, Hirigoyen 1998, De Masi 1999). In questo stesso senso e per evitare ridondanze, useremo il solo termine di perversione.

Ma come si collega il termine e concetto di perversione a quello di narcisismo? Perchè abbiamo intitolato il nostro seminario “Narcisismo e perversioni relazionali”? Da un lato il collegamento è presente benchè non frequente in letteratura. Esso è proposto da Racamier che in modo molto chiaro fa riferimento alla patologia perversa non sessuale – “non sessuale, ma morale, non erotica, ma narcisistica”. Danno per scontato tale collegamento anche Anna Maria Pandolfi (1999), cui siamo particolarmente debitrici, e Marie-France Hirigoyen (1998). Esso è presente, benchè in una prospettiva parziale, nel lavoro di altri autori, tra i quali Cooper (1989), che mette in evidenza lo stretto legame tra narcisismo e perversione masochistica, Goldberg (1995) che affronta il tema delle perversioni all’interno della teoria del narcisismo di Kohut, e Gear e Liendo (1981) i quali stabiliscono un collegamento tra strutture narcisistiche e relazione sadomasochista.

A noi sembra che esista inoltre una necessità logica di presupporre tale collegamento. Come abbiamo più volte affermato, la caratteristica essenziale dell’assetto narcisistico di personalità consiste nell’indifferenza verso la relazione oggettuale. Il narcisista non riconosce l’esistenza dell’altro. Maldonado (1987) sostiene anzi in modo apparentemente paradossale – che il narcisismo “compiuto” richiede la presenza di una relazione d’oggetto, con un oggetto però che non è riconosciuto come tale, ma che serve al soggetto per mantenere l’illusione di potere fare a meno di qualunque oggetto. Così tra i due membri della relazione narcisistica scorre una comunicazione “vuota” un discorso che non trasmette niente. Detto in altri termini, il narcisista ha relazioni con oggetti-sè, in quanto non instaura una vera relazione con l’altro, ma lo usa per l’utilità che esso può avere per la propria identità e per il sostegno della sua autostima. Vi è insomma un’indifferenza verso l’alterità e un mancato riconoscimento dei suoi diritti. L’altro è lì per essere usato dal narcisista per i suoi bisogni. D’altro lato, l’essenza del modo perverso di relazione o perversione relazionale – consiste proprio nel trasformare la relazione d’oggetto in relazione di potere, nel disconoscere i diritti dell’altro, nell’usarlo a proprio piacere. Nel corrompere la relazione per ottenerne il controllo.

Le figure dalla perversione
In questi ultimi anni ho avuto la possibilità di lavorare con donne maltrattate nell’ambiente familiare; qualche volta, anche se più raramente, ho anche avuto l’opportunità di avere a che fare con uomini che maltrattano le loro compagne. Ho sentito il bisogno allora di disporre, per comprendere questi pazienti, di descrizioni più dettagliate e di un inquadramento teorico più convincente. Quella del maltrattamento è una tematica enorme che la psicoanalisi non ha ancora affrontato in modo specifico, tranne poche eccezioni (come Fonagy 2001). Il maltrattamento, di certo, include una certa varietà di modi e di forme: non così ampia però, come si potrebbe immaginare: la “banalità del male” è anche limitatezza, mancanza di fantasia, ripetitività.

Mi pare che almeno una prima, grossolana distinzione vada fatta tra maltrattamento psicologico e fisico, perchè nel primo caso mi sembra che siano in gioco soprattutto tentativi di controllo dell’oggetto ma possiamo usare il termine vittima compiuti attraverso l’uso della denigrazione, della svalutazione, del rimprovero e del sarcasmo, mentre nel caso del maltrattamento fisico, dell’usare violenza sul corpo di un’altra persona, mi sembra che si debbano prendere in considerazione anche altri meccanismi. Si deve dire anzitutto che si tratta, in questo secondo caso, di situazioni più gravi, non soltanto per le conseguenze sulla vittima ma anche per ciò che rivelano sulla patologia del perpetratore: si potrebbe pensare, ad esempio, ad un insufficiente funzionamento dei meccanismi di controllo degli impulsi. Sappiamo però, e lo stesso Fonagy (2001) ce lo ricorda, che spesso gli episodi di violenza fisica sono di lunga durata: dalle 2 alle 24 ore; questa constatazione toglie forza alla spiegazione fornita dal mancato o impossibile controllo degli impulsi, o meglio, le toglie il carattere della generalità, anche se non si può escludere che a volte sia proprio questo il meccanismo in gioco. Di certo si deve considerare il fatto che, in modo particolare in questi casi, non c’è nessuna capacità di provare compassione o rimorso, di mettersi nei panni dell’altro, di comprenderne empaticamente la sofferenza.

Ci sono, come dicevo, tipi di perversioni relazionali che sorgono sul terreno della struttura narcisistica della personalità, e che, anche se non giungono ad espressioni tanto gravi, alla violenza fisica, minano tuttavia la vittima attraverso l’uso sistematico della violenza psicologica. In un libro intitolato Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro (1998), Marie-France Hirigoyen, una psichiatra che si occupa delle vittime della violenza dei perversi, traccia un sintetico excursus della fenomenica della perversione. Ella afferma come prima cosa la stabilità del tratto di carattere in questione: si potrebbe dire anzi che la perversione è stabile proprio perchè rappresenta un tratto di carattere tratto decisivo nella personalità di cui ci stiamo occupando. L’autrice dichiara inoltre che il perverso non si mette mai in discussione in quanto non può vivere il conflitto nella propria interiorità deve espellerlo, collocarlo all’esterno, in qualcun altro. Questo ci ricorda la nota affermazione di Kurt Schneider secondo cui psicopatici sono quegli individui che a causa della loro patologia soffrono e fanno soffrire gli altri (e nel nostro caso è necessario sottolineare molto il secondo termine: “fanno soffrire”). Hirigoyen afferma inoltre che essi fanno soffrire gli altri “distruggendoli”. Essi suscitano intorno a sè un’atmosfera di disagio e di paura.

“Un individuo perverso è perverso sempre; è bloccato in questa modalità di relazione con l’altro e non si rimette mai in discussione. Anche se la sua perversità passa inosservata per un pò, si manifesterà in tutte le situazioni in cui dovrà impegnarsi e riconoscere le proprie parti di responsabilità, perchè gli è impossibile rimettersi in discussione.
Individui del genere possono esistere soltanto “distruggendo” qualcuno: hanno bisogno di sminuire gli altri per acquisire una buona stima di sè e conquistare il potere, perchè sono avidi di ammirazione e approvazione. Non hanno nè compassione nè rispetto per il prossimo, perchè il rapporto non li coinvolge. Rispettare l’altro vuol dire considerarlo come un essere umano e riconoscere la sofferenza che gli si infligge.

La perversione affascina, seduce e fa paura. Qualche volta si invidiano i perversi, perchè si immagina che dispongano di una forza superiore, che consente loro di essere sempre vincenti. In effetti sanno manipolare con naturalezza, il che nel mondo degli affari o della politica sembra essere una carta vincente. Li si teme anche perchè istintivamente si sa che è meglio stare con loro che contro di loro. E’ la legge del più forte…” (pag. XI-XII) Tra gli psicoanalisti Cohen (1992) ha parlato di perversione e specialmente di perversità, per riferirsi al maltrattamento (mis-use) di una persona da parte di un’altra. L’Autore sostiene che persone che maltrattano gli altri per evitare la responsabilità dei propri conflitti interni tendono a diventare dipendenti dalle loro vittime. Lo sfruttamento di un’altra persona allo scopo di mettere il conflitto fuori di sè può essere considerato perverso, indipendentemente dal fatto che la relazione sia vissuta sul piano sessuale o no. Cohen dice che in queste relazioni l’altro viene “deumanizzato” e degradato al livello di oggetto parziale, ricettacolo dell’identificazione proiettiva del soggetto, della sua manipolazione onnipotente e del suo sfruttamento.Lo scopo di chi maltratta un altro è ottenerne il controllo negandone separatezza e autonomia.

“Io descrivo le perversioni come forme di dipendenza patologica, come organizzazioni difensive stabili che sono molto resistenti al cambiamento a causa del loro ruolo nella difesa dalla distruttività e nella preservazione del bisogno oggettuale” (pag.281-282).
Racamier (1992) sostiene che il principale obiettivo dell’azione perversa è quello di calpestare la verità e di manipolare cose e persone ai propri fini, primo fra tutti l’evitamento di ogni conflitto interiore. Usando l’altro il perverso si risparmia del lavoro psichico, o meglio se ne difende, in quanto si difende dalla sofferenza che il lavoro psichico comporta, e fa pagare il conto ad altri.

Mentre nella relazione oggettuale narcisistica la persona che riceve l’investimento narcisistico può non accorgersi dell’uso che viene fatto di sè – anzi, talora può parteciparvi anche con un certo piacere – nella relazione d’oggetto narcisistico-perversa essa subisce un vero e proprio maltrattamento: ne è insomma la vittima. Il perverso non può agire da solo, ha bisogno di un altro, di qualcuno cioè che entri in specifica, e non generica, relazione con lui. In questo senso la perversione è una patologia relazionale: non la si vede che nel rapporto con un altro, una vera e propria preda che il perverso soggioga e sfrutta a proprio vantaggio.
la perversione narcisistica è caratterizzata dal bisogno e dal piacere di far valere sè stessi a spese di altri. Si tratta di un piacere specifico. Certo non è erogeno, anche se qualche aspetto di perversione sessuale vi è spesso, se non sempre, associato. Tale piacere è ottenuto con manovre e comportamenti pragmaticamente organizzati a detrimento di persone reali. Quanto al bisogno che sottende questa perversione, le sue sorgenti inconsce, certamente complesse e parzialmente pulsionali (parzialmente è qui una parola che conviene doppiamente), sono fondamentalmente contro-depressive e anti-conflittuali (Racamier, 1992, p.304).

Le perversioni in generale hanno come caratteristica fondamentale quella di trasformare vari contenuti dell’apparato psichico, quindi istinti, motivazioni, relazioni, processi, significati, e scopi, in qualcosa di diverso da come sarebbero al naturale, anche se non è facile definire in che cosa consisterebbe ‘il naturale’. Ma in particolare la perversione tende alla negazione e alla trasformazione di alcuni aspetti della verità e non a caso Racamier ci ha segnalato l’aspetto perverso come tratto anti-analitico per eccellenza. La caratteristica peculiare delle perversioni è dunque la tendenza a trasformare qualcosa in qualcosa d’altro, nelle perversità addirittura nel loro contrario.(Pandolfi, 1999, p.61).

Anche A.M.Pandolfi (pp. 61-63)nota che le perversioni narcisistiche o relazionali non sono state finora ben studiate nella clinica psicoanalitica, di cui costituiscono un settore nuovo, per vari motivi: innanzi tutto perchè in questo caso il concetto di perversione non viene applicato al campo sessuale. Va sottolineato che, se le perversioni sessuali e quelle relazionali hanno alcune radici ed elementi comuni, quelle relazionali sono per loro natura intersoggettive. E’ inoltre raro che lo psicoanalista osservi direttamente questa patologia perchè essa – se appartiene all’individuo – tuttavia si realizza nel gruppo, nella coppia, nella famiglia. E’ stato con l’apertura della psicoanalisi alla campo delle coppie, delle famiglie e delle istituzioni che le dinamiche interpersonali perverse hanno cominciato a venire osservate e studiate. Un altro motivo per cui è raro che queste forme vengano viste negli studi psicoanalitici è che esse sono in genere ego-sintoniche, oltre che tipicamente clandestine e mimetizzate dentro comportamenti apparentemente normali: è ben difficile che un perverso vada a consultare qualcuno per farsi aiutare, se non quando si verifichino degli scompensi nel momento in cui il patto perverso va in crisi. Per lo più i comportamenti perversi nell’ambito relazionale venivano rubricati sotto la categoria della ‘malvagità’ – il che faceva sì che la comprensione psicopatologica venisse by-passata.
Un terzo motivo che ha contribuito a tenere l’area delle perversioni narcisistico-relazionali fuori dall’osservazione della psicoanalisi ha a che fare con il tipo di sentimenti che esse suscitano.

Così si esprime su questo A.M.Pandolfi: “… l’area delle perversione relazionali/narcisistiche ci confronta con persone che, ancor più dei perversi sessuali, evocano in noi particolari difficoltà interpersonali, con vissuti di antipatia, fastidio, noia, talora diffidenza e/o disinteresse per il sentore di inautenticità, e spesso se noi siamo disponibili ad intenderli, una certa confusione ed un vago senso di allarme. Emozioni e stati del sè che tendono a farci scivolare fuori dall’assetto clinico e a farci provare importanti difficoltà empatiche, identificatorie e controidentificatorie che tendono ad indurci in comportamenti reattivi e in agiti; che comunque ci pongono in situazioni transferali e controtransferali che sollecitano le nostre stesse inclinazioni perverse più o meno clandestine e inconsapevoli delle quali nessun essere umano è esente, ma dalle quali fortemente ci difendiamo” (ibidem, p.63).
Nel film Angoscia, Charles Boyer interpreta il ruolo di un marito che cerca di fare impazzire la moglie facendo in modo che la donna (Ingrid Bergman) non si fidi più delle proprie percezioni. A questo scopo, tra l’altro, altera la luce delle lampade a gas della casa. La donna vive con molta angoscia la sensazione di stare impazzendo. Alla fine si scopre che il marito è uno psicopatico criminale.

Dal titolo inglese del film, Gaslight, è derivata un’espressione, gaslighting, che si può trovare nella letteratura anglosassone per indicare comportamenti messi in atto allo scopo, più o meno cosciente, di far sì che un’altra persona dubiti di se stessa e dei suoi giudizi di realtà, che cominci a sentirsi confusa o a temere di stare impazzendo. Gaslighter è la persona che si pone come agente di questo particolare tipo di maltrattamento. Di “gaslighting” hanno parlato Calef e Weinshel (1981) che lo considerano una sottospecie della relazione sadomasochistica. Essi affermano che il perpetratore “scarica” sulla vittima i propri conflitti per liberarsi di essi e dell’ansia che ne deriva. Un altro tipo di maltrattamento, molto più conosciuto e diffuso, che viene messo in collegamento con la personalità narcisistico-perversa che stiamo cercando di delineare è il mobbing, il maltrattamento in ambiente di lavoro: un argomento che meriterebbe una trattazione a sè, ma che non costituisce l’oggetto del presente lavoro.

Credo che possiamo pensare i comportamenti di maltrattamento come riferiti ad una psicopatologia che, per così dire, si estende lungo un continuum che dal disturbo narcisistico di livello alto, attraverso il disturbo borderline, giunge fino alle forme più gravi di disturbo antisociale di personalità (Kernberg 1998). Questa linea continua viene attraversata in un punto da un’altra linea, quella della perversione, così come stiamo cercando di definirla: intorno a questo incrocio di linee si forma un alone con varia densità e dispersione, che rappresenta la gamma dei comportamenti che indichiamo come perversione narcisistica, al modo di Racamier e Hirigoyen, oppure come perversione relazionale, termine che preferiamo, seguendo in questo caso il suggerimento di Anna Maria Pandolfi. Il primo termine, perversione narcisistica, denota il meccanismo intrapsichico di questa perversione, la dinamica intrasoggettiva, mentre il secondo pone particolarmente in rilievo l’aspetto intersoggettivo, relazionale, appunto.

Si potrebbe obiettare a questo punto che è inutile introdurre un nuovo concetto quando ne esiste già uno che denota la stessa situazione, il concetto cioè di relazione sadomasochistica. Normalmente anch’io credo che “entia non sunt moltiplicando praeter necessitatem”: penso però, allo stesso tempo, che il termine e concetto di perversione relazionale si riferisca a un’area di fenomeni che non è adeguatamente descritta dal termine “sadomasochismò. Provo ad esplicitare le differenze. Innanzi tutto il termine “sadomasochismò connota soprattutto la perversione sessuale; anche quando viene usato per indicare un tipo di relazione interpersonale, non sessuale, esso mette in risalto e dà valore al piacere che entrambi i componenti della coppia traggono dal loro modo di relazione. Si può anche aggiungere che molto spesso nella relazione sadomasochista vi è un’inversione dei ruoli. Quando parliamo di perversione relazionale, invece, ci riferiamo al tipo di relazione che il perverso mette in atto con la sua vittima. Egli può provare piacere, il piacere che deriva dal detenere il potere e dal dimostrare a se stessi, tutte le volte che si vuole, che lo si detiene. La vittima non prova piacere: può provare confusione, sconcerto, perplessità, può diventare depressa e colpevolizzarsi, oppure, su un registro più maniacale, può illudersi, almeno all’inizio, di riuscire a curare il partner, o addirittura a guarirlo non mi sembra però di avere mai osservato qualcosa che si possa chiamare piacere. In questi casi, inoltre, non c’è inversione dei ruoli: il perverso non lo può permettere.

Bibliografia
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