Conclusioni – Seminario “Il lavoro della parola nella psicoanalisi di Stefania Turillazzi Manfredi” (Firenze, 3 Dicembre 2016) che pubblichiamo per gentile concessione dell’Autrice.
A me spetta oggi dare conclusione a questa giornata così intensa e partecipata. Stefania Manfredi è stata la mia analista e io le sono grata per avermi dato una seconda opportunità di vivere una vita piena e sufficientemente libera dai fantasmi del passato.
Stefania non era una persona facile: diceva sempre quello che pensava, anche troppo talvolta, e questa libertà, che si concedeva con una certa generosità, negli anni ’90 probabilmente le costò la possibilità di diventare la prima donna presidente della SPI. Era una maremmana dalle opinioni forti, dalle affermazioni lapidarie; indimenticabili per me le sue fulminanti osservazioni sul funzionamento della mente, a partire dalla mia. Era una persona difficile, ma era anche una persona libera: il suo pensiero psicoanalitico, espresso in modo lucido e con chiarezza di argomentazione, era un pensiero libero, anche dalle teorie che più amava. Amava dire che ci deve essere una mente analitica piena di teorie che si pone come un ricettacolo per le esperienze del paziente e non l’analista con una teoria che cerca un paziente in cui metterla.
E di questa sua libertà i suoi analizzati e i suoi allievi sono la migliore testimonianza: siamo in molti qui oggi, tutti molto diversi l’uno dall’altro, come persone e come analisti. E nonostante che il suo rapporto con il CPF sia stato a tratti aspro, prova ne fu il suo passaggio al centro milanese, negli ultimi sedici anni cinque segretari scientifici e due presidenti del CPF l’hanno avuta come analista o come supervisore e di questa libertà che lei ci ha trasmesso le siamo riconoscenti.
Noi colleghi amici la ricorderemo con l’appellativo che le dette mio marito dopo averla conosciuta: la Suprema, appellativo che, come potete immaginare, lei apprezzò molto.
Mi piace pensare che se avesse potuto lasciarci lo avrebbe fatto con le parole di Borges (1941), il poeta da lei più amato:
“Lascio ai vari futuri (non a tutti)
il mio giardino di sentieri
che si biforcano”