Estate del 1982, campionati del mondo di calcio, l’Italia vince. Le strade sono piene di gente che festeggia e nel senso opposto dello scorrere della folla si allontana un motorino: Gianni e Nino si dirigono verso il loro luogo segreto, verso la loro scelta definitiva.
È questa l’ultima scena di Stranizza d’amuri (2023), opera prima di Giuseppe Fiorello, che racconta la nascita, il riconoscimento e la fine di un amore fra due giovani adolescenti, Gianni e Nino, in un contesto sfavorevole da quasi tutti i punti di vista.
Se è vero che, come dimostrerebbe un celebre esperimento di Milgram a Yale negli anni ’60, “la maggioranza della gente tende alla passività morale, preferisce seguire la corrente generale piuttosto che assumersi il rischio di una decisione autonoma” (La Porta, 2023), la scena sembra suggerire un eccezionale movimento contrario da parte dei protagonisti, rispetto a una comunità a cui “piace soprattutto trovarsi nella condizione di fare il male senza sentirsi colpevoli” (La Porta, 2023), convinta cioè di eseguire un precetto sociale irrinunciabile.
Il film è tratto da una storia vera avvenuta a Giarre: il 31 ottobre 1980 Giorgio Agatino Giammona di 25 anni e Antonio Galatola di 15 anni furono trovati morti, mano nella mano, uccisi da un colpo di pistola in testa. I due venivano chiamati dai compaesani “i ziti” e Giorgio era soprannominato “puppo co bullu”: Fiorello sceglie di riportare questa definizione nel film con molta potenza visiva. La scritta “puppu co bullo” compare a caratteri cubitali davanti all’officina dove lavora Gianni.
Racconta la Sicilia degli anni ’80, la miseria, la disoccupazione, lo sfruttamento del lavoro, i pregiudizi e la cultura amara di quegli anni, in quella terra e non solo.
L’atmosfera cupa e dura del pregiudizio si illumina negli sguardi dolcissimi di Nino e Gianni, nei loro bagni in acque limpide, nel sostegno di una giovane donna, Giuseppina, anch’essa vittima, oltre che carnefice, ma che unica esprime benevolenza.
Anche se l’ambientazione fa pensare a qualcosa di passato, le tematiche che, l’opera, tratta non sono passate, anzi ritornano in forme e modi diversi, ma veicolando il medesimo pregiudizio verso scelte di amore e convivenze che non rispettano la cosiddetta “natura”.
Basti pensare che ancora adesso sono 70 i paesi del mondo dove l’omosessualità è reato. In Iran, Arabia Saudita, Yemen, Nigeria, Sudan e Somalia viene praticata la pena di morte, che è stata introdotta anche nel 2019 in Brunei e nel 2023 in Uganda. In un mondo globalizzato a volte abbiamo una vista molto parziale!
Ma anche in Europa l’Ungheria sta introducendo leggi discriminatorie mutuate dal modello russo e nella nostra “avanzatissima” Italia non c’è ancora una legge contro l’omotransfobia.
Come spesso accade i prodotti della creatività, anche inconsapevolmente, ci parlano dell’attualità.
Così anche Stranizza d’amuri ci interroga, in un ‘epoca di grandi cambiamenti, anche sulle nostre scelte di amore, se siamo davvero esenti dal pregiudizio, come nelle problematiche sollevate dai movimenti LGBTQIA+ e nei femminicidi che, ormai, avvengono quasi quotidianamente.
Le donne, le madri sono centrali nel film, donne un po’ complici e un po’ prigioniere, madri che si dibattono fra l’amore per il figlio, la protezione della famiglia, la protezione di se stesse. Dice Gianni alla madre “Tu vuoi proteggere solo a te, perché se poi la gente parla alle spalle quello ci caccia via”
E qui c’è un aspetto forse un po’ ingenuo, sicuramente didascalico, che il film ci indica: lo stretto rapporto con la madre come genesi di un orientamento omosessuale maschile.
È ormai un dato acquisito che nella genesi dell’orientamento sessuale intervengono fattori bio-psico-sociali in un intreccio soggettivo e personale.
Freud nel 1935, rispondendo a una madre che gli poneva il caso dell’omosessualità del figlio rispondeva “L’omosessualità non è certo un vantaggio, ma non c’è nulla di cui vergognarsi, non è un vizio, non è degradante; non può essere classificata come una malattia; riteniamo che sia una variazione della funzione sessuale, prodotta da un arresto dello sviluppo sessuale”
È pur vero che nella storia della psicoanalisi ci sono stati anni bui, gli anni ‘60 in cui ci sono stati autori (Bieber, Oversey, Socaridis, ecc.) che hanno teorizzato l’omosessualità come una patologia grave proponendo “terapie riparative” per riportare il soggetto ad una “sana” eterosessualità.
È solo nel 1973 che la comunità psichiatrica americana elimina dal terzo Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) l’omosessualità.
Tornando al film la tensione erotica omosessuale pervade le scene maggiormente omofobiche dei perdigiorno al bar che bullizzano Gianni e giocano fra di loro, ma anche in scene che ci riportano alla tradizione cattolica delle processioni, dove sono gli uomini che a dorso nudo portano il santo.
La colonna sonora, molto curata, che ha la sua parte centrale nella voce e nella poesia di Battiato, concittadino di Fiorello e interprete magico di quella terra siciliana, è particolarmente evocativa.
E quindi sentiamo i New Trolls sottolineare la prima volta che volta che Gianni va a casa di Nino .
La Hit di quegli anni, Cuccurucucu Paloma viene cantata da Gianni e Nino, quando con l’Ape, felici vanno verso il loro primo lavoro insieme.
Le note de Il mio mondo di Umberto Bindi accompagnano un ballo struggente di Gianni con la madre che con i loro corpi trasmettono intimità, intesa, felicità, ma nello stesso tempo tristezza, ineluttabilità.
Dammi solo un minuto dei Pooh accompagna il pestaggio di Gianni: in un minuto le cose cambiano da bravo ragazzo, solerte lavoratore Gianni diventa il male a cui si deve dare una lezione, ma anche i suoi persecutori cambiano, sembrano capire l’ingiustizia.
La forza della canzone di Battiato, che ha lo stesso titolo del film e lo chiude, narra di un amore in guerra:
“Man manu ca passunu i jonna
Sta frevi mi trasi ‘nda lI’ossa
‘Ccu tuttu ca fora c’è ‘a guerra
Mi sentu stranizza d’amuri
L’amuri
E quannu t’ancontru ‘nda strata
Mi veni ‘na scossa ‘ndo cori
‘Ccu tuttu ca fora si mori
Na’ mori stranizza d’amuri
L’amore vince e supera l’orrore della guerra e la guerra spesso ci circonda, non soltanto la guerra guerreggiata con armi e invasioni, ma anche quella che si attua attraverso scelte di politica culturale ed economica a cui stiamo assistendo in una sorta di dormiveglia sociale che tutto accetta nella speranza di avere qualcuno che si occupa e decide per ognuno di noi, in un crollo della responsabilità personale che spesso ci fa guardare da un’altra parte.
Per dirla con Freud (1932): “…se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione: l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi fra gli uomini deve agire contro la guerra”. Il processo però non è lineare, è, anzi, altamente contraddittorio. Stranizza d’amuri sembra dirci che l’emersione di un eros proibito (non è qui il caso di approfondire perché lo sia, anche se il film suggerisce che la proibizione riposi sulla paura di qualcosa che è dentro l’individuo o, addirittura, nella comunità) crea a sua volta una guerra. Possiamo solo sperare e fare in modo di affrontarla e vincerla con le armi della persuasione, del dialogo, dell’incontro. E siamo di nuovo a ciò che unisce, all’Eros.
Riferimenti bibliografici
Freud, S. (1932). Perché la guerra?, Opere vol 11, Bollati Boringhieri
reud, S. (1935). Lettera a Nrs. N. In: Jones E. (1935) Vita e opere di Freud, III. Milano, il Saggiatore, 1953.
La Porta, F. (2023) Agli ordini!, Robinson supplemento di Repubblica del 29 luglio 2023