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Close di Lukas Dhont. Recensione di Vincenza Quattrocchi

Close di LUKAS DHONT è stato in concorso al 75° Festival di Cannes, dove ha vinto il Gran Prix della Giuria ed ha partecipato come candidato al premio Oscar per il miglior Film.

Il regista ama esplorare il mondo dell’adolescenza, come ha fatto nel precedente film, Girl.

La scena si svolge in un tripudio di fiori e di giovani presenze. Ma quest’aria fresca nasconde insidie ed un profondo dolore, crescere comporta inevitabili sofferenze.

Tèo e Rèmi, sono nati in provincia e, pur avendo entrambi una famiglia, vivono praticamente insieme.  Sono figli unici e spesso dormono ora nell’una, ora nell’altra casa, affiliati dalle reciproche famiglie. C’è una scena che descrive questa forma di apparentamento: i due protagonisti distesi sull’erba al sole con la mamma di Rèmi, sembrano indistintamente figli. Dalla loro amicizia, i quattro genitori sembrano rassicurati, quasi a considerarla un sostegno per il loro compito genitoriale, come si evince anche dallo svolgimento della vicenda.

Si dice che ad ispirare il regista siano state le sue reminiscenze scolastiche ed è così che fonda il suo lavoro sull’amicizia di Tèo e Rèmi, appena adolescenti, sulla intimità di due bambini in pubertà, che si avviano verso la definizione dell’esser maschio e sulla apprensione per questa trasformazione che vivono insieme, come fanno per abitudine in tutto il loro quotidiano vivere. Ma ad un certo punto, Tèo si accorge che fare tutto sempre insieme non si può. Sta proprio in questo la particolarità del film, che, sottolinea un aspetto poco esplorato con un’attenzione sul fatto che non solo tra amici adolescenti, ma anche tra amici in genere, non si può condividere sempre tutto come è anche per Colm nel film   GLI SPIRITI DELL’ISOLA di Martin McDonagh, Gran Bretagna 2022, che narra il dramma di un’amicizia interrotta unilateralmente, già recensito su Spiweb.

 Tèo è turbato dalle vaghe, quanto scherzose allusioni di alcuni compagni di scuola che sottolineano con malizia la loro simbiotica amicizia, mentre Rèmi, non viene sfiorato minimamente da queste intrusioni e rimane scosso, basito per il comportamento evitante dell’amico, non si incontrano più per andare a scuola e tornare a casa. Tèo non si ferma più a dormire da Rémi e, con una sofferta conquistata indipendenza, fatta di azioni senza parole, si iscrive ad Hockey sul giaccio, mostrando a tutti la propria determinazione a saper stare da solo, distinto ed avviato ad incarnarsi nel modello maschile che tutti si aspettano. Deluso e con forti angosce abbandoniche, Rèmi è perso, come mutilato di una parte di sé. E ‘smarrito, perdendo l’amico, ha perso anche sé stesso. Un lutto intollerabile che lo porta a compiere un gesto estremo. Un distacco repentino a quell’età, è già come morire. Dobbiamo immedesimarci anche in Tèo, l’adolescenza è l’età dei grandi cambiamenti che disorientano, ai quali nessuno veramente può preparare se non attraverso relazioni primarie in quelle fortunate situazioni in cui si è sempre stati guardati, riconosciuti e presenti nella memoria degli adulti di riferimento. Per Tèo, in fondo ancora un bambino, i primi cambiamenti fisici (la Muta di P.PCharmet) devono coesistere con un’amicizia carica di ingenua fisicità, che ora sente fastidiosa e forse anche un poco minacciosa per le avvertite sollecitazioni anche fisiche  nuove e sconosciute.    Allarmato tanto da allontanare l’amico con le botte “devi tornare nel tuo letto.” Turbato dal fatto che questi nuovi movimenti puberali, incontrano le insinuazioni, vicine al bullismo, da parte dei nuovi compagni di scuola, spinti forse da un attacco invidioso alla loro amicizia perfetta. Sembra giocare un ruolo fondamentale nel rapporto tra i due,l ’esposizione al gruppo. Tutto questo mentre c’è un laboratorio aperto verso la costruzione di una identità (P.R. Gois), laddove si assiste alla sovrapposizione del corpo anatomico e del corpo identitario (I. Ruggiero). Tèo riesce a dominare questa molestia iniziale che potrebbe degenerare e mette a tacere i compagni con l’autorevolezza di chi è nel vero: “Non stiamo insieme, siamo solo amici, come fratelli, non parlate più così”.

A conferma di ciò che già conosciamo dalla clinica, le molestie del gruppo sono incisive e, se pure non soccombe come invece avviene spesso in queste situazioni, Tèo, ne resta fortemente condizionato. Fugge da questa complessità emotiva, mettendosi nelle condizioni di affrontare in solitudine un viaggio il cui itinerario gli è sconosciuto come lo è per tutti. Il mattino seguente la notte delle botte, Rèmi piange a colazione, in presenza di Tèo e dei propri genitori. SI dispera quando raggiunge sulla pista di ghiaccio Teo, che respinge la sua proposta di condividere anche questa esperienza sportiva. Piange più volte al cospetto dell’amico che tenta di rassicurarlo (“non è successo niente”) contro ogni evidenza, mentre lui ripete disperato, davanti a tutti: “E’ finita!”

I ragazzi sono in partenza per una gita scolastica al mare, Remi non risponde all’appello, Teo si guarda intorno, fra poco saprà che non c’è più. La calma in seguito alla morte dell’amico è solo apparente. Dopo il funerale ci sono le commemorazioni anche a scuola con il coinvolgimento delle famiglie. La frenesia del vivere contemporaneo si ferma di fronte all’irreparabile gesto. Ognuno dei ragazzi parla del compagno perduto, Tèo interviene spesso per correggere le descrizioni, lui solo lo conosceva veramente, lui più di tutti lo ha perso insieme a ciò che apparteneva al loro lungo amichevole incontro. Chiuso in un doloroso silenzio, fa una sola domanda: “chi lo ha trovato? “Gli dicono: “La madre.”

Entrambi, la madre di Rèmi e Tèo, giocano una inconsapevole partita psicologica sulla colpa. A breve distanza dalla morte del figlio, lei va a trovarlo sulla pista di giaccio, non è esplicita ma cerca risposte al suo grande perché; un’amicizia così esclusiva non può nascondere nulla. Lo invita a casa, è bene accolto, ma T. sente il vuoto e tocca da vicino l’atmosfera di dolore, si concede solo un bicchiere d’acqua, non risponde all’unica domanda “cosa è successo?”. Una domanda che sembra ricollegarsi con ciò che lei, madre, non ha visto o che non ha capito.

Tèo si accorge che condividono sentimenti di dolore e di colpa, ma lui sa cosa è stato.

Assiste al pianto senza speranza del padre di Rèmi, durante una cena in cui sono presenti anche i suoi genitori. Si fa molto male da solo ad una mano, un ’atto di autolesionismo, più loquace delle parole non dette. E ‘soccorso dai genitori con un silenzio che obnubila ogni emozione.

 Vuole incontrare la madre di Remi, si reca in ospedale la trova con un neonato in braccio, La scena è evocativa, anche se lei è realmente un’infermiera pediatrica. Tornano a casa in macchina insieme, T. le dice: “E’ colpa mia”, lei risponde: “vai via”. Poi lo rincorre fra gli alberi, lo abbraccia. Teo brandisce un’improvvisata arma di difesa, desidera e teme la punizione. La partita si conclude con un pareggio, Teo è ancora un bambino e forse per sempre sarà anche Rèmi, per quella madre che, se   pur combattuta e ferita, si occupa anche del suo lutto assumendo, il compito genitoriale.

Ognuno dei due si riappropria del proprio dolore colpevole, per non aver visto l’intensità del dramma del figlio e dell’amico.

In una scena all’inizio del film, vediamo i due amici emergere dai cespugli e correre tra i fiori, è una bella immagine che soprattutto interpreta, attraverso una metafora magistrale, il senso del divenire.

 Ripensarla ci fa sentire la nostalgia di ciò che non è stato.

 

 

  • P Charmet LA PAURA DI ESSERE BRUTTI. Gli ADOLESCENTI E IL CORPO. Cortina ed.2013
  • R. Goisis COSTRUIRE L’ADOLESCENZA ed: Mimesis ottobre 2014 
  • Niccolò Irene Ruggiero LA MENTE ADOLESCENTE E IL CORPO RIPUDIATO F. Angeli ed. 1916

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