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Tancredi R. (2021), La psicoanalisi con bambini, adolescenti, genitori nei vari contesti di cura

Desidero ringraziare il collega Maurizio Stangalino per questo suo lavoro che offre a tutti noi  motivi di riflessione, che credo vadano anche  oltre lo specifico della cura psicoanalitica con i bambini.

  Ed è per me particolarmente stimolante  potermi confrontare con lui , riconoscendo radici comuni pur con sviluppi forse  in direzioni diverse. La trascrizione del seminario condotto da Donald Meltzer e Martha Harris presso il servizio di NPI dell’indimenticata Marcella Balconi,   mi ha fatto rivivere l’esperienza dei miei anni formativi alla Fondazione Stella Maris di Pisa, dove tuttora lavoro e dove forse ho messo per la prima volta piede , non ancora laureata, studentessa del corso in npi tenuto dai professori Pfanner e Marcheschi alla facoltà di medicina,  proprio partecipando al primo “stage di psicoterapia infantile” tenuto in quella sede da Meltzer ed Harris nel luglio 1980. Leggere il seminario la cui trascrizione il collega ha collocato in apertura del suo libro  mi ha portato a chiedermi cosa rimane nel mio lavoro clinico in Istituzione di queste prime esperienze , tenendo presente che io lavoro in un reparto ospedaliero, perlopiù orientato alla diagnosi , e in cui , negli sviluppi attuali, i problemi sono molto diversi credo, da quelli presenti in un servizio territoriale , e le prospettive di sviluppo di un approccio psicoanalitico sicuramente diverse da quelle che l’Autore si prefigura in uno dei capitoli successivi  ”Un divenire complesso ma possibile” .

 A quel primo “Stage di psicoterapia infantile”  alla Stella Maris ne seguirono molti altri, divenendo l’incontro  con Meltzer un appuntamento fisso  due volte l’anno, per molti anni . Si  trattava di due giornate intere di lavoro, in cui si alternava la presentazione di materiale di psicoterapie individuali con la presentazione di materiale clinico relativo a bambini o adolescenti osservati in ricovero o in dh , una narrazione polifonica questa  , in cui avevano analogo diritto di parola il direttore del reparto e qualunque altro operatore . C’è da dire che già da qualche anno prima gli operatori della stella maris erano impegnati in un lavoro seminariale di gruppo con Giovanni Hautmann,  e credo che questo avesse particolarmente permeato  l’Istituzione di una dimensione di pensiero gruppale, e avesse consentito a molti operatori  che non avrebbero mai avuto accesso ad un training psicoanalitico propriamente detto, l’esperienza di essere accolti in una mente psicoanalitica al lavoro. A conclusione dei lavori dello stage c’era sempre una relazione teorica del Dr. Meltzer, che nel mio ricordo era sempre piuttosto complessa, a volte decisamente indigesta.   Devo dire anzi  che nel mio ricordo quelle lezioni teoriche a conclusione degli stage erano piuttosto differenti da quella che possiamo leggere nel  seminario riportato nel libro . Molto meno “scolastiche “ verrebbe fatto di dire, e molto più metapsicologiche .

Più avanti negli anni , quando venne avviato un corso osservativo secondo il modello Tavistock , Donald Meltzer era fra i docenti e supervisionava sedute di psicoterapia, ma si trattava di qualcosa di molto diverso da quelle prime esperienze .

Ritroviamo nel seminario che ci porta Stangalino ben definita  la differenza fra equipe multiprofessionali in cui i diversi specialisti rappresentavano tre punti di vista complementari , rimanendo aderenti comunque al loro ruolo, e il gruppo di lavoro in cui “tutte le persone che lavorano in una equipe sono impegnate in un esercizio terapeutico ….con un graduale processo di diffusione della responsabilità del caso fra tutte le persone che appartenevano alle diverse discipline”  

Nel  dialogo fra Meltzer ed Harris troviamo inoltre  molto sottolineata l’importanza  dell’osservazione e della sospensione dell’azione. È interessante come la sospensione dell’azione si riferisse anche al contenere la spinta ad interpretare, dice Martha  Harris a pagina 19 “anche alla Tavistock , nel reparto adulti, c’è un’equipe di colleghi molto seri…. Che fanno quelle che loro ritengono essere le “vere” psicoterapie psicoanalitiche. Queste psicoterapie sono ancora condotte con il metodo che porta il terapeuta a ricercare la migliore interpretazione possibile da fornire al paziente….E’ un gruppo  molto stimato e molto noto  , che crede di fare un ottimo lavoro , cosa, come avrete capito, su cui io non sono d’accordo. “

Oggi queste parole non sorprenderebbero più nessuno (o forse sì, perché non è facile sentirci parlare con tanta franchezza) ma nel 1980 credo che fossero piuttosto dirompenti. La capacità di osservare  con tutto il lavoro psichico che l’osservare  comporta, e la definizione dell’équipe multiprofessionale come  gruppo di lavoro  impegnato a rispondere con  “qualcosa di psicoanalitico”  ai bisogni delle persone,  indipendentemente dal ruolo istituzionale, e senza ritenere l’interpretazione l’unico elemento veramente psicoanalitico, sono due tematiche che a me sembrano  strettamente intrecciate fra loro.

Vorrei qui anche ricordare la rivoluzione epistemologica rappresentata dalla centralità del  vertice dell’osservazione ,con il recupero del ruolo del soggetto nel campo osservato, questione che in quegli anni investiva tutto il campo del sapere, introducendo anche all’interno di percorsi accademici esperienze di apprendimento basate sull’osservazione .

Non so se oggi sia sempre al centro della riflessione scientifica come lo era in quegli anni  il cambiamento dello statuto relativo alla presenza dell’osservatore nel campo osservato da mero fattore di disturbo a  elemento centrale nella costruzione dell’oggetto da osservare . Sicuramente, per tornare a noi, l’osservazione del neonato secondo la metodica di Esther Bick è rimasto un elemento formativo essenziale dei training per psicoterapeuti infantili, esperienza assolutamente necessaria per imparare a contenere la pressione ad agire  sulla base delle proprie spinte interne.

Però davvero: è possibile oggi pensare che un atteggiamento di esclusiva “ sospensione dell’azione” osservazione e contenimento possa essere possibile e utile in un servizio per l’infanzia?

In una situazione generale in cui le famiglie arrivano ai servizi con autodiagnosi fatte online, diagnosi fatte dagli educatori del nido e dalle insegnanti? Con richieste di certificazioni per ogni problema? Con adolescenti che si tagliuzzano le braccia sotto ai tuoi occhi?

Harris a pagina 25 parla di “pensare osservare comunicare”. Chiarito che per lei “comunicare “non era interpretare che cosa possiamo intendere con “comunicare”?

Leggendo il materiale clinico da lei riportato l’attenzione è catturata da due momenti.

Nella prima consultazione  il padre ad un certo punto chiede di poter fumare, ed evidentemente la Harris glielo concede, questo dà luogo alla possibilità di osservare un gioco fra  padre e  bambino che rassicura molto sulle condizioni del bambino che era inizialmente sembrato psicotico .  Alla fine della seconda seduta il bambino andrebbe via portandosi una macchinina, ma la Harris lo guarda in modo determinato tendendogli la mano e dicendo “grazie Willy” in questo modo ottenendo non solo che il bambino le restituisca la macchinina, ma che vada via sereno salutandola con la manina.

Nel suo commento ( capitolo successivo) Meg Harris Williams sottolinea questi due momenti , in particolare riferendosi al permesso che la Harris dà al padre di fumare, pur odiando lei il fumo,  sottolinea come la terapeuta avesse evidente intuitivamente colto che quel permesso avrebbe portato  a ulteriori sviluppi.

Mi pare che qui si possa vedere in germe qualcosa che è al momento uno dei punti centrali  della riflessione teorica in psicoanalisi, la riflessione cioè su quei momenti nella relazione analitica in cui accade qualcosa fra analista e paziente che,  mostra di essere alla base di trasformazioni profonde ,ma che sfugge  alle possibilità di  essere inserito nelle categorie teoriche a nostra disposizione, qualcosa che rimanda alla dimensione “artistica” della mente dell’analista al lavoro , come lo stesso Meltzer ribadisce in questo seminario. Come scrive Stangalini abbiamo oggi davanti a noi , in modo sicuramente molto più esteso di quanto non fosse nel 1980, “Campi di studio che rappresentano …territori di indagine verso cui convergono sia le ricerche in campo psicoanalitico e psicoterapeutico che gli studi delle neuroscienze. Un intreccio che stimola e sospinge gli sviluppi teorici verso le frontiere del non conosciuto, nella dimensione affascinante e misteriosa di ciò che avviene e promuove cambiamento, nella intersoggettività della relazione di cura, cioè nel peculiare campo definito della conoscenza relazionale implicita.(pag 67) Evidente il riferimento a Stern e al gruppo di Boston e alla tematica del momento presente, momento presente ” e dei “momenti d’incontro”  sviluppata da Daniel Stern e dal  gruppo di Boston a proposito del “something more than interpretation”(Stern et al. 1998). Secondo la prospettiva originale di questi Autori, molti dei cambiamenti che si osservano nel corso di un’analisi non sono legati all’introspezione conscia sostenuta dall’interpretazione, ma piuttosto all’elaborazione inconscia che si sviluppa in particolari “momenti d’incontro” fra analista e paziente.

E’ opportuno però  a questo proposito richiamare la differenza fra la concezione del gruppo di Boston  e l’abituale attenzione al “qui e ora”  in psicoanalisi , dove si considera “….il momento presente come una riproposizione, nel tempo, di eventi, persone, o pattern del passato (transfert) , come un trampolino per le libere associazioni, o semplicemente come un fenomeno superficiale paragonabile al contenuto manifesto dei sogni” (Stern,2004,118). Nella prospettiva del gruppo di Boston “….il momento presente (anche quando è raccontato a posteriori)rivela invece “un mondo in un granello di sabbia” ,di per sé degno di attenzione clinica”(Stern 2004,115). Qui l’attenzione viene data al processo più che al significato, all’esperienza profonda  più che alla sua spiegazione. In breve, secondo questi Autori , quando il momento presente viene colto dai due membri della coppia analitica al lavoro, si crea un’esperienza relazionale che va a costituire la coscienza implicita della relazione, e che ha la capacità di riscrivere il passato e produrre un cambiamento, indipendentemente da qualsiasi necessità di verbalizzazione.

Vorrei ricordare che questa posizione del gruppo di Boston ha sollecitato molte discussioni in ambito psicoanalitico, per esempio Speziale Bagliacca vi coglie “ un orientamento  verso una visione che non collima più con la psicoanalisi in cui mi riconosco”

 

Con alcune colleghe mi sono occupata di questo aspetto intrecciandolo con la dimensione musicale della relazione analitica , riflettendo quindi sulla possibile associazione  fra “improvvisazione in psicoanalisi” e “improvvisazione in musica”, sull’onda della riflessione di Fausto Petrella ed altri.

 

Ma per ritornare alla psicoanalisi nelle istituzioni di cura per l’età evolutiva , per quanto mi riguarda io non posso dire di sentirmi “psicoanalista in istituzione”  perché prevedo  sedute di psicoterapia – come dicevo il mio lavoro è fondamentalmente di tipo diagnostico-, anche se nell’ambito della SM non mancano esperienze di psicoterapia in senso stretto.Mi ha fatto sorridere la frase del collega“ “(occorrono)non molti ma imprescindibili elementi: un luogo protetto da intrusioni e una scansione temporale regolare degli incontri. “Niente di particolarmente complesso sembra pensare il collega, ma io vorrei invitarvi a  vedere cosa accade in un reparto ospedaliero …. reparto ospedaliero che è peraltro pieno di “urgenze”, urgenze vere che arrivano in ospedale perché non trovano spazi sul territorio, e  sono urgenze vere , adolescenti sull’orlo del suicidio o piccoli che stanno sviluppando una condizione di ritiro per i quali non è possibile procrastinare l’intervento).Io penso che il mandato istituzionale a “curare” non possa  essere inteso esclusivamente come pressione  ad eliminare il sintomo, stante la grande frequenza di situazioni gravi in cui nessuno si aspetta che il sintomo regredisca in tempi brevi ….ma è un mandato istituzionale più profondo a prendersi cura. Prendersi cura del paziente mi pare spesso qualcosa che viene messo in secondo piano rispetto al prendersi cura del bisogno narcisistico degli operatori di sentirsi  operatori psicoanaliticamente orientati, duri e puri. Anche questo è un argomento su cui vorrei confrontarmi con voi

Può accadere di trovarsi a lavorare in un  contesto di realtà che pone molti limiti alla strutturazione di un setting nei suoi aspetti spazio-temporali, ed allora diventa più che mai importante la rigorosità del setting interno. Per quello che mi riguarda mi sento psicoanalista nell’Istituzione, sentendo con chiarezza  scorrere nei rami del mio agire la linfa proveniente dalle radici cui ho accennato,   nella tensione quotidiana a osservare e comprendere quello che accade, e  quello che si fa,  perché “fare” in un ospedale si deve , osservare e comprendere il paziente, la sua famiglia, gli operatori che si confrontano con lui,  e nel mettere al centro della pratica quotidiana il gruppo di lavoro inteso come gruppo che condivide la responsabilità del caso. Ovviamente sarebbe necessario un supporto esterno al gruppo di lavoro, una mente analitica che non coincida con quella del responsabile del reparto , quale io sono , ma su questo non è stato possibile ottenere al momento l’apporto delle nostre Direzioni. Quindi, come diceva Bion, si cerca di trarre il meglio da un cattivo lavoro,

Al di fuori della mia pratica clinica quotidiana ho fatto e continuo a fare  l’esperienza di supervisionare a équipe di servizi territoriali, dovendo purtroppo registrare come il progressivo venir meno di responsabili di servizio che si sono formati psicoanaliticamente abbia ridotto la richiesta di supervisione intesa in questo senso, lasciando spazio a richieste di consulenze più “pratiche” ,più “moderne” più aderenti ai paradigmi attualmente imperanti. Su questo vorrei confrontarmi con il  nostro collega, e  con i colleghi tutti, perché nel libro di Stangalino a me sembra di cogliere un sentimento riferibile ad una sorta di “statu nascendi” della psicoanalisi nei servizi, che io non riesco a ritrovare nei servizi del cui lavoro vengo in qualche modo a conoscenza.

Mi fermo qui anche se nel libro ci sono molte altre cose

 

 

 

 

 

 

Speziale-Bagliacca,R.(2007) Ancora a proposito di Stern e il tempo presente. Brevi considerazioni .

Riv.Psicoanal.,53, 353-363

 

Stern DN et al.(1998) Il qualcosa in più dell’interpretazione. Meccanismi non interpretativi in

psicoanalisi in Onnis L. ( a cura di) Una nuova alleanza fra psicoterapia e neuroscienze . Milano

Franco Angeli, 2015

Stern DN (2004) Il momento presente. In psicoterapia e nella vita quotidiana. Raffaello Cortina,

Milano, 2005

GABRIELA GABBRIELLINI, ARIANNA LUPERINI,

RAFFAELLA TANCREDI: La dimensione

musicale nella relazione analitica: il ruolo

dell’improvvisazione in Rivista di psicoanalisi 1/2019

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