Perché in un sito che parla e racconta di psicoanalisi trova spazio una sezione dedicata ai libri di narrativa? Perché pensiamo che leggere un libro sia, come per chi intraprende un percorso psicoanalitico, accingersi a un viaggio che aumenta la conoscenza del mondo, ma anche di sé e degli altri. Leggere aiuta a pensare e arricchire la propria mente, stimola domande e immaginazione. Si legge per conoscere, per sapere scrivere, per tenere lontano il mondo esterno ma anche per osservarlo più da vicino, per immergersi come in un sogno o per incontrare nuove e sconosciute realtà. Chi legge vive più vite, ne incontra molte altre e conosce meglio la propria. Infine, i libri possono essere alleati fedeli e discreti della quotidianità e leggere può costituire un efficace antidoto contro le avversità della vita. Buona lettura.
Questa sezione è dedicata ai romanzi. Girovagando virtualmente tra gli scaffali della libreria, ecco i consigli di lettura di Rossella Vaccaro.
La donna gelata, di Annie Ernaux, ed. L’Orma, 2021. Recensione di Rossella Vaccaro
Annie Ernaux è ritenuta la più importante scrittrice francese contemporanea. I suoi libri, tradotti e pubblicati in tutto il mondo, hanno meritato premi prestigiosi e vengono letti anche nelle aule di Scuola. Molti conosceranno “Gli anni”, oppure “Il posto” o “L’altra figlia”, solo per citarne alcuni tra i più noti.
La Donna Gelata (La femme gelée) esce in Francia nel 1981 per Gallimard; finalmente tradotto anche in italiano dal bravissimo Lorenzo Flabbi, è stato pubblicato quest’anno per la casa editrice” Orme”. Il libro non è un romanzo ma certamente qualcosa di più di un racconto autobiografico. E’ un intenso flusso di coscienza attraverso cui l’autrice ci trasporta nelle epoche della sua vita, dall’infanzia all’adolescenza fino all’età adulta. Un avvincente monologo che non molla mai la presa, guidato dal bisogno dell’autrice di raccontarsi e riappropriarsi della propria esistenza all’apice del fallimento del suo matrimonio. Attraverso una scrittura avvolgente, Ernaux ripercorre le tappe più significative della sua vita descrivendo le effettive disparità tra i ruoli maschili e femminili, tra l’uomo e la donna, dagli anni ’40 fino ai più turbolenti anni ’70. Nella sua penna l’autobiografia si trasforma in una narrazione esistenziale, ma anche politica e sociale, conferendo al libro uno stile suggestivo e molto personale.
Cresciuta nell’atmosfera di un ristretto mondo di provincia, Annie Ernaux racconta di un’infanzia vissuta in una condizione familiare particolare, in cui il ruolo paterno e quello materno sembrano essersi capovolti, dove non è ben chiaro cos’è femminile e cos’è maschile. La madre, definita “la forza e la tempesta” la sprona a studiare, ad attrezzarsi per aprirsi un varco nella vita e diventare qualcuno; riguardo al padre racconta invece di un uomo pacato, che lava i piatti e la accompagna a scuola.
Un capovolgimento che non potrà però preservarla dall’impatto con la realtà della condizione della donna di quell’epoca. Con il matrimonio, la maternità e il tanto atteso concorso per l’insegnamento, l’autrice scopre a proprie spese che l’educazione ricevuta e la cultura conquistata non sono sufficienti a metterla al sicuro dalle conseguenze di una disparità di genere pervasiva e quotidiana: “Certo, – scrive – l’altra metà del mondo per me era un mistero, ma ero fiduciosa, sarebbe stata una festa. L’idea che tra i ragazzi e me ci fosse una disuguaglianza, un altro tipo di differenza rispetto a quella fisica, mi era in fondo sconosciuta perché non l’avevo mai vissuta. È stata una catastrofe”. La lotta per non allontanarsi da se stessa si fa dura e ancora scrive: “Ma sto cercando il legame tra la me ragazza e la donna, e so che c’è almeno un’ombra che non si è mai affacciata sulla mia infanzia: l’idea che le bambine siano creature tenere e deboli, inferiori ai maschi. Che ci siano differenze nei ruoli. Per tanto tempo l’unico ordine del mondo che ho conosciuto è quello in cui mio padre cucina e mi canta le filastrocche mentre mia madre mi porta al ristorante e tiene la contabilità del negozio. Né virilità, né femminilità: sono parole che imparerò in seguito, e resteranno solo quello, parole, perché ancora adesso non so bene cosa stiano a indicare, nonostante abbiano provato a convincermi dell’enorme differenza che c’è tra avere e non avere le palle, e io a ridere, a ripensare a quel modello così anormale con cui sono cresciuta, senza rispetto per i ruoli tradizionali”.
Con uno stile asciutto ed essenziale, senza concessione alcuna alla retorica, Annie Ernaux ci regala un manifesto femminista dove l’io diventa un noi di tante donne sull’impervia strada dell’emancipazione. Un’analisi lucida e rigorosa di quello che rappresentava il matrimonio per le donne di allora, rappresentazione che forse non si è del tutto estinta. Nel leggere il libro, da cui difficilmente ci si stacca tale è l’intensità della narrazione, si riflette sulle grandi conquiste che le lotte femministe hanno realizzato dagli anni ’70 a oggi, e su quanto ancora resta da fare.
Rossella Vaccaro
Novembre 2021
Almudena Grandes, La figlia ideale, ED. Guanda, 2020 di Rossella Vaccaro
Almudena Grandes, sessanta anni, scrittrice affermata, è stata definita dal premio Nobel Mario Vargas Llosa come una delle più grandi scrittrici contemporanee. Divenuta famosa con il suo primo libro Le età di Lulù (1989), romanzo erotico di notevole successo, da cui fu tratto anche un film, ha poi pubblicato numerosi altri romanzi.
L’ultimo dei suoi libri è ‘La figlia ideale’, quinto capitolo della serie Episodios de una guerra interminabile, da lei definita “i miei romanzi al servizio della memoria”. Si tratta di opere narrative ispirate alla guerra civile spagnola, in cui la rievocazione storica fa da sfondo a intensi intrecci di vicende umane.
Dichiarando una volta di più la sua appartenenza politica – “il mio cuore batte a sinistra” – Grandes ci regala una nuova opera centrata su temi a lei cari: le terribili stragi della guerra civile, la manipolazione delle coscienze, gli inaccettabili soprusi perpetrati dalla dittatura franchista a danno dei suoi oppositori, dei più deboli e delle minoranze. La scrittrice, laureata in Storia, si occupa personalmente della documentazione che sottende ai suoi romanzi e attraverso cui s’immerge nelle vite dei suoi personaggi.
La vicenda ha luogo nell’ospedale psichiatrico femminile di Ciempozuelos, nei dintorni di Madrid. È lì che, alla metà degli anni Cinquanta, il giovane psichiatra Germàn Velàzquez, rientrato da un lungo esilio in Svizzera, prende servizio con il progetto di sottoporre alcune pazienti alle nuove terapie con Clorpromazina, primo neurolettico della storia.
Al centro del romanzo c’è Aurora Rodriguez[1] che, affetta da una grave forma di schizofrenia paranoide, è già da molto tempo internata nel padiglione del Sagrado Corazòn per avere ucciso la figlia. Germàn riconosce Donna Aurora, già incontrata all’epoca dell’omicidio poiché paziente del padre, anch’egli psichiatra, e ne rimane colpito: Aurora da anni si è chiusa in un silenzio pressoché totale. L’unica persona con cui la donna comunica è Maria, l’infermiera ausiliaria che vive da sempre nelle vicinanze del nosocomio, la cui vita nasconde esperienze dolorose ma anche un’energia vivace. Maria legge per Aurora poiché le è grata per averle insegnato a leggere e a scrivere quand’era una bambina. Aurora, seppure gravemente ammalata, è una donna colta e intelligente, oltre che pianista di talento. Nel tratteggiarla, la scrittrice le attribuisce un ruolo di anticipatrice della causa femminile in Spagna, dove il regime franchista riservava alla donna il solo ruolo di madre.
Nella Spagna dell’epoca dilagava l’ideologia sostenitrice dell’eugenetica, che autorizzava gli elettroshock per ‘curare’ gli omosessuali, consegnava i figli di genitori considerati inadeguati a famiglie cattoliche, (ritenute le uniche in grado di educare) e vietava l’utilizzo dei nuovi psicofarmaci in grado di restituire una vita dignitosa ai pazienti schizofrenici. “La Spagna era il feudo di un generale fascista ben issato sulla groppa della Chiesa cattolica” (pag. 352) e di cui le donne erano le vittime più colpite.
Il giovane psichiatra, sostenuto dalla preziosa collaborazione di Maria, si concentra sul progetto di restituire ad Aurora, per quanto possibile, una vita aperta a qualche scambio con l’esterno.
Il romanzo è intenso e si articola attraverso le tre voci narranti di Aurora, Germàn e Maria. Tramite la prima, la scrittrice dà voce – con sorprendente maestria – alla follia di una mente gravemente compromessa, eppure altrettanto dotata d’intelligenza e cultura. In Germàn e Maria troviamo invece l’impegno per la negazione della disumanizzazione del malato e per l’etica del dialogo in sostituzione della custodia coercitiva, l’imprescindibile importanza dell’empatia e della capacità di relazionarsi, il rispetto per il valore della dignità umana.
Tra Germàn e Maria nascerà un tanto significativo quanto complesso rapporto sentimentale. I due si uniranno nel comune intento di sfidare l’ottusa morale e i pericolosi pregiudizi del regime franchista peraltro imposti con la repressione e il terrore. Altre storie e altri personaggi avvincenti s’intrecciano con la narrazione centrale, contribuendo alla descrizione di un microcosmo umano alla ricerca di un’altra opportunità di vita.
Con ‘La figlia ideale’, Almudena Grandes ci consegna un romanzo emozionante al servizio della storia, dalla trama coinvolgente, narrata con un linguaggio letterario profondo.
Rossella Vaccaro
Aprile 2021
[1] Aurora Rodriguez è realmente esistita e nota alla cronaca spagnola per il tragico figlicidio.
Valérie Perrin, Cambiare l’acqua ai fiori, ed. E/O, 2019 di Rossella Vaccaro
Il romanzo esce silenziosamente nell’estate del 2019, ma grazie al passaparola tra lettori e librai vende nel giro di un anno circa 180.000 copie, diventando un best seller internazionale e aggiudicandosi prestigiosi riconoscimenti letterari.
La protagonista, Violette, sopravvissuta alla prova più dolorosa della vita, è la guardiana di un piccolo cimitero del Nord della Francia. L’insolito lavoro non la rattrista, anzi ama prendersi cura delle lapidi, dei fiori, degli animali, mentre intesse e protegge il dialogo tra vivi del paese e i morti che sorveglia.
La capacità di lettura dell’animo umano con cui l’autrice tratteggia il personaggio di Violette trasforma ciò che inizialmente può apparire un racconto uniforme in una storia che, in un gioco quasi cinematografico, alterna costantemente più immagini e più voci, dando prova della lunga esperienza dell’autrice come fotografa di scena.
La vita di Violette scorre con apparente semplicità, fino all’improvviso incontro con il commissario Julien Seul. L’uomo vuole capire perché la madre, appena scomparsa, abbia lasciato scritta la volontà che le sue ceneri riposino sopra la tomba di un uomo a lui del tutto sconosciuto. L’avvio lento del racconto si lascia presto perdonare dalla potenza della trama con cui prosegue. Narrando il difficile percorso di vita di Violette, la scrittrice ci trascina nell’intreccio di altre vite le cui storie sono imprevedibili, ricche di suspense e coinvolgenti. In un alternarsi di momenti drammatici e di altri più ironici, le storie convergeranno infine in un caleidoscopio di realtà umane.
Molto ben scritto, profondo e mai banale, il romanzo si snoda attraverso una sovrapposizione di piani temporali complessa ma abilmente guidata. Violette è intensa, è viva, e parla alle anime del cimitero con umana e contagiosa tenerezza. La sua resilienza è ammantata di grazia e sensibilità: il suo stesso nome è un fiore. Un finale a colpi di scena costringe il lettore a congedarsi a malincuore da Violette, cui non avrà potuto fare a meno di affezionarsi.
(Febbraio 2021, Rossella Vaccaro)
[1] Valérie Perrin ha esordito come scrittrice con Il quaderno dell’amore perduto, Casa Editrice Nord s.u.r.l., 2016.