Relazione presentata nel Seminario AFPP CSMH – AMHPPIA SIPP SPI-CPF “Divenire Soggetti fra traumi e riparazioni”, pubblicata per gentile concessione dell’Autore
7 Giugno 2014, Istituto Stensen, Viale Don Minzoni, 25/a – Firenze.
Luis J. Martin Cabré è membro ordinario e analista con funzioni di training della Asociaciòn Psicoanalitica de Madrid, della quale è stato Presidente. E’ membro ordinario della Sociedad Espanola de Psiquiatria y Psicoterapia del Nìno y del Adolescente, dell’Instituto de Estudios Psicosomàticos y Psicoterapia Mèdica, della Sandor Ferenczi International Foundation (di cui è stato Socio Fondatore). E’ membro dell’European Editorial Board dell’International Journal of Psycho-Analysis.
E’ autore di varie pubblicazioni, fra cui, in italiano:
– “Dalla fantasia al trauma. Il contributo di Ferenczi alla teoria del trauma”. In Bonomi e Borgogno: “La catastrofe e i suoi simboli” Utet, Torino, 2001.
– “Nec gioco quidem mentiretur” in Franco Borgogno “Ferenczi Oggi” Bollati Boringhieri, Torino, 2004.“The Psychoanalytic Conception of Trauma in Ferenczi and the question of the Temporality”. The American Journal of Psychoanalysis. Vol 68. Nº1, 2008.
– Il dialogo tra Freud e Ferenczi sulla teoria psicoanalitica del trauma. Una vera o apparente controversia? In S. Latmiral e S.Grimaldi “L’abuso. Una realtá bifronte” Quaderni di Psicoterapia infantile, nº58. Borla, Roma 2008.
– “Un modo di pensare la relazione analítica”. Da Ferenczi al modello di campo. Una strana e silenziosa trasmissione” In Renik, Cabre, Ferro. “I modelli della mente ” Borla, Roma, 2009.
– – – v. inoltre, sul web:
– relazione presentata presso il Centro Psicoanalitico di Firenze nel 2002 “Ferenczi. La clinica del trauma e i suoi sviluppi nella psicoanalisi contemporanea“.
– relazione presentata presso il Centro di Psicoanalisi Romano il 26 Marzo 2011 “Dall’introiezione all’intropressione. Evoluzione di un concetto teorico e sue conseguenze nella tecnica psicoanalitica“.
– la video-intervista sul canale YouTube della Soc. Psicoanalitica Italiana.
– la registrazione video della relazione presentata al II Congresso di Psicoanalisi dell’Associazione Culturale Sàndor Ferenczi (Firenze, 17-19 Maggio 2013) “Il Diario Clinico: incapacità di contenimento o capacità di premonizione?“)
————–
É da tutti noto che Freud, nei suoi lavori metapsicologici di 1915 “L’inconscio” (1915) e la “Rimozione” (1915), situa la presenza della pulsione nell’inconscio per mezzo della rappresentazione e difende categoricamente il fatto che la pulsione sia l’oggetto della rimozione. In questi lavori confermava ed elaborava ulteriormente quanto aveva sostenuto sia in “Ricordi di copertura” (1899) sia in “Ricordare, ripetere e rielaborare” (1914), dove sottolineava il valore del recupero del ricordo come agente terapeutico nella memoria autobiografica o esplicita.
Ma ció che viene rimosso non esaurisce tutto il campo dell’insconscio. Nella psicoanalisi contemporanea, si é proceduto poco a poco ad un allargamento della concezione metapsicologica e del concetto di “inconscio dinamico” che Freud difendeva nel 1915 e che concedeva al meccanismo della rimozione il ruolo centrale nell’organizzazione e sviluppo dei processi inconsci.
Come sostiene Mancia (1994, 2003), esiste anche un inconscio non rimosso, prodotto dalle esperienze, talvolta traumatiche, che si riferiscono ai primi periodi della vita relazionale ed agli ultimi periodi della vita prenatale. Queste esperienze, con le fantasie e le difese susseguenti, si archiviano nella memoria implicita (preverbale e presimbolica), dato che in quel momento non sono mature le strutture nervose (ippocampo e aree corticali temporali e basso frontali) necessarie per il funzionamento della memoria esplicita. Tutto ció permette pensare all’Inconscio come una funzione complessa composta da una parte rimossa e da un’altra non rimossa che riguarda i due integranti della coppia psicoanalitica e che si manifesta nell’asse transferale-controtransferale. Nella relazione analitica, questa parte inconscia emergerá, non mediante i lapsus, gli atti mancati o i sogni di qualsiasi tipo, ma mediante certe modalitá della comunicazione come il tono, il ritmo e la prosodia della voce e la struttura e il “tempo” del discorso che potrebbe essere definito come la dimensione musicale del transfert.
Nell’ articolare le idee principali che cercheró di sviluppare in questo lavoro, oltre a questa nozione di “inconscio non rimosso”, che andrebbe nella linea del “conosciuto non pensato” di Bollas (1987), dell’”inconscio passato” di Sandler (1987) o delle “aree non analizzate dal paziente e dall’analista” di Russo (1998), ho avuto in considerazione il processo di allargamento che anch’io ho sperimentato come analista nella mia stessa elaborazione teorica e clinica. Da questo sorge come sfida la possibilitá di stabilire collegamenti che possono essere verificati tra due concetti classici della teoria psicoanalitica che di solito non appaiono collegati, quello del trauma e quello della perversione.
Entrambi concetti hanno configurato, separatamente, centinaia d’articoli e contributi che sarebbe quasi impossibile enumerare. Tuttavia, non é abituale abbordare il collegamento tra i due concetti perché sembrerebbero appartenere ad universi diversi. Il mondo della perversione si riferirebbe ad una struttura psichica organizzata e sostenuta dalla fissazione, se la intendiamo come una modalitá psicopatologica ben delimitata, oppure, se si preferisce abbordare il campo delle modalitá perverse del funzionamento psichico, ci troveremmo di fronte ad un meccanismo difensivo supplementare dentro d’una struttura nevrotica. In ogni caso, ci troveremmo di fronte ad uno spazio essenzialmente intrapsichico, definito pulsionalmente, dotato di una componente narcisista incontenibile, generatrice di un tipo di fantasie nelle quali l’oggetto perde la piú elementare dignità e dove, in ultimo termine, troviamo un riferimento ad una esperienza “catastrofica”.
Il trauma, invece, a partire soprattutto dall’apporto di Ferenczi, appare come un’invasione nell’io dell’oggetto della passione o della pazzia dell’amore o dell’odio, d’un altro. É il campo dell’intersoggettivo dello scambio tra l’inconscio della vittima e dell’aggressore.
E, tuttavia, sembra che ci sia qualcosa in comune tra questi due scenari. Se percorriamo le peripezie della fantasia masochista di “Un bambino viene picchiato”, non sentiamo la tentazione di includere nell’aspirazione d’amore del bambino che si nasconde dietro l’eccitazione che suscita la fantasia del castigo, la ripetizione d’una esperienza traumatica compromessa e mescolata con tutto il componente pulsionale ed erotizzato? Fino a che punto la ripetizione non si configura come un concetto chiave per vincolare certe caratteristiche essenziali del funzionamento perverso con la dinamica del trauma? Ció che non é rappresentabile del trauma, non si riferisce in qualche modo a questo concetto d’inconscio non rimosso a cui mi riferivo prima?
Di questo allargamento metapsicologico é in parte responsabile il recupero della teoria traumatica e delle conseguenze cliniche susseguenti che Ferenczi stabilì da 1928 fino alla sua morte, e gli sviluppi posteriori che derivarono da questa teoria e che concepivano la vita psichica come generantesi in un campo intersoggettivo, in un incontro tra la pulsione e l’oggetto o, se si preferisce, nella situazione specifica del trauma, come uno scambio di contenuti intrapsichici tra due inconsci, quello della vittima e quello dell’aggressore.
Il concetto di trauma in Ferenczi
Ferenczi sviluppó la sua teoria sul trauma partendo dalla sua esperienza clinica coi casi-limite nelle sue ultime opere e soprattutto nel ben noto lavoro sulla “Confusione delle lingue”, che lesse, nonostante l’opposizione di Brill, Jones e Freud, nel Congresso di Wiesbaden il 4 Settembre di 1932. Anche se molte delle sue idee scomparvero durante molti anni dopo la sua morte, la sua formulazione teorica sul trauma introdusse una riflessione sulla temporalitá nell’analisi che oggi si fa ancora imprescindibile.
Come é ben noto, in “Confusione delle lingue”, Ferenczi attribuiva agli oggetti esterni un ruolo determinante nella strutturazione del funzionamento mentale del bambino e metteva l’accento su due concetti basilari: da una parte i processi d’ identificazione e dall’altra la scissione dell’io. Ampliando il concetto della seduzione cosí come era stata teorizzata fino ad allora da Freud, Ferenczi sviluppava un progresso teorico considerevole proponendo l’etiologia traumatica come risultato di una “violazione” psichica del bambino da parte di un adulto, di una “confusione di lingue” tra di loro e, soprattutto, del “diniego” da parte dell’adulto della disperazione del bambino. Quando queste modalitá d’invasione psichica producono i loro effetti, squalificando e smentendo il riconoscimento del pensiero e degli affetti nella psiche del bambino, ha luogo un trauma che genera una scissione. Il linguaggio della passione di un adulto (“Leidenschaft”), che manovra inconsciamente l’erotismo sia dell’amore che dell’odio, si scontra violentemente con il linguaggio della tenerezza del bambino (“Zärtlichkeit”). Questo “malinteso” suscita nel bambino, che aveva riposto tutta la sua fiducia nell’adulto, paura, delusione e dolore.
In un primo momento, di fronte all’ impossibilitá di difendersi dall’adulto, il bambino si sottomette ai suoi desideri, alla sua volontá, per poi identificarsi totalmente con lui (“identificazione con l’aggressore”) e introietta i sensi di colpa che l’adulto, in diverse misure, ha provato per ció che ha fatto. Si tratta dell’ “introiezione del senso di colpa”.
L’effetto traumatico appare però in un secondo momento, ed è una conseguenza del diniego (1). Si produce quando il bambino riceve, da parte di un adulto che non riesce a sopportare il discorso del bambino, un diniego che interrompe tutto il processo introiettivo e paralizza il pensiero, un diniego che proibisce al bambino non solo di usare la parola ma anche la possibilitá di farne una rappresentazione e una fantasia. Le parole del bambino rimangono, secondo l’espressione di N. Abraham e di M. Torok (1978) “sotterrate vive”.
Il punto più polemico del suo lavoro si trovava nel fatto che Ferenczi (1932) pensava che un processo analogo poteva verificarsi nell’ambito stesso della relazione analitica come risultato dell’intromissione forzata, della smania d’interpretare di certi analisti e della sottomissione nevrotica di certi pazienti (Martín Cabré, 1997, 2001). Questa concezione teorica sviluppata da Ferenczi nei suoi ultimi scritti produceva e comportava però importanti conseguenze sia sul piano clinico che su quello tecnico e poneva l’accento sugli stati estremi del dolore e dell’angoscia della vita psichica.
Molte di queste idee possono, peró, rincontrarsi anche in alcune annotazioni dell’affascinante testamento che rappresenta il suo “Diario Clinico”.
Nelle annotazioni del 4 e del 14 febbraio del suo “Diario”, Ferenczi riprende alcune delle idee che aveva difeso in “Il principio di affermazione del dispiacere” (1926), ma le sviluppa con piú precisione. Più che al “dispiacere”, Ferenczi sembra riferirsi al dolore e alla sofferenza, ma ad un dolore enorme e ancora di più “a un dolore che ha un effetto anestetico, un dolore senza contenuto di rappresentazione e che non giunge alla coscienza”.
Ma la sua riflessione mette in relazione la sua concezione sul trauma con la temporalitá. Cosa succede, quando la sofferenza aumenta e supera la capacitá di sopportazione del bambino? Normalmente, il bambino è fuori di sé. Ma se non è in sé, dov’é? La risposta di Ferenczi introduce l’idea della temporalitá del trauma: “Le persone che sono fuori di sé, se ne sono andate lontano, in qualche parte dell’universo, volando a grande velocitá fra gli astri e sentendosi cosí evanescenti da passare senza difficoltá attraverso le sostanze piú dense. Lá dove si trovano non c’é il tempo. Passato, presente e futuro sono contemporaneamente presenti. Hanno l’impressione di essere andati aldilá dello spazio e del tempo” (2). In definitiva, un dolore molto grande é un dolore senza rappresentazione nel quale il soggetto si trova fuori dal tempo cronologico, dal tempo della storia. Si tratta di un dolore presente, molto piú doloroso di quello che si produce ricordando un dolore passato. Piú di una temporalitá storica si tratta di una temporalitá rabbiosamente presente, come se il soggetto avesse bisogno di organizzare uno spazio del non luogo e della non esistenza.
Dalla sua prospettiva, pertanto, l’evento traumatico si trasforma in qualcosa che non é iscritto nella psiche. La reazione al dolore appartiene all’ordine del non rappresentabile ed é inaccessibile alla memoria ed al ricordo. Da questa prospettiva il trauma si “presenta”, non si “rap-presenta”, e in piú la sua presenza non appartiene a nessun presente, distrugge anche il presente in cui sembra introdursi. É un presente senza presenza, un presente impazzito, nel quale il soggetto esce dal tempo “cercando di collocare la sua sofferenza “impossibile” in una grande unitá temporale. Si tratta di un presente senza fine e inesauribile, ma allo stesso tempo vuoto.
Ferenczi iscrive la sua teoria del trauma nella dimensione di un “presente” che rimane fuori, pertanto, dalla temporalitá storica. A differenza del presente storico, che stabilisce una presenza ed una identitá, nel presente traumatico tutto si dissolve, non vi è né soggetto, né opposizione tra soggetto ed oggetto. Ció che Ferenczi ci suggerisce é che qualcosa che ha a che fare con la morte, qualcosa di non rappresentabile nemmeno per Freud, è in gioco nella dinamica e nel tempo del trauma, che è, in realtá, secondo Ferenczi un “processo di dissoluzione che va nella direzione di una dissoluzione totale, cioè nella morte”. Forse più che alla morte che mette un limite, ció che segnala Ferenczi è lo “star morendo” continuamente in un tempo dove nulla inizia. Il tempo si mummifica e agendo come un tessuto morto, evita e paralizza la funzione dell’après-coup.
Ferenczi ci mostra, coniando il concetto di “autotomia”, che il soggetto “muore” attraverso la scissione. Non sente più dolore perché non esiste. Anzi, “…non si preoccupa più del respiro e del cuore, né in generale di conservare la vita, ma piuttosto considera con interesse la stessa distruzione o mutilazione, come se non fosse più se stesso e queste pene venissero inflitte ad un’altra persona…”. Come nella affascinante descrizione clinica della sua paziente O.S. (3), si tratta della perdita del senso del tempo, “come se la vita non dovesse finire nella vecchiaia e nella morte”. Ma, paradossalmente, questa risposta estrema si produce per salvare la vita. Per salvaguardare lo spirito e l’integritá bisogna sacrificare la parte viva del corpo e sottomettersi ad un auto-trattamento, ad una autotomia nella quale la persona deve sottrarsi a sé stessa ed agli altri. Non ci farebbe pensare tutto questo alla psicosi?
Considerare, peró, che nel lavoro analitico sia in gioco qualcosa di diverso dal ricordo, che sarebbe solo una della forme di temporalitá, ci permette di contemplare altri tempi presenti che aprono al soggetto ad altre modalitá di esistenza. “ La morte presente “, il “dolore presente “ implicano l’uscita da un certo tipo di temporalitá. Ma questo implica introdurre una serie di interrogativi fondamentali circa la tecnica psicoanalitica e situare il problema dalla temporalitá del trauma sotto una prospettiva clinica radicalmente nuova.
Come possiamo noi psicoanalisti comprendere e rivelare il tempo del trauma , se per sua natura non é rappresentabile? Come si puó interpretare qualcosa che é dell’ordine del rappresentabile e non possiede la minima dimensione storica?
Non é facile questo lavoro per l’analista, che non solo é testimone della disperazione del paziente ma , si deve confrontare anche con la propria estraneitá e con i suoi spazi mentali di non rappresentazione. Da questa prospettiva l’analista non puó contare unicamente sullo strumento dell’interpretazione per riuscire ad accedere a quei nuclei piú profondi del mondo interno del paziente e soprattutto per favorirne un mutamento psicologico che gli permetta mitigare la sua sofferenza e disperazione. Apparentemente, Ferenczi pone l’analista in una posizione di ascolto impossibile ed ai limiti , non solo dello psichico e del somatico , ma anche del pensabile.
Nel lavoro clinico noi analisti ci confrontiamo abitualmente con la sofferenza dei nostri pazienti ma Ferenczi, quando affronta la dinamica del trauma, si riferisce non ad una sofferenza sopportabile ma ad una sofferenza sconosciuta che perde la sua misura e che perció non puó essere né capita né contenuta.
É interessante ricordare a questo proposito un passaggio del suo “Diario”riferito alla paziente G. che descrive una esperienza traumatica legata alla visione di un rapporto sessuale dei genitori che diventa poi una scena violenta nella quale il padre tenta di strangolare la madre. Dice “…Nessuno pensa a me; non posso correre da nessuno; posso fare assegnamento solo a me stessa; ma non so come si possa sopravvivere da sola; mangiare qualcosa mi calmerebbe, ma nessuno pensa a me; vorrei gridare ma non oso, é meglio che stia zitta e nascosta altrimenti mi faranno qualcosa; li odio tutti e due, vorrei allontanarli da me ma é impossibile, sono troppo debole e sarebbe anche troppo pericoloso; vorrei fuggire ma non so dove; vorrei buttar fuori tutta questa storia…..” Secondo Ferenczi “il carattere insopportabile di una situazione, conduce ad uno stato psichico simile al sonno dove ogni eventualitá puó essere trasfigurata come nel sogno ma se il dispiacere persiste allora si regredisce a stadi ancora piú lontani”: “ Sono spaventosamente sola; naturalmente perché non sono ancora nata . Mi muovo nel grembo materno”.
Il tempo qui é fermo, legato in un presente infinito inesauribile e vuoto. Questo é il tempo del trauma. Un tempo nel quale non comincia mai nulla, un tempo senza negazione e senza possibilitá d’iniziativa . Ed é proprio il trauma, sempre unico ed inedito, che interrompe la continuitá del tempo, che introduce l’irrepresentabile nella catena di rappresentazioni e, come un lampo, lascia intravedere la morte.
Sviluppi teorici recenti come quelli di Sara e Cesar Botella, che intendono la vita psichica come una continua trasformazione che oscilla dalla non rappresentazione alla raffigurabilitá e dalla impronta della memoria senza ricordo al sogno che cerca di simbolizzarla, si avvicinano alle idee di Ferenczi quando immaginava la funzione del lavoro dell’analista come un lavoro di raffigurabilitá che, derivato dalla regressione formale del suo pensiero in seduta, tenta di accedere alla memoria senza ricordo del paziente o al suo inconscio non rimosso, se adoperiamo i recenti contributi di Mauro Mancia.
L’ingranaggio trauma-perversione e la sua sfida alla clinica psicoanalitica. Un esempio clinico d’interazione tra trauma psichico, perversione sadomasochista del vincolo e depressione di transfert.
A questo punto, vorrei situare la mia ipotesi sul rapporto che si stabilisce tra trauma e perversione. Dal mio punto di vista, ogni modalitá perversa, intesa come una sfida etica della vita sessuale, indica un rapporto fallito con l’altro in quanto soggetto di desiderio e piacere e, da questa prospettiva, gli atti perversi non sarebbero altro che una riedizione metaforica d’una esperienza traumatica non rappresentabile, immagazzinata nella memoria implicita e pertanto non ricuperabile tramite il ricordo ed il sollevamento della rimozione.
Secondo me, se consideriamo gli aspetti difensivi della perversione, perfino nelle sue modalitá piú apparentemente anoggettuali (senza oggetto) o intrapsichiche, possiamo approfondire nelle radici traumatiche che danno vita alla personalitá perversa, tali come l’accumulo di microtraumi ripetitivi, le comunicazioni famigliari patogene, le separazioni premature o gli abbandoni, ed, in conseguenza, allontanarci dalle ipotesi innatiste che favoriscono sviluppi letterari o filosofici ma scarsamente terapeutici.
Tornando al rapporto tra la perversione ed il trauma, vorrei difendere l’idea che i rapporti d’oggetto perversi sarebbero meccanismi difensivi di fronte ad angosce catastrofiche ed intollerabili. Il rapporto sadomasochista, per esempio, sarebbe una forma di perversione dominata da un mondo nel quale l’Io del soggetto sarebbe fuso coll’oggetto idealizzato e le leggi dello spazio, del tempo e della logica sarebbero ferme: la separazione, la morte ed il lutto, di conseguenza, non potrebbero verificarsi. Il nucleo della perversione risiederebbe pertanto nella difesa estrema di fronte all’angoscia di separazione ed al dolore della perdita ed al rifiuto a risolvere i conflitti inconsci legati ad esse.
La maggior parte degli autori contemporanei considerano la perversione, tanto negli uomini come nelle donne, come l’espressione di processi difettosi o addirittura inesistenti di identificazione, come conseguenza di una difficile, perturbata o perfino impossibile disidentificazione d’una immagine materna pre-edipica, pericolosamente nociva ed onnipotente, che ha acquisito la sua virulenza di fronte ad una serie di esperienze di carattere traumatico. Per appoggiare queste considerazioni, presenteró il seguente materiale clinico:
Materiale clinico
………. …….. ……. il materiale clinico non viene pubblicato per motivi di riservatezza
Masochismo erogeno come difesa di fronte al dolore psichico.
Dalla prospettiva clinica precedente, mi sembra di poter difendere l’idea secondo la quale la perversione o, in ogni caso, le dinamiche perverse che si producono perfino nelle strutture nevrotiche, sono il frutto di una risoluzione difettosa o dell’impossibilitá di elaborare processi di separazione o di disidentificazione molto precoci. L’identificazione primaria dominata dalla figura materna idealizzata, fonte inesauribile di piacere e baluardo protettore contro la formazione di fantasmi persecutori e distruttivi nella realtá interna puó essere abbandonata soltanto tramite processi di disidentificazione ben costituiti. Altrimenti, si stabiliscono punti di fissazione molto potenti che evitano la crescita e l’accesso alla dinamica edipica in senso stretto. Nella dinamica dei meccanismi perversi bisogna enfatizzare il concetto di fissazione e non quello di regressione, il che presupporrebbe la situazione edipica come uno spazio per il quale il perverso avrebbe transitato ma dal quale sarebbe stato posteriormente espulso. In altre parole, la caratteristica principale del meccanismo perverso é il tentativo di dominare l’insopportabile terrore di perdere o separarsi da questa imago materna pre-edipica e pre-genitale, che d’altra parte é, paradossalmente, inadeguata, insufficientemente contenitrice e straordinariamente fragile e vulnerabile.
Materiale clinico
………. …….. ……. il materiale clinico non viene pubblicato per motivi di riservatezza
Riflessioni finali
Il materiale clinico di questi due casi permette di situarci di fronte ad una linea molto sottile che stabilisce un rapporto tra questi due concetti psicoanalitici considerati per molto tempo entitá giustapposte.
A partire dai contributi di Stoller (1975), nei quali descrive numerose osservazioni su bambini prematuri che avevano dovuto subire interventi chirurgici traumatici e su famiglie che chiaramente avevano praticato abusi sessuali e di Grossmann (1991), che parla di trattamenti di bambini che erano statti oggetto di violenze sessuali, viene constatato che in tutti i bambini si sviluppa una capacitá straordinaria di reagire al trauma con un comportamento etero ed autodistruttivo.
Nonostante ció, l’ipotesi che ho cercato di difendere non é un’equazione lineare tra trauma sessuale ed origine della perversione. Sicuramente l’infanzia di molti perversi non é stata segnata da esperienze di abusi sessuali. Ció che é traumatico non puó essere identificato con un’ azione lesiva violenta, ma con una pressione psicologica, seduttrice ed autoritaria dell’adulto sul bambino che smentisce la sua percezione d’indipendenza e di autonomia ed il suo senso d’identitá personale e sessuale.
A partire della teorizzazione di Ferenczi sul trauma, essenzialmente “Il bambino mal accolto e la sua pulsione di morte” (1928) e “Confusione delle lingue tra adulti e bambini” (1932) e degli sviluppi posteriori di Balint e Winnicott, il rapporto tra trauma e perversione é stato trattato da diversi autori, tra i quali emerge Stoller (1975), giá accennato, con la sua idea della perversione come erotizzazione dell’odio, Masud Kahn (1979), con il concetto di trauma cumulativo, secondo il quale certi microtraumi infantili possono contribuire a creare alcune aree di tipo narcisista ed autoerotico, e perfino B. Joseph (1982), quando considera che le perversioni dipendono da una “ritirata autistica” del bambino, susseguente ad una distanza emozionale dei genitori.
Se i traumi di natura sessuale, nell’impedire lo sviluppo della capacitá di godere, aprono la strada alle inibizioni sessuali, alla frigiditá e soprattutto alle fantasie ed al piacere sadomasochista, i traumi di natura non sessuale straziano il sentimento di fiducia nel mondo e nello spazio transizionale che permette di sentirsi in armonia con gli altri, essere portatore di desideri e proiettarsi nella vita tramite un mondo interno denso di pensieri ed emozioni. Quando un bambino si sente sistematicamente smentito e negato nei suoi pensieri e qualitá personali, il suo mondo emozionale ed affettivo ne soffre nella sua totalitá. Deve conciliare la sua speranza di contare con dei genitori sufficientemente buoni con la terribile delusione di non aver trovato riconoscimento al suo amore. Attorno ad un bambino ferito e privato di un mondo emozionale condiviso, si puó strutturare un adolescente apparentemente normale ma dietro il quale si nasconde una persona che non dispone di un campo emozionale libero e fiducioso, in cui l’esperienza traumatica non elaborata distrugge la possibilitá di percepire sé stesso come una persona integra. Ecco qui l’inizio di una possibile struttura o dinamica perversa.
Siamo ancora molto lontani di arrivare ad unificare e ad integrare tutti i parametri che si aprono nella teoria psicoanalitica, a partire dalla sfida che rappresenta l’esperienza clinica con pazienti traumatizzati che sviluppano attitudini, meccanismi ed un’ organizzazione delle emozioni e dei sentimenti di tipo perverso. Nonostante ció, l’ascolto di pazienti che praticano rapporti sadomasochisti, certe situazioni compulsive di autolesionismo fisico mascherato che praticano soprattutto donne tramite presunti interventi chirurgici di carattere estetico, il problema dell’anoressia e della bulimia, la questione non esplorata dell’incesto, praticato sia dal padre sia dalla madre, il problema del maltrattamento fisico e dell’umiliazione di bambini e donne, la crudeltá gratuita praticata contro persone in situazione di debolezza o sottomissione, la tortura in tutte le sue forme aberranti d’applicazione, il razzismo e la xenofobia, la pratica arbitraria e frivola che indica operazioni chirurgiche di cambio di sesso senza la necessaria esplorazione psichica previa, la guerra, l’odio e talvolta la constatazione di essere di fronte ad un mondo culturale che non é disposto a rinunciare ad una sola pulsione, ci obbliga a domandarci come psicoanalisti quali esperienze laceranti sono accumulate in questo inconscio non rimosso a cui mi sono riferito prima in modo da generare cosí tanta violenza e distruzione.
Forse l’ascolto e la riflessione del rapporto tra il trauma e la perversione possono permetterci di pensare che la psicoanalisi avrá sempre l’opportunitá di esistere e di situarsi come una alternativa alle terapie express o farmacologiche, perché, come diceva Piera Aulagnier, la maggior parte delle volte i pazienti non vengono alle nostre sedute cercando un valore intellettuale o la decifrazione di una veritá, vengono semplicemente perché hanno bisogno di contare sull’aiuto di un’ esperienza umana che sia capace di capire il loro dolore, ma soprattutto sia capace di permetterli di poter continuare a vivere.
Note
(1) Nel “Feticismo”(1927) il diniego e la scissione sono per Freud la conseguenza dell’intolleranza alla “realtà” della castrazione, si originano quindi dall’interno. Per Ferenczi, invece, si producono in uno spazio intersoggettivo, nella relazione con l’oggetto.
(2) 14 febbraio, pp.85.
(3) Diario Clinico, 26 giugno