Pubblichiamo i commenti ai film presentati durante la sezione di Buio in sala Cinema e Psicoanalisi all’interno della rassegna estiva del Cinema Stensen alla Manifattura Tabacchi.
Richard Jewell
di Clint Eastwood (Usa 2019, 129′)
Commento di Vincenza Quattrocchi
Tre giorni sull’altare, 88 sulla polvere
Il regista racconta e rivisita una storia vera: durante le Olimpiadi del 1996 ad Atlanta, la guardia di sicurezza Richard Jewell, scopre una bomba, si pone con ostinazione affermando i suoi sospetti a dispetto della sottovalutazione dei vari addetti alla sicurezza. L’attentato per il suo gesto ha conseguenze ridotte rispetto alla possibile catastrofe: la morte di due persone e il ferimento di 111 partecipanti alla serata musicale.
Clint dall’alto dei suoi lunghi anni di vita vissuta mette il dito su come il pregiudizio (questa è la sua lotta interiore) sia il motore di molte ingiustizie e soprusi. Ci dice come il rapporto tra massa e individuo e tra sistema e individuo, nel mondo contemporaneo, sia, molto sfavorevole per il singolo.
Richard è un ragazzone oversize, ingenuo, candido nel suo approccio con il mondo. Ha costruito negli anni, un’identità sul senso del dovere e sul sogno di diventare poliziotto per difendere il mondo dai pericoli…e chi cerca li trova! Ha un approccio severo, fanatico, ottuso e, nello stesso tempo gentile con il mondo che invece gli restituisce continuamente un’immagine spregevole di sé.
Il regista punta la telecamera sugli uomini e le donne dello stato e dei media, superficiali e sprezzanti verso il privato altrui. Usano metodi scorretti per affermare il loro pregiudizio volto a trovare rapidamente il colpevole. “la bomba è esplosa nel mio turno e nel mio percorso” dice l’agente FBI che diventerà il suo principale accusatore. Per i media quel che conta è avere qualcosa di sensazionale da sbattere in prima pagina, un attentatore solitario perfetto, dice la giornalista senza scrupoli. Alla ricerca di prove che possano incastrarlo, fondano solo sulla sua fragilità, le ragioni del sospetto. In questo clima, quello che, con indiscutibile evidenza è un eroe, diventa il sospettato numero uno e anche l’unico sospettato. Nessuno si ribella se non la madre, un avvocato alternativo con la sua segretaria e un amico.
Perché la scelta di questo film in occasione della rassegna estiva di cinema e psicoanalisi? Colpisce il ripetersi di un messaggio spesso presente nei film del regista: l’elemento portante è la relazione tra i due coprotagonisti, Richard e Watson, l’avvocato. Scelto, quest’ultimo perché nei brevi tempi di frequentazione era stato l’unico ad averlo trattato come persona, aldilà degli stereotipi. Se desiderava chiamarlo diversamente da Richard, diceva radar, evidenziando altre sue specificità: attenzione e grande capacità d’osservazione. La relazione tra i due diventa sempre più articolata e profonda. Richard indulge in atteggiamenti ossequiosi verso gli uomini di Stato che lo stanno ingiustamente incolpando, Watson lo richiama al rispetto di sé… ”In quella stanza non c’è nessun uomo migliore di te!” “Non sono il governo degli Stati Uniti, sono tre stronzi che vogliono incastrarti”.
Dal suo avvocato mentore, empaticamente vicino e nello stesso tempo, inaspettatamente esperto in giurisprudenza, impara molte cose. Apre gli occhi e si accorge che chi l’accusa non ha prova alcuna. L’accusa si fonda sul pregiudizio e sul suo modo di stare nel mondo, costruito a sostegno di un Se fragile. Allora Richard alza la testa, si difende con destrezza, parla con autonomia, affrancandosi persino dal dettato dell’avvocato, lasciando senza parole i suoi accusatori, riportandoli alla responsabilità universale che vede ogni persona come anello di un unico grande sistema…”Voi inseguite me, ma perdete di vista il vero colpevole”. Dimostra la sua innocenza ma è come se qualcosa si frantumasse dentro di sé, la sua fiducia nelle istituzioni, nello Stato, è crollata e con questa anche il suo sistema difensivo, vacilla il suo falso Sé.
La relazione tra Richard e Watson ci parla di rêverie, (Bion), di un incontro salvifico e della possibilità di uno scambio con l’altro che sia esperienza di costruzione del senso di sé (Winnicott). Richard, riceve dal suo avvocato gli strumenti per recuperare il senso e la stima di sé; poter essere anche altro e non sottomettersi. Vedere e vedersi con altri occhi.
Richard vive ancora con la madre Barbara, il progetto di una vita autonoma lo preoccupa ancora. Tra madre e figlio c’è un alternarsi di reciproca protezione ancor più nei giorni drammatici dell’inchiesta, il loro piccolo mondo è violato. Richard entra in profonda empatia con lo stato d’animo della madre e si fa carico della sua delusione…
“ tre giorni per essere orgogliosa di suo figlio e poi glielo hanno portato via”.
La madre, sembra conoscere e rispettare sia i limiti del suo ragazzo che le sue aspirazioni: assumere un ruolo istituzionale che gli consenta di difendere gli altri dai cattivi, per proteggere se stesso.
“Riabiliti il suo nome” chiede accorata al presidente degli Stati Uniti.
Alla notizia d’essere stato finalmente scagionato da ogni sospetto, “Voglio vedere mamma”, dice a Watson il nostro protagonista. Sono insieme quando l’agente federale comunica la conclusione delle indagini che terminano con il suo essere scagionato. “Si può fare” risponde W. sedendosi accanto a lui e abbracciandolo. In quel momento tanto spontaneo si realizza un qualcosa di semplice e immediato ma nello stesso tempo molto complesso, la ripetizione di quella che definiamo holding materna (Winnicott). Per Richard la scoperta è che anche un altro può esercitarne la funzione.
Lo vedremo Richard, a distanza di anni, indossare l’agognata divisa da poliziotto, dopo sei anni il vero colpevole ha confessato, ma il suo mondo incantato fatto di miti ha perso il suo vivido splendore. L’ha deluso.
Non è così che si diventa adulti?
Vincenza Quattrocchi, Psicoterapeuta, Psicoanalista, Membro Ordinario Società Psicoanalitica Italiana, Centro Psicoanalitico di Firenze
Riferimenti bibliografici
Bion W.R. (1962) Una teoria del pensiero, in Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma 1970
Bion W.R. (1962) Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma 1972.
Winnicott D.W. Gioco e realtà, trad. it. Giorgio Adamo e Renata Gaddini, prefazione di Renata Gaddini, Armando, Roma 1974
Winnicott, D.W. ( 1990) Dal luogo delle origini, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996