Relazione presentata al seminario di Formazione Psicoanalitica “Trauma, dissociazione, perversioni. Teoria e Tecnica”. Sabato 16 Nov. 2013
Aula Magna della Scuola Superiore S.Anna. Piazza Martiri della Libertà, Pisa.
Nonostante siano molto studiate in psicoanalisi, le perversioni, e in particolare il feticismo, hanno tuttora uno statuto incerto. Questo lavoro, che discute un caso clinico di feticismo, intende avanzare alcune ipotesi sulla natura di questo stato mentale, focalizzandosi in particolare sul tipo di piacere che il paziente ricava dal feticcio.
Partendo dalla scissione e dal diniego, di cui Freud per primo aveva sottolineato l’importanza, metteremo in evidenza un aspetto significativo di questo paziente ossia la capacità di entrare in uno stato mentale immaginativo di cui il feticcio rappresenta il nucleo di un’esperienza quasi-delirante.
Il piacere sovrasensuale
Per definire il tipo di orgasmo che il masochista raggiunge, Sacher-Masoch, nel famoso romanzo “Venere in pelliccia”, impiega il termine “übersinnlich”. Questo vocabolo tedesco significa sia sovrasensibile sia sovrasensuale, termine che, in tutte le sue accezioni e sfumature, descrive un piacere sensuale speciale che travalica i limiti della percezione e della sensibilità ordinari. (1)
La perversione sarebbe appunto “übersinnlich” in quanto capace di catturare la mente e portarla verso esperienze sovrasensibili, verso un piacere estatico simile allo stato di trance.
Tutto ciò porterebbe a considerare le perversioni sessuali come appartenenti ad un’area mentale affine a quella delle tossicomanie; infatti esprimerebbero una dipendenza o una schiavitù da una droga mentale di tipo sessuale, simile alla dipendenza da alcool o da stupefacenti.
Heinz Kohut è forse il primo tra i pochi analisti che hanno sottolineato la somiglianza tra il piacere perverso e quello derivante dalle droghe. Nella prima lezione all’Istituto di Chicago (1996) ci dice che la persona è spinta verso la perversione con la stessa intensità con cui un individuo dipende da una droga e sperimenta un piacere dello stesso tipo. In seguito Meltzer (1973), in “Revisione strutturale della teoria delle perversioni e delle tossicomanie”, apparenta le perversioni alle tossicomanie. In altre parole, le perversioni sarebbero tecniche volte a promuovere uno stato di eccitamento mentale che non include alcun elemento relazionale e che è ricercato per se stesso.
Nel nostro lavoro cercheremo di mostrare che il paziente difficilmente può abbandonare quell’eccitamento e quel piacere che sembrano dargli una vitalità senza la quale cadrebbe nell’abulia e nella completa mancanza di significato.
La scissione
Ne “Il feticismo” (1927) Freud elabora il concetto di diniego, una difesa che consiste nel rifiutare la percezione di una realtà intollerabile, e lo mette in relazione con la scissione dell’Io che ne è la conseguenza. É noto che Freud indica come prototipo di questa difesa il feticista, che rinnega la percezione dell’evirazione della donna. Il feticcio sarebbe il sostituto del pene mancante. Il feticista opera una scissione nella percezione della realtà perché da una parte rinnega la mancanza del pene nella donna, ma dall’altra riconosce questa mancanza. L’idea che esista una scissione dell’Io, in cui vengono a coesistere due atteggiamenti contraddittori e incompatibili, induce Freud a modificare le sue opinioni precedenti, in particolare quelle sulla psicosi.
Noi, in accordo con Freud, consideriamo la scissione nel feticismo come una frattura del senso di realtà, necessaria per entrare in uno stato eccitato e orgiastico della mente. Riteniamo che la scissione sia la conseguenza di un’operazione che permette al paziente di allontanarsi dalla realtà, creando un oggetto, il feticcio, che assume un potere estatico.
A questo punto è utile richiamare la nozione di ritiro psichico: uno stato mentale che allontana il paziente dalle relazioni umane e lo trasferisce in una neo-realtà sensoriale, in una condizione di benessere totalizzante.
Il feticcio, con la sua proprietà di eccitare ed estasiare, corrisponde a un ritiro psichico in cui, però, il paziente non rimane intrappolato, può entrare e uscire, perché il diniego e l’allontanamento dalla realtà non sono stabili e definitivi. Ma nello stesso tempo questo ritiro non può essere abbandonato definitivamente.
La nostra ipotesi è che sia proprio questa spinta verso il piacere a conferire alla perversione, e in particolare al feticismo, il potere di dominare la mente.
L’intensità dell’orgasmo perverso è stata già segnalata da Freud (1929), che la considera come la soddisfazione di una pulsione indomabile. Si può pensare, come Chasseguet-Smirgel (1981), che l’hybris, l’ebbrezza di avere realizzato la disfatta dell’universo procreativo genitoriale, abbia un ruolo fondamentale in questo tipo di eccitazione. La megalomania narcisistica e l’odio per la realtà sono, infatti, sostanziali all’atto perverso e al piacere sovrasensuale.
Il feticismo nella psicoanalisi
Il feticismo ha avuto in psicoanalisi un destino abbastanza singolare.
Oggetto di due lavori fondamentali di Freud (1927, 1938), ha ricevuto sino a circa tre decenni fa un’ampia attenzione come argomento specifico. Da allora, a parte qualche eccezione, è sceso uno strano silenzio dato che è un argomento che compare nel materiale di molte analisi.
Le ragioni di tale declino non sono chiare: potrebbero consistere nel fatto che la comunità analitica si sia convinta di aver penetrato esaurientemente la sua natura; oppure potrebbero dipendere dal progressivo indebolimento del modello psicosessuale, che interpretava il tema della perversione feticistica.
Nel feticismo un oggetto inanimato diventa lo strumento per raggiungere un piacere sessuale disancorato da qualsiasi forma di relazione emotiva. Tra le diverse parti del corpo sono scelti più frequentemente i capelli o il piede; tra i tessuti sono preferiti quelli morbidi o serici; tra i materiali prevale la gomma. Moltissimi oggetti, anche bizzarri, possono entrare nell’orizzonte del feticista.
Bisogna anche notare che il feticismo, pur sembrando dal punto di vista nosografico un’unica entità, comprende dinamiche diverse che sottendono la scelta del feticcio. Ad esempio, mentre il feticismo dei capelli può essere visto come uno stato di eccitamento adorante, la stessa adorazione, se rivolta al piede (sia femminile che maschile) o alle scarpe, contiene di solito una componente masochistica (fantasia di essere schiacciato dal piede).
Si tratta spesso di pazienti con un’infanzia carenziata e solitaria che ricordano molte bene il primo episodio feticista.
Non è raro che pazienti con feticismo del piede e che diventano omosessuali abbiano avuto nell’infanzia attrazione per i piedi del padre.
L’attrazione verso il piede e il suo uso come oggetto parziale potrebbero derivare anche dal fatto che il piede è la parte estrema del corpo del genitore, più facilmente raggiungibile e conquistabile da parte di un bambino che vive già in un ritiro sessualizzato: da qui l’aspetto di sottomissione e l’elemento masochistico che esiste in ogni feticismo del piede.
Alcuni modelli analitici sul feticismo
Molte sono state le ipotesi psicoanalitiche prospettate per chiarire l’enigma del feticismo.
La prima è quella avanzata da Freud (1927, 1938) che lo fa derivare dall’angoscia di castrazione della fase fallica. Il feticcio rappresenterebbe un sostituto del pene materno di cui il bambino afferma l’esistenza negando la realtà della castrazione. Il fatto che il feticismo sia un’abitudine prevalentemente maschile confermerebbe l’ipotesi che l’angoscia di castrazione dei maschi sarebbe molto più acuta rispetto a quella femminile.
Oltre all’interpretazione di Freud sul feticismo, altre sono state formulate da autori successivi.
Alcuni lavori (Lorand,1930; Wulff,1946; Buxbaum,1960) hanno collocato il punto di fissazione del feticismo in una fase pre-edipica; altri (Payne, 1939; Gillespie, 1940, 1964; Hunter, 1954) hanno messo in relazione il feticcio con oggetti interni primitivi. È anche stato prospettato che esso serva come difesa dall’angoscia di separazione (Bak,1953; Weissman,1957), oppure che rappresenti uno sviluppo patologico dell’io somatico e della relazione madre-
bambino(Greenacre, 1953, 1960; Mittelman,1955), o che derivi da un’identificazione patologica con la madre (Kronegold e Sterba, 1936; Kestenberg, 1956; van der Leeuw, 1958; Socarides, 1960) e dal conseguente desiderio di avere un bambino; infine, che costituisca una difesa da angosce che minacciano la relazione con la realtà (Glover, 1932, 1933, 1949; Socarides, 1959; Katan, 1964) e dalla paura di cadere nella psicosi.
Quando Winnicott (1953) prospetta l’uso dell’oggetto transizionale da parte del bambino, la similitudine con il feticcio è apparsa molto suggestiva (Winnicott, 1953; Lacan e Granoff, 1956; Fraser, 1963).
Phyllis Greenacre (1970) sostiene che l’oggetto transizionale e il feticcio servono entrambi a controllare una situazione ansiogena, ma, aggiunge, le analogie si fermano qui. Mentre l’oggetto transizionale serve a sviluppare il senso di realtà (la differenza tra il me e il non-me), il feticcio è portatore di una compromissione del senso di realtà.
Inoltre l’oggetto transizionale è sostenuto da una forte componente idealizzante e viene abbandonato con la crescita, il feticcio, invece, si mantiene per tutta la vita mediante la fascinazione e l’auto-ipnosi. Greenacre mette in evidenza che alcuni feticisti hanno avuto una madre inconsistente e inaffidabile e sono cresciuti in un’atmosfera familiare deprivante.
Ulteriori contributi
Masud Khan (1965) sostiene che la capacità di creare un feticcio testimonia la forza del bambino di salvarsi dal collasso e dalla disintegrazione. I meccanismi di base sono la scissione, il diniego, l’isolamento, l’idealizzazione, la somatizzazione e la sessualizzazione.
Tramite il feticcio l’Io cerca di trovare una strada per emergere dalle sue
esperienze negative e dal suo ritiro paranoide e, tramite la sessualizzazione, cerca di contenere gli impulsi aggressivi e sadici.
Masud Khan sostiene che la perversione proviene da un’area di fallimento dello sviluppo e dell’integrazione del Sé che nasce da distorsioni nella relazione primaria madre-bambino, sia nel senso di una iperstimolazione sia in quello di una ipostimolazione. Poiché entrambe le situazioni non permettono la crescita reale, il bambino verrà a dipendere dalle prime stimolazioni corporee e cercherà con queste di riparare al danno avvenuto allo sviluppo del sé.
Il punto di vista prospettato da Masud Khan fa parte di quello che uno di noi (De Masi,1999) ha prospettato come il secondo paradigma interpretativo analitico delle perversioni. Di questo gruppo fanno parte anche analisti come Kohut, che sostiene l’impossibilità di avvicinarsi alle perversioni inquadrandole nel contesto della dinamica delle pulsioni pregenitali, come avviene nel modello pulsionale.
Secondo Kohut l’entrata nella perversione dipenderebbe da una precoce rottura traumatica della fusione empatica del bambino con l’oggetto-sé, che provoca l’attivazione di un meccanismo di riparazione del Sé attraverso mezzi patologici.
In questo modello le perversioni sono concepite come un tentativo di evitare esperienze di morte o di frammentazione psichica, come già aveva anticipato Glover (1933).
Una concettualizzazione originale è quella di Joyce McDougall che sostiene come le cosiddette sessualità perverse, tra cui il feticismo, non siano altro che tentativi estremi e complessi di mantenere una qualche forma di relazione umana. McDougall propone di sotituire il termine perversione con quello di neo-sessualità, intendendo sottolineare che molte deviazioni sessuali sono vere e proprie creazioni concepite dalla psiche perfino nei più piccoli particolari. Le fantasie masturbatorie dei perversi sarebbero una forma di rappresentazione teatrale che equivale a un tentativo di proteggersi da una sorta di morte libidica.
Chasseguet-Smirgel (1978, 1981) sottolinea nel feticista la perdita di contatto con la realtà “dell’universo genitale” e l’accesso a un “universo sadico-anale” a esso contrapposto, nel quale, con la complicità della madre seduttiva, sono annullate le differenze tra i sessi e tra le generazioni. L’Autrice ritiene che tutte le perversioni siano essenzialmente sadico-anali, dal momento che nell’universo anale l’equazione freudiana pene-bambino-feci è da intendersi letteralmente. Grazie alla natura della regressione sadico-anale, il feticcio consente di esercitare un controllo magico onnipotente sugli oggetti, consentendo in tal modo di ristabilire la fusione originaria.
Betty Joseph (1971) presenta il caso di un uomo in analisi che aveva come feticcio una tuta di gomma nera. Riusciva a raggiungere l’orgasmo quando veniva masturbato da una prostituta e fantasticava di essere attaccato da personaggi vestiti anch’essi con una tuta di gomma. Infine, poteva eiaculare anche da solo quando, sempre vestito di una tuta di gomma, la sua superficie cutanea risultava tutta eccitata.
Joseph sostiene che questo paziente usava il feticcio come un oggetto in cui proiettare se stesso per fuggire dalla realtà e dal rapporto con esseri umani dotati di valore. Lo stesso oggetto gli serviva per proiettare il suo eccitamento sessuale in modo da realizzare un’esperienza di piacere controllata e passiva ed evitare la paura di incontrarsi con una donna sessualmente attiva. Nel corso dell’analisi la proiezione dell’eccitamento sessuale lo rendeva spesso apatico e impotente e lo portava silenziosamente a una erotizzazione del transfert. Il lavoro terapeutico è stato centrato sull’organizzazione narcisistica del paziente, sul senso di superiorità e autosufficienza evidenti nei sogni, nelle fantasie e nel transfert.
Il contributo specifico di Betty Joseph è quello di mostrare come l’eccitamento feticistico del paziente venga agito continuamente nel transfert e come il comportamento passivo equivalga a un attacco alle capacità dell’analista, che viene in questo modo provocata e resa impotente.
In “Stati sessuali della mente” (1973) Meltzer sostiene che gli oggetti dell’eccitazione sessuale attorno a cui si cristallizzano le perversioni sono
“oggetti smontati”, diversi da quelli parziali. Inoltre amplia il concetto di feticcio introducendo il termine di “balocco feticistico”. I perversi, in analogia con i bambini che hanno sofferto di autismo precoce, smontano l’oggetto servendosi della “settorializzazione” dei sensi. I pazienti perversi attuerebbero lo smontaggio secondo un’attenzione selettiva alle qualità sensoriali dell’oggetto esterno. La formazione del feticcio corrisponderebbe a un livello autoerotico della sensualità che impedisce l’emozionalità, la memoria e la soddisfazione.
Nella visione post-kleiniana il feticismo si caratterizza per un aspetto masturbatorio-distruttivo. La sua matrice di ritiro sessualizzato è considerata un attacco alla relazione di dipendenza da un oggetto umano.
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MATERIALE CLINICO
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L’origine infantile
Ogni perversione ha la sua origine nell’età precoce.
Già ne “Un bambino viene picchiato” (1919) Freud descrive bambini molto piccoli, di cinque o sei anni, che si eccitano con fantasie sadomasochistiche. Ai nostri giorni potremmo dire che questi bambini si sono ritirati in un mondo dissociato dalla realtà in cui costruiscono continuamente fantasie sensoriali che hanno un potere eccitatorio.
Anche nel caso presentato la fantasia feticistica data dall’infanzia; essa sembra funzionare come un rifugio in una fantasia (Steiner, 1993) così potente da entrare anche nella rappresentazione dell’identità. In questo caso, la perversione ha assunto nel tempo anche un aspetto ipermorale (come in tutte le perversioni), che ha rinforzato il potere spirituale della costruzione psicopatologica: questa si è imposta come una esperienza superiore che promette la felicità e che pretende la sua completa dedizione.
Lo stato di esaltazione ottenuto attraverso il feticcio sembra volto a colmare una condizione di vuoto che appare sovra determinata: da una parte sembra trattarsi di un vuoto depressivo dovuto alle difficili esperienze infantili, dall’altra sembra derivare dalle stesse esperienze esaltate che una volta esauritesi riducono all’apatia.
Tra le facilitazioni per il feticismo, è possibile che in epoche infantili sia stato erotizzato il corpo della madre gravemente depressa. È anche possibile che la madre inerte e apatica induca nel bambino il bisogno di trovar rifugio nel ritiro sensuale.
Il ricorrere intensivamente al ritiro nella fantasia fin dall’infanzia compromette nel tempo sia la possibilità di sviluppare la capacità di pensare sia quella di sviluppare un’aggressività vitale che consenta di sostenere i conflitti ed in generale nell’affrontare la vita, le contrapposizioni, la concorrenzialità.
Ne risulta una confusione tra parte sana e parte patologica.
Nei momenti di progresso della sua analisi, il paziente manteneva vivo il dubbio, come emerge in alcuni sogni, e avvertiva internamente un conflitto tra lasciarsi catturare completamente dal mondo fantasticato ed il desiderio di poter pensare. Sembrava che egli avvertisse la pericolosità di abbandonarsi passivamente alle richieste della parte feticistica e si ribellava a tale pretesa.
Una trasformazione di piuttosto modesta è avvenuta nella decostruzione dell’organizzazione patologica feticistica che lo dominava, un problema molto comune quando si lavora analiticamente con le costruzioni psicopatologiche: i pazienti la difendono strenuamente sino a quando non è possibile costruire un’alternativa che lo sostenga.
Di fatto la struttura feticistica veniva trattata nel mondo interno del paziente come un idolo venerato per il potere e per la promessa di un piacere e di una felicità senza limiti. L’idolo era il risultato di un’operazione di inconsapevole falsificazione in cui veniva idealizzato un elemento che si prestava alla seduzione (il potere, la bellezza o la superiorità); in termini dinamici poteva essere considerato una parte del paziente scissa, antiemotiva, che lo confondeva e che prometteva il paradiso se egli si fosse sottomesso al feticcio. Si ha a che fare con una costruzione vicina al delirio in cui l’insight non ha per molto tempo alcuna forza di penetrazione e cozza contro la barriera di un pensiero ostinato e difficilmente trasformabile. La sottomissione richiesta dall’idolo si trasforma in minaccia. Il nucleo feticistico assume così l’aspetto di un oggetto concreto attivo e dialogante nel mondo interno che lo rimprovera e minaccia di castigarlo per la sua mancata sottomissione.
La sensazione del paziente che la sua convinzione non sia rinforzata dalla risposta simmetrica dell’oggetto e che per questo rischi di affievolirsi, o addirittura di scomparire, è un’esperienza insopportabile per il paziente, che teme di cadere dentro uno stato depressivo di non esistenza, impossibile da tollerare. Ciò si è reso responsabile dell’interruzione dell’analisi dopo alcuni anni di trattamento.
Conclusioni
Alcuni analisti (McDougall, Grossman, Adair) si sono interrogati sul rapporto tra feticismo e psicosi. L’elemento che accomuna i due stati mentali è certamente il diniego della realtà, come aveva intuito Freud.
Grossman (1996) ritiene che il diniego sia caratteristico del paziente perverso: la percezione della realtà viene denegata a favore delle “untested fantasies”.
McDougall (1972) afferma: “La formazione perversa sfuma nella formazione psicotica e il diniego sfuma nel ripudio o l’abolizione della verità percettiva, postulata da Freud come la base del meccanismo psicotico”.
Adair (1993) prende in esame alcuni lavori di Freud interrogandosi se intendesse o meno per diniego lo sradicamento psicotico della percezione e
conclude: “Si direbbe che Freud sarebbe stato d’accordo nell’affermare che il feticismo è separato dalla psicosi da un confine più permeabile, più sottile e più fragile rispetto a quello che preserva la normalità o la nevrosi dal più oscuro destino allucinatorio.”
Un carattere tipico del feticismo, confermato dal caso presentato, è che il paziente vive in due realtà separate: noi abbiamo sottolineato come una realtà è quella che lo mantiene legato al mondo umano mentre la seconda é quella che lo spinge verso una convinzione delirante. È questo un altro carattere, quello della scissione dell’Io, segnalato da Freud (1938).
La convinzione che il piacere promesso nel mondo feticistico renda il mondo delle emozioni sperimentate nelle relazioni umane molto deboli e prive di significato è presente in ogni perversione: il piacere raggiunto è appunto “übersinnlich”, superiore alle normali e comuni esperienze. Questa idea, di solito, pone il paziente in una posizione di evidente superiorità nei confronti dell’analista al quale sarebbe negata l’esperienza suprema del godimento.
Pur esistendo una scissione tra i due mondi, incompatibili e contradittori, è anche vero che, nel caso riportato, il paziente può entrare e uscire dal mondo feticistico senza rimanervi imprigionato ed è evidente il tentativo della parte feticistica (con tutta le sue implicazioni di fuga dalla realtà) di invadere e colonizzare la parte sana. Anche se la dinamica sembra analoga, nel caso del feticismo la pressione non è così forte e implacabile come avviene nella psicosi (De Masi 2006), in cui il mondo del ritiro nella fantasia travolge la parte sana e sfocia nell’esperienza delirante.
Si potrebbe dunque pensare al feticismo del caso descritto come a un delirio circoscritto che coesiste con una personalità relativamente sana.
NOTE
(1) Übersinnlich è mutuato dalle parole di Mefisto a Faust: “Vai, sensuale seduttore sovrasensuale….” Nell’edizione italiana del Faust la parola viene spesso tradotta con “trascendentale” (Dal Col). Come fa notare Gilles Deleuze (1967), nel testo di Goethe il termine non significa “sovrasensibile” ma “sovrasensuale”, “sovracarnale” conformemente alla tradizione teologica in cui Sinnlichkeit designa “carne”, “sensualitas”.
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