François Jullien, Cinque concetti proposti alla psicoanalisi, Ed. La Scuola 2014
Recensione a cura di Antonella Sessarego
François Jullien è un filosofo e sinologo francese, dirige l’Institut de la Pensèe Contemporaine dell’Università Paris Diderot e come lui stesso ci dice è un attento ed appassionato lettore di Freud, senza però alcuna esperienza diretta della cura psicoanalitica, nè come analista né come paziente.
Sono più abituata a leggere ciò che altri analisti formati e praticanti, hanno scritto, o anche interessanti saggi di autori che in qualche modo gravitano intorno al mondo psicoanalitico, perché ne hanno fatto esperienza, magari come analizzati.
Questo libro mi ha incuriosita perché l’autore parte da tutt’altro punto di vista e dice “ se avessi avuto una esperienza prolungata della psicoanalisi, mi ci sarei attaccato, fissato……non avrei avuto la necessaria velocità e la distanza per volteggiare con questa libertà in mezzo a queste questioni..” . François Jullien concepisce quindi questo saggio tra la lettura di Freud e la frequentazione del pensiero cinese cercando di produrre del tra fra di loro.
Il risultato di questo confronto e di questa analisi, che risale alle radici di due sistemi di pensiero così diversi, è un piccolo affascinante libro. Il punto di partenza è l’osservazione che nella psicoanalisi la riflessione teorica è in ritardo rispetto alla pratica clinica. Freud è rivoluzionario nella clinica, ma nella teoria si mantiene ancorato al pensiero occidentale, coincide con il pensiero che l’ha preceduto. L’ elaborazione teorica risulta quindi bloccata da preconcetti insospettati, frutto dell’ambito culturale in cui è nata e che l’accompagna, una elaborazione che può addirittura essere cieca e non riuscire a riconoscere pienamente ciò che ha davvero spostato, scosso e rivoluzionato nel proprio campo di attività. Per provare a dispiegare ciò che nella teoria, a causa di questo, è rimasto fin troppo ben “ripiegato” e sistemato si deve passare da un pensiero esterno, per poter disincagliare la ragione e rimettere in moto il nuovo che vi è contenuto.
Jullien lo fa attraverso il pensiero cinese e ci propone questa lettura “disincagliante” di concetti psicoanalitici a noi familiari, ma che non hanno avuto una elaborazione articolata nello sviluppo teorico. Il pensiero cinese che non ha concepito la liberazione attraverso il potere della parola, si è invece applicato a sviluppare un dire allusivo, che dice appena o tangenzialmente. E’ un pensiero che non ricerca la Verità, preferendo piuttosto essere in fase, “stagionale”, “momentaneamente” e “situazionalmente” adattato. Ogni esperienza, anche quella interiore, è abbordata sotto l’angolo della correlazione tra fattori opposti. Non c’è in questo pensiero drammatizzazione del conflitto, ma regolazione delle energie dell’ armonia.
Jullien ha immerso le elaborazioni teoriche della psicoanalisi in questo “bagno di estraneità”, rappresentato dal pensiero cinese, e ne ha osservato le reazioni sotto una luce obliqua e approfittando degli sfasamenti si è chiesto se e dove il pensiero psicoanalitico si è bloccato e dove è arretrato.
Ci porta così alla lettura di due pensieri lontani, messi di fronte, forse più specchiati che confrontati, qualcosa su cui farsi domande piuttosto che avere risposte.
I cinque concetti che propone sono concetti che riguardano operazioni fondamentali che si svolgono in seduta, ma incompletamente pensati o trascurati, ma è in questi “dettagli” tecnici che si rivela la portata innovativa del pensiero freudiano. Si tratta quindi di concetti presenti nella pratica psicoanalitica, che sono una risorsa a cui discretamente si attinge nella cura, senza identificarli con chiarezza. Sono anche concetti del tutto familiari nel pensiero cinese che da sempre si occupa di condizione, propensione, influenza, ricerca di coerenza.
Ad ognuno dei concetti è dedicato un piccolo capitolo dove sono svolti secondo i due pensieri e messi in relazione tra le due culture. Li riassumo molto brevemente per dare una idea di quanto essi siano noti agli psicoanalisti, ma nello stesso tempo, in questa lettura, sono sotto una luce nuova e diversa.
Disponibilità come condizione di ogni processo conoscitivo, senza prevenzioni né preconcetti per cogliere ciò che c’è di significativo, senza che il senso sia predeterminato
Allusività caratteristica di ogni espressione, della parola, che rende possibili le libere associazioni.
Sbieco, obliquo, influenza i primi due strumenti strategici quando si è alle prese con resistenze che non si possono attaccare frontalmente perché non si conoscono, ciò che sta nelle pieghe. Il terzo influenza come portare ad un cambiamento in modo non programmato o preordinato, ma che passa attraverso. (è questo un passaggio particolarmente affascinante del libro, dove è ben messo a fuoco il lavorare psicoanalitico tra le pieghe, dove qualcosa si increspa, piuttosto che su superfici lisce)
De-fissazione operazione di sblocco, atta a privilegiare il movimento sulla fissità
Trasformazione silenziosa fa afferrare la processualità dello svolgimento, è ciò in cui consiste il processo della cura visto nel suo insieme.
Jullien insiste molto nella parte finale del suo libro, su ciò che è in gioco perché il processo di cura abbia luogo, gioco interno anche come spazio libero da ripristinare perché le cose possano di nuovo muoversi ed accadere e dice: questo gioco è quello del tra che apre lo spazio alla relazione. Evidentemente anche se non cita mai Winnicott, ne è stato attento lettore!
E’ un libro piacevole da leggere e può aiutarci a capire meglio uno dei tanti cambiamenti in atto nel rapporto che la psicoanalisi ha e sempre più avrà con le nuove frontiere.
Gli scritti di Freud erano già stati tradotti in cinese negli anni venti, ma dal 1966 qualunque pratica psicoterapeutica era stata totalmente bandita nel paese.
A 50 anni dal divieto di praticarla imposto da Mao, la Cina si trova a confrontarsi con il pensiero psicoanalitico e l’opera di Sigmund Freud. Il tramonto del Maoismo e gli imponenti cambiamenti sociali hanno avuto una accelerazione che ha profondamente inciso sui legami familiari e sul senso di identità delle persone.
Nel 2011 si è svolta a Shangai la prima conferenza asiatica dell’ IPA, si è aperta la possibilità all’arrivo in Cina di analisti didatti stranieri per la formazione psicoanalitica ed anche la possibilità per terapeuti cinesi di poter andare a formarsi all’estero per poi rientrare, con progetti formativi che possono essere sostenuti anche da Università e ospedali cinesi. Nel 2013 è entrata in vigore la prima legge sulla tutela della salute mentale, dopo un iter durato 27 anni, si calcola che serviranno almeno centomila psichiatri negli anni a venire, mentre l’opera di Freud sta conoscendo una nuova diffusione.
Cristopher Bollas, pensatore tra i più brillanti della psicoanalisi contemporanea, affascinato dal pensiero orientale, pur non essendo un sinologo, ha pubblicato nel 2012 il volume “China on the mind“ (La mente orientale 2013) in cui formula l’ ardita tesi che sia proprio la psicoanalisi che ha saputo fare , attraverso il suo statuto scientifico individuato da Freud, una integrazione tra mente orientale e occidentale.
Ma allora la Cina è davvero vicina?