sabato 13 aprile 2013
Sala del Giardino d’Inverno, Istituto Montedomini, Via de’ Malcontenti 6 Firenze
Kaes rappresenta, nel complesso e articolato scenario psicoanalitico internazionale, non solo uno psicoanalista con un pensiero creativo e innovativo ma anche un grande pensatore che si pone, da tanti anni , domande di grande valore e profondità, un intellettuale che pone la questione di una diversa concezione della psiche, della sua genesi, dei suoi limiti e del suo funzionamento; tutto questo cambiamento di visione ci impegna in una appassionata critica della epistemologia psicoanalitica.
Ad esempio: come facciamo a conoscere quello che già conosciamo? Gli psicoanalisti possono ipotizzare quali siano i malesseri importanti della cultura moderna? E ancora dopo la rivoluzione freudiana sulla conoscenza (dell’uomo e sull’uomo) con quali metodologie possiamo esplorare i resti da conoscere? Come esplorare i limiti estensibili della conoscenza psicoanalitica che ha sempre un rapporto privilegiato con tutto quello che è sconosciuto? E di fronte a tutto questo, cosa può la psicoanalisi, come si colloca oggi rispetto al famoso “disagio della civiltà”magistralmente formulato da Freud tanti anni fa?
Sin dagli anni ‘70 Kaes si interroga su come un individuo possa diventare soggetto; cioè ha focalizzato l’attenzione e lo studio sui processi di soggettivazione, tema molto attuale che vede ormai gran parte della psicoanalisi internazionale confrontarsi con una dimensione sempre più relazionale; in tale direzione l’incontro con l’altro diventa un problema ma anche formidabile opportunità e possibilità di ri-negoziazione della propria storia personale. L’altro non è semplicemente un “oggetto”, un quid impersonale, bensì un altro soggetto che esprime in quanto tale una sua irriducibilità, una dimensione diversa , una differenza con cui il soggetto è costretto a confrontare.
Ormai da tempo si è consolidata la consapevolezza che, alla cura tipo dei pazienti nevrotici, si sono aggiunti nel tempo, nuovi dispositivi psicoanalitici caratterizzati da esperienze ed una importante teoresi su tali pratiche. Ecco il lavoro sui gruppi, sulle famiglie e sulle coppie che hanno prodotto l’esplorazione di ulteriori spazi di realtà psichica. Ma come non ricordare il lavoro con i bambini, con gli adolescenti e con la cosiddette patologie gravi in cui il tema prevalente e decisivo, per la cura, è come trovare un setting di lavoro possibile per quel soggetto e per quell’amalgama familiare?
Da sempre nella teorizzazione di Kaes è centrale la domanda su come si costruisca l’asse identitario su cui si forma la soggettività; cardine di tale edificazione è la modellistica del gruppo, che da gruppo esterno poi andrà incontro ad una progressiva internalizzazione. Kaes è affascinato dal funzionamento gruppale, afferma: “mentre la cura individuale fa lavorare lo spazio psichico di un solo soggetto nel campo tarnsfert-controtransfert, il gruppo mette al lavoro tre spazi psichici, lo spazio intrapsichico del soggetto nel gruppo, lo spazio dei legami interpsichici e lo spazio transpsichico del gruppo stesso. Questi tre spazi non sono né incasrati né sovrapposti, ma in articolazione, in correlazione e interferenza gli uni con gli altri”. Inoltre ciascuno di questi tre spazi è strutturato attraverso una legge di composizione, ognuno comporta dei processi e delle formazioni psichiche specifiche che non esistono che in queste configurazioni e che sono di conseguenza inaccessibili al di fuori dei dispositivi psicoanalitici che li rendono manifesti. Ciascuno di questi tre spazi possiede un proprio inconscio, un’area di conoscenza da esplorare, “un resto da conoscere”. Per tale strada Kaes e grazie alla teoria forte dei gruppi umani arriva ad ipotizzare e pensare al malessere delle società ipermoderne: il legame tra gli individui è in crisi, individui e non soggetti, perché c’è una grande difficoltà nei processi di soggettivazione. Il prevalere della cultura individualistica crea uno spossessamento della soggettività del soggetto a scapito della organizzazione dei processi di socializzazione, soprattutto diventano sempre più precari i cosiddetti “garanti metasociali e metapsichici” che rappresentano da sempre i costruttori dell’inconscio sociale e nel contempo favoriscono la costituzione della struttura portante su cui si poggiano i movimenti identitari di ogni singolo soggetto. In particolare sono diventati lassi e difficili i rapporti tra gli individui; i rapporti generazionali e trans-generazionali tendono a diventare sempre più frammentati e dispersi, ne derivano nuove forme di sofferenza e di psicopatologia, un disagio crescente che necessita forme di comprensione diverse rispetto al passato. E’ auspicabile che la psicoanalisi si interroghi sulle forme dell’attualità senza rinchiudersi in una concezione di psicologia uno-personale ma che contempli la molteplicità e soprattutto i contesti in cui le varie forme dell’inconsci si evidenziano. Kaes propone una psicoanalisi laica ma anche curiosa e attenta ai nuovi disagi della nostra civiltà, una sfida che possa produrre nuovo pensiero e nuove prassi.
In questo senso i dispositivi del gruppo mostrano che il gruppo è il luogo privilegiato di emergenza dell’arcaico, e nello stesso tempo il luogo di simbolizzazione della distruttività e del lavoro della cultura. Un luogo dove osservare la complessità ma anche luogo privilegiato in cui si possono riformulare nuovi movimenti di soggettivazione.
Ascoltare R. Kaes è come usare un grandangolo con la macchina fotografica, una visione d’insieme sulla nostra modernità, sulla complessità della nostra esistenza; una sfida per la nostra mente di analisti non sempre allenati a vedere i fenomeni sociali con lenti diverse da quelli che usiamo abitualmente nella stanza d’analisi e nella terapia duale. E’ un aprirsi alla complessità rispettando la pluralità dei contesti, i relativi inconsci ma soprattutto valorizzando i transiti tra i contesti che producono nuove forme di sofferenza psichica ma anche imponenti processi di soggettivazione nell’intersoggettività.
Questo parziale e riduttivo reportage nasce dopo aver ascoltato un interessante seminario organizzato a Firenze dalla SPI in collaborazione con AFPP,AMPHPIA,SIPP, dal titolo: “Malessere sociale e malessere individuale:alleati o nemici?”.
Ha introdotto i lavori Stefano Calamandrei che ha contestualizzato il famoso lavoro di Freud (“Il disagio della civiltà”) confrontandolo con i pensatori e i malesseri della società moderna; ha partecipato ai lavori Anna Ferruta con una bella relazione dal titolo “Le angustie del narcisismo nella cura analitica. Soggettivazione nell’intersoggettività” che ha riproposto il tema dalla visione della cura individuale, evidenziando l’importanza della qualità dell’oggetto reale e come questo spessore possa esser nel contempo ostacolo e risorsa rispetto al processo di soggettivazione, al divenire dell’Io. In modo particolare rimane centrale, nella società, il contratto narcisistico “gruppale” che riguarda il rapporto tra genitori e bambino piccolo; di fronte alla decadenza di molti miti e garanti organizzatori dello psichismo, questo legame sembra aver conservato una sua significatività. Tale contratto narcisistico pone però problemi complessi quando i piccoli incominciano a differenziarsi e a diventare personaggi di una gruppalità inconscia che manda segnali di progettualità futura. In analisi spesso si presentano meccanismi di soppressione, evitamento, blocco della progettualità; il problema che si pone riguarda i limiti e la natura dei processi di integrazione della personalità individuale, che richiedono che l’altro e ogni alterità non venga soppressa o evitata narcisisticamente, come segno di non raggiunta maturazione o equilibrio. Da questo punto di vista, la teoria dell’apparato per pensare gruppale è di grande aiuto; l’analisi, luogo privilegiato di una capacità di ascolto aperto all’alterità, così può diventare un percorso, un tragitto che va verso il tempo futuro, volta a sviluppare aspetti mai venuti alla luce, una dimensione della mente che tiene presenti le future generazioni come esigenze del soggetto gruppale.
Firenze 31\5\2013 Giuseppe Saraò