Discussione della relazione di I.Ruggiero, presentata nel seminario “Il lavoro di controtransfert nella cura psicoanalitica degli adolescent” .
sabato 8 Giugno 2013
Sala del Giardino d’Inverno, Istituto Montedomini, Via de’ Malcontenti, 6 Firenze
Introduce Stefania Nicasi (SPI).
Intervengono Adriana Ramacciotti (SPI) e Sandra Carpi Lapi (AMHPPIA)
Ringrazio Benedetta Guerrini per l’invito e per la passione che ha messo nell’organizzare questo Seminario.
Ringrazio in particolar modo la dr.ssa Ruggiero di questa magnifica relazione che oltre ad essere molto bella mi ha stimolato tantissimo.
Per facilitare la discussione insieme alla drssa Carpi Lapi abbiamo deciso di divederci un po’ i compiti.
Io ho scelto solo due questioni, sono quelle che mi hanno veramente stimolato tanto e che vorrei condividerle con voi, anche se farò un accenno molto parziale che possa servire ad aprire la discussione.
La drssa Ruggiero ci porta un lavoro nel quale c’è un ricco materiale clinico cosi come sono ricche le considerazioni teoriche. C’è una sintesi in 5 pagine della letteratura sul controtransfert dagli anni ’50 ad oggi dove fa riferimento a tantissimi autori italiani e della letteratura internazionale, che hanno dato dei contributi notevoli.
Inoltre pone, fin dall’inizio, delle questioni fondamentali, come la funzione dell’altro nel recupero delle esperienze interiori non pensate e l’incompletezza psichica base di un processo che è la soggettivazione.
Io quindi cercherò di porre qualche domanda proprio sulla
LA SOGGETTIVAZIONE e poi sulla
LA CENTRALITA’ DEL CONTROTRANSFERT NELL’ADOLESCENZA
Il lavoro della Drssa Ruggiero parte da “Esperienze interiori non pensate”, primo capoverso della prima pagina.
C’è la citazione di Freud relativa all’esistenza di processi psichici che non hanno accesso alla coscienza non perché rimossi, né perché disinvestiti, ma per una mancata “notazione”. ….elementi che eludono la coscienza e prescindono dall’uso dello strumento verbale, delle quali l’analista diventa consapevole attraverso “idee improvvise di cui non conosciamo l’origine. GRUMI SENSO-AFFETTIVI ancora indefiniti prenderebbero forma e troverebbero una via di accesso alla coscienza grazie alla ricettività dell’analista.
La drssa cita un lavoro molto interessante di Riolo e poi ci dice: La terapia può costituire il “completamento di un atto psichico PRECEDENTEMENTE INCOMPIUTO, favorendo lo sviluppo della SOGGETTIVAZIONE compito precipuo (“precipuo”è una parola difficile per chi parla spagnolo, si, importante l’ho cercato 100 volte nel dizionario, ma a me suona come qualcosa di più che importante, tipo caratteristico, particolare, mi sembra che non ci sia una parola esatta in spagnolo) del processo psicoanalitico.
Soggettivazione.(…..) E’ un termine che a me piace molto. Perché soggettivazione è un termine che fa pensare. Ci sono parole invece molto abusate come ad esempio mentalizzazione.
Soggettivazione invece è un termine che a me fa pensare . Fa pensare ad un movimento. Ci pone la domanda di come è andato il processo per cui si diventa soggetto, si diventa una persona. E trovo singolare che proprio l’adolescente ci riproponga la soggettivazione perché non stiamo parlando di un neonato. Ci troviamo dunque di fronte a una seconda soggettivazione? Trovo che questo sia già un fatto notevole. Se siamo a una seconda soggettivazione questa seconda soggettivazione ci dirà molto di come è andata la prima. E se parliamo di soggettivazione e del ruolo dell’analista nel soggettivare stiamo parlando, come dice proprio la drssa Ruggiero, di apparato psichico non compiuto. Quindi che noi siamo per così dire….. in progress.
Questo trova accordo completo negli sviluppi di Raymond Cahn, in un libro strepitoso sulla soggettivazione nell’adolescenza, citato diverse volte in questo lavoro, dove si afferma che il soggetto della psicoanalisi non appare armato di tutto punto di un proprio apparato psichico definitivo. Esso in realtà costituisce il risultato, l’effetto di un lungo processo di soggettivazione di cui l’adolescenza rappresenta un momento essenziale nella misura in cui riprende, elabora, modifica e crea nuove modalità di lavoro psichico.
Il processo di soggettivazione è quindi progressivo dalla nascita alla morte e sembra che l’adolescenza sia, come dire, particolarmente speciale per la soggettivazione. Particolarmente speciale perché occorrono, nell’adolescenza, tanti movimenti: le trasformazioni che partono dal corpo verso il maschile o il femminile, quindi l’insediamento del soma, le nuove forze istintuali o pulsionali sessuali e aggressive che hanno bisogno di integrarsi a quelle già presenti. A questo si aggiungono i problemi nel ripristinare o abbandonare vecchi legami e crearne nuovi con l’apertura all’ignoto, al mondo esterno per cercare una qualche soluzione. Se ne deduce allora che se la prima soggettivazione è andata bene l’adolescente è facilitato a percorrere la sua adolescenza, se invece la prima soggettivazione non è andata bene, son dolori.
E qui secondo me c’è il punto che a noi interessa maggiormente ovvero l’ indeterminatezza, come la drssa Ruggiero segnala. In questa indeterminatezza si gioca il processo di soggettivazione che è soprattutto un processo di differenziazione. Perché in questa differenziazione, che presuppone tanti slegamenti e nuovi legamenti ci sono movimenti in relazione al SuperIo, in relazione all’Ideale dell’Io e , senza dubbio, dice Cahn, la soggettivazione c’entra con l’Io.
Questo vuol dire dunque che dobbiamo ripensare l’Io?
Faccio una parentesi sulla soggettivazione, ma torno subito, e introduco una questione che ci serve, sul controtransfert.
Come segnala la drssa Ruggiero il controtransfert è un concetto controverso, molto, e distingue una concezione ristretta da una concezione allargata.
Se teniamo in considerazione la concezione allargata, quella dei pionieri degli anni ’50 Heimman e Racker che includono tutto: tutte le emozioni, le fantasie e gli atteggiamenti coscienti dell’analista verso il paziente; allora in questa concezione includerei anche le teorie che di solito ci accompagnano, prima, durante e dopo l’incontro con un paziente.
E, a proposito delle teorie che ci accompagnano e che circolano nella nostra mente, io devo confessare una immediata associazione che ho avuto quando ho letto GRUMI SENSO-AFFETTIVI.
Se devo essere sincera quando ho letto “grumi senso affettivi” mi è venuto in mente Bleger che in Simbiosis y Ambiguidad parla dell’oggetto agglutinato o meglio del nucleo agglutinato, perché non c’è distinzione di oggetti. Quindi prima della fase sp. Nucleo aglutinato che è un agglomerato che ha non solo elementi percettivi e di motilità ma anche percezioni corrispondenti a diversi organi di senso. Lo chiama, nucleo viscoso, sarebbe un resto della simbiosi. Contributi degli anni ‘60
E con Bleger anche Glover, che parla anche lui dell’io primitivo come di una formazione composita, di nuclei. Quindi anche Glover parla di una formazione ad agglomerato.
A questo punto mi pongo tre domande e ve le sottopongo
1) la seconda soggettivazione dell’adolescenza non ci pone forse ancora la questione dell’incompletezza dell’Io? Di un Io che fin dall’inizio non è affatto strutturato?
2) il controtransfert è un concetto che si sviluppa maggiormente fin dagli anni ’50. I contributi di Bleger degli anni 60. Si parla di soggettivazione. Non è che grazie al controtransfert abbiamo questa possibilità di esplorare la struttura psichica attraverso la relazione e quindi, come dice la Drssa Ruggiero, il controtransfert ci offre una modalità di “sonda” relativa alla struttura psichica, Io compreso?
3) infine se pensiamo a un io in via di sviluppo non è che ci rende più facile comprendere quello che, in parole semplici, è il germoglio adolescenziale? E con germoglio penso a quegli aspetti non malati ma ancora poco consapevoli, poco rappresentati, anche corporei che si stanno soggettivando un po’ da soli, e che l’adolescente tende a celare o nei migliori dei casi ci fa condividere ma solo per compiere un atto di riconoscimento. Al quale noi possiamo rispondere soltanto con una sorta di riconoscimento rispettoso?
Lasciamo aperte queste domande e passiamo alla seconda questione
2) CENTRALITA’ DEL CONTROTRANSFERT NELLA PSICOANALISI DELL’ADOLESCENZA.
Penso che il lavoro della Drssa Ruggiero voglia trasmettere una posizione sul controtransfert molto chiara.
Quando parla del controtransfert come ostacolo, e come risorsa, penso superi il conflitto che tanto fa parlare e prendere posizioni estreme tra controtransfert come macchia ceca, espressione di conflitti inconsci dell’analista che ostacolano e, dall’altra parte come prezioso indicatore di stati interni del paziente .
Come lo supera? Dove si colloca? Penso si collochi in una posizione diversa e molto chiara quando dice: “Il controtransfert è una formazione complessa dove concorrono paziente e analista”. E aggiunge, con molta tranquillità, non è il controtransfert a costituire a priori un ostacolo o una risorsa INFATTI, ma la qualità del lavoro di controtransfert che può risultare più o meno adeguata.
E quindi invita a lavorare nelle due dimensione
- Nella dimensione verticale cioè l’Analisi personale o autoanalisi dell’analista
- Nella dimensione orizzontale cioè quello che il paziente può avere trasferito all’analista il quale cercherà di dare un abbozzo di figurabilità
Questo punto di vista chiarisce con molta semplicità direi quando il controtransfert può essere un ostacolo o una risorsa.
QUANDO E’ UN OSTACOLO?
- Quando non è riconosciuto
- Quando non è capito o non gli si dà un senso
- Quando raggiunge una certa intensità, pervasività e persistenza
- Quando non è tollerato
QUANDO E’ RISORSA
- Quando l’analista o il terapeuta si lascia sorprendere da pensieri improvvisi
- Quando presta attenzione alle proprie emozioni soprattutto se dissonanti o inattese
- Quanto E’ attento anche alle immagini o meglio all’elaborazione immaginativa
- Quanto E’ attento agli agiti
- Quando il controtransfert è legato a modalità di holding enviroment.
Secondo me molti dei qui presenti sono interessati a quest’ultimo punto perché nel lavoro con adolescenti gravi o che hanno un compromesso corporeo importante, e con i quali fortunatamente lavoriamo in team, mai da soli, ci sono echi del controtransfert nel team e c’è anche spesso una elaborazione gruppale del controtransfert che ci sorregge nella funzione di psicoterapeuti. Mi ha colpito molto la funzione del collega psichiatra nella terapia del primo caso di cui racconta la drssa Ruggiero e che possiamo sicuramente riprendere nella discussione.
La posizione della drssa sul controtransfert si riscontra benissimo nei casi clinici descritti. Cito soltanto l’ultimo caso. (riferimento clinico)
A me sembra una posizione sul controtransfert molto agile nella quale, non so voi, ma io mi ci riconosco. Cioè riceviamo di prima mattina una telefonata di un genitore, rimane un certo turbamento, cos’è, sarà la pioggia, questo strano freddo di maggio che mi turba oppure c’è qualcosa che si insinua?
Quindi si resta in attesa di capire quelli che sembrano “pensieri spontanei”. Poi dopo, durante l’incontro con l’adolescente, sono travolta da sentimenti o invitata a prendere una posizione, ad assumere un ruolo. Perché vengo chiamata a schierarmi? Perché per esempio quando va via il paziente, nell’intervallo, non voglio interferenze perché devo lavorare su qualche cosa che sento imminente? Che fine ha fatto la neutralità? Come recupero una posizione utile?
C’è un tempismo, in questo modo di lavorare della drssa, un via vai molto realistico, molto diverso da certe altre descrizioni cliniche del controtransfert che a me sembrano troppo complesse, un po’ “cervellotiche”, dove l’analista secondo me “si perde” in lunghe elucubrazioni sue, mentre il paziente continua con le proprie libere associazioni. Se poi questo paziente è un adolescente, che spesso non associa, e allora… non lo ritroveremo di sicuro.
Infine ……….non posso concludere senza citarla……….Stefania Manfredi nelle Certezze perdute……. (anche lei parla molto della tolleranza del controtransfert ) a proposito di questo via vai del transfert-controtransfert segnala addirittura l’importanza di capire anche come il paziente ha in mente l’analista. Quindi una sorta di verifica, cioè se ciò che sente l’analista del paziente è corroborato da ciò che il paziente sente dell’analista.
Concludo definitivamente
Se dovessi dire, come i bambini, che cosa mi è piaciuto di più di questo lavoro, direi la tolleranza nei confronti delle emozioni, delle tante teorie, e perché no anche degli agglomerati senso affettivi che ci abitano.
Bibliografia
Bleger J. (1967). Simbiosis y Ambiguidad. Paidos
Glover E., (1970). La nascita dell’Io. Astrolabio, Roma.
Turillazzi Manfredi S. (1994). Le certezze perdute della psicoanalisi clinica. R. Cortina, Milano.