Testo della relazione di Marina Breccia presentata al convegno “Metodo psicoanalitico ed esame di realtà”.
Firenze, sabato 14 aprile 2018
Ringrazio Semi che ci ha portato questo interessante lavoro sull’ “esame di realtà” e la segretaria scientifica che mi ha invitato a partecipare al dibattito discutendo con voi questo, direi questi, argomenti, perché li trovo assai interessanti e centrali sotto più profili.
Di certo di metodo innanzitutto, ora più che mai rispetto ai casi difficili che troviamo in seduta, ma li trovo argomenti interessanti anche per approfondire la visione che può avere la psicoanalisi degli e sugli stessi fenomeni che la riguardano come gruppo sociale, Green ricordava che ogni analista non dovrebbe mai smettere di interrogare il suo transfert sulla psicoanalisi, ed infine li trovo interessanti immaginando che la psicoanalisi possa essere, se non si fa mettere da parte, un valido interlocutore per una lettura più ampia della società intesa nel senso più esteso del termine, in cui esame e principio di realtà possono e dovrebbero essere presidi insostituibili.
Per queste e molte altre ragioni farei un passo indietro, o avanti , a seconda dei punti di vista, e accennerei brevemente al concetto di realtà psichica, senza il quale temo il mio discorso manchi di un pilastro importante su cui reggersi.
E’ un termine che Freud usa spesso per indicare quella realtà, della psiche appunto, che nel soggetto ha una coerenza e una resistenza pari a quella materiale, e la usa in sostanza per indicare il desiderio inconscio e i suoi fantasmi. Dice Freud in Introduzione alla Psicoanalisi ,1916,524: “ Queste fantasie possiedono una realtà psichica in contrasto con quella materiale e noi giungiamo a poco a poco a capire che nel mondo della nevrosi la realtà psichica è quella determinante” e potremmo aggiungere: e figuriamoci nella psicosi! E poche pagine più in là sosterrà che non è poi così importante sul piano delle conseguenze che questi eventi dell’infanzia appartengano alla realtà materiale o a quella fantastica, coerentemente a quanto aveva scritto a Fliess molti anni prima :21 Settembre ‘97 :” non credo più ai miei neurotica”.
L’idea di realtà psichica è dunque legata all’ipotesi freudiana dei processi inconsci, i quali non solo non tengono troppo conto della realtà esterna, ma appunto la sostituiscono. E ancora ne L’Interpretazione dei sogni Freud si interroga se vada riconosciuta una realtà ai desideri inconsci e si risponde, 1900,564: “ che la realtà psichica è una particolare forma di esistenza che non deve essere confusa con la realtà materiale”. Come è facile notare Freud tende in effetti ad usare i termini di realtà psichica e materiale piuttosto che esterna ed interna, e, come è solito fare caratterizza bene il significato che ad essi vuole attribuire. Ciò non ci impedisce di confrontarli con altre terminologie affini o distanti purché ci impegniamo a nostra volta a caratterizzarne il significato secondo la teoria di appartenenza. Ad esempio Lacan è stato un grande definitore della realtà, possiamo vedere delle assonanze con Freud nel differenziare i due ambiti, ma l’approccio concettuale è assolutamente diverso, infatti Lacan distacca nettamente lo psichico dal materiale-concreto, segregando il termine di realtà solo a questo ultimo ambito ed escludendolo completamente dal mondo psichico appartenente all’immaginario e al simbolico. Se tuttavia andiamo a ben vedere anche all’interno della sua distinzione, la realtà concreta, esclusa, forclusa dal simbolico e dall’immaginario irrompe nello psichico nella psicosi. Mentre gli autori post freudiani hanno sostanzialmente continuato a sostenere il termine fantasmatico utilizzato da Freud,- il primo Freud, quello della prima topica e della prima teoria pulsionale- e il rimando è in primis al libro sul fantasma di Laplanche e Pontalis a tutti noto. Altri autori , pur non nominando e non esprimendo un preciso concetto di realtà psichica e materiale ne hanno fatto riferimento. Penso alla Klein che sottolinea ripetutamente la differenza tra esterno ed interno, ma la applica al termine oggetto e non a realtà, e usa con grande frequenza l’espressione fantasia inconscia , tanto che la Isaac suggerì due scritture: Fantasy, per i sogni ad occhi aperti e Phantasy, per gli elementi inconsci.
E ancora Winnicott, nella concettualizzazione del passaggio transizionale “ me – non me” più di ogni altro ci ha proposto una riflessione sull’inter-relazione fra queste due realtà di appartenenza e la loro complessità, in cui una figura materna è presente ma anche invisibile, disponibile e non intrusiva,
in grado di illudere e gradualmente disilludere sulla possibilità di creare la realtà esterna , come ci ricorda in Gioco e Realtà
Ma oltre al confronto con i vari pensieri teorici della psicoanalisi non possiamo scordare che sul tema della realtà si sono confrontati da sempre i Filosofi, a partire da Platone per cui, com’è noto, sono le idee ad avere lo status di realtà e verità, mentre le cose materiali e le sensazioni empiriche sono un’immagine fallace, al massimo una “copia” delle idee. Aristotele riformula invece interamente la questione della conoscenza e della natura, affermando che non vi è separazione fra idee e cose, ma differenti aspetti della realtà.E non possiamo dimenticare i Fisici, soprattutto i rappresentanti della Fisica odierna
Rovelli in La realtà non è come ci appare ( Raffaello Cortina 2014) ci ricorda nel suo disarmante e altrettanto efficace stile letterario che più potenti sono i nostri telescopi più vediamo cieli strani e inaspettati e se cerchiamo di mettere insieme quello che abbiamo imparato sul mondo fisico nel XX secolo emerge una struttura del mondo in cui non appare nè il tempo nè lo spazio, ma una realtà generata da un pullulare di eventi granulari legati da una dinamica probabilistica. La scienza diventa dunque un’esplorazione continua di forme di pensiero, in cui la forza sta nella possibilità di far crollare idee preconcette, svelare nuovi territori e più efficaci immagini del mondo. Rovelli insomma vede la scienza come un modo di leggere il mondo con un punto di vista via via più ampio, e questo modo in divenire è molto vicino alla visione freudiana della conoscenza dell’Io, ed è anche vicino all’attenzione della Aulagnier sulla non evidenza dello psichico.
Tutto questo non per ingarbugliare le cose con il rischio di allontanarci dal focus del tema posto da Semi, ma per sottolinearne la complessità e l’estensione che gradualmente esaminiamo, prima di affrontare una serie di quesiti da porci e da porre al nostro relatore.
La questione di fondo rimane comunque aperta perché questa realtà materiale o esterna o concreta come viene colta, registrata, ( la Aulagnier forse direbbe metabolizzata) dall’individuo ?
Essa esiste in sé, ma ciò che noi registriamo è solo una sintesi una rielaborazione che dalla nostra periferia somatica, biologica che si estende all’esterno con le propaggini della nostra sensorialità accede all’interno- , in un lapsus di scrittura che voglio conservare, per riprendere eventualmente nella discussione avevo scritto accade all’interno – o meglio potremmo dire accede alla nostra coscienza, solo con le propaggini della nostra percezione, e giustamente Semi parte nel suo lavoro da questa. E la percezione, che non è la pura e biologica sensorialità, è alla base dell’esperienza del mondo esterno, esperienza strutturante l’Io, che però ben sappiamo da Freud estendersi con le sue propaggini nell’inconscio, da cui pertanto viene inevitabilmente contaminato. Faccio un esempio: “ sono passato con il rosso e non l’ho visto”. La percezione tuttavia, come la libido, non si dirige solo all’esterno, Freud dedica molte pagine del caso Schreber, 1910, per parlare della percezione interna, che utilizza per spiegare la proiezione.
La percezione, che pure conferma l’Io nella sua peculiarità soggettiva, e soggettivante aggiungerei, per cui è anche importante che non venga smentita, può essere tuttavia la fonte, per tutte le premesse fino ad ora indicate, dei più grandi fraintendimenti sulla realtà, sia esterna o materiale, che psichica; se ad esempio il mondo fantasmatico non viene utilizzato, come suggeriscono Lapalnche e Pontalis come una messa in scena soggettivante, ma diventa un passaggio tout court al giudizio.
E dunque questo continuo bisogno di differenziare e differenziarsi dell’Io è ciò che lo fa accedere all’esame di realtà, non senza poca influenza dell’ambiente che lo circonda e delle proposte degli oggetti primari che fungono inevitabilmente da modelli sulle caratteristiche di questo accedere.
- Nell’ Interpetazione del sogni 1900 Freud si interroga su come sia possibile che una rappresentazione possa suscitare nel sogno e nell’allucinazione la credenza della sua realtà, concetto ripreso nel’17 nel Supplemento meta psicologico della teoria del sogno .
- Ricordiamo che l’espressione esame di realtà compare solo nel 1911 in Precisazioni sui due principi della’accadere psichico
- L’esame di realtà diventa un dispositivo psichico che consente di operare una discriminazione tra eccitamenti esterni , su cui ha presa l’azione motoria, ed eccitamenti interni attraverso il controllo cosciente della motilità.
- L’esame di realtà verrebbe meno allora nel sogno e nell’allucinazione, ma forse la cosa può diventare più complessa se viene introdotto il concetto di credenza su cui ritorneò.
Anche soffermandoci solo su questi punti qualche cosa comunque traballa, perché come fa la coscienza a dirimere con precisione, visto che gli elementi inconsci comunque la influenzano? Intendo dire che è facile accettare che la coscienza possa stabilire se il mal di pancia l’ho io o lui, più difficile è che mi possa dire se l’ha generato un clostridio o un conflitto interno. E in fatti non a caso Freud in questi passi parla di discriminare tra stimoli eccitatori e non di più, tuttavia questo dentro-fuori è meno evidente di ciò che appare a meno che non vogliamo confondere percezione con sensorialità.
- Più avanti nel ’38 ne il Compendio parlerà dell’esame di realtà come di un dispositivo molto particolare che può essere utilizzato solo dopo che i processi interni siano in grado di informare la coscienza in modo diverso a seconda delle variazioni quantitative di piacere e dispiacere, perché, Freud ricorda, che anche le tracce mnestiche come le percezioni possono diventare coscienti, l’esempio del sole tolemaico portato da Semi, e conclude:” da ciò l’Io si difende instaurando […] l’esame di realtà”(’38,589)
Fino a qui l’esame di realtà sarebbe utile solo a distinguere tra percezione e allucinazione dicono Laplanche e Pontalis, cioè potremmo dire tra il binomio percezione interna- esterna e l’abolizione della prima con le conseguenze del non riconoscimento dell’origine della percezione stessa.
Insomma come uscire da questa aporia. Laplanche e Pontalis fanno alcune proposte:
- la prima consiste nel tentativo di schematizzare con Freud una serie di passaggi da un Io-Piacere ad un Io- realtà, partendo da stadi primordiali in cui percezione e realtà coincidono, attraversando stati di non-Io corrispondenti a tutto ciò che viene registrato di non piacevole, per arrivare appunto infine ad un ‘Io reale che è capace di distinguere ciò che è rappresentato da ciò che è percepito.
- L’altra cerca di mettere insieme ed integrare due livelli:
- la differenza interno-esterno
- la graduale rettifica tra il percepito come oggettivo e il rappresentato in modo da poter evidenziare le deformazioni.
Un altro aspetto che rimane aperto è la relazione con il principio di realtà, che , da un punto di vista economico consente la trasformazione dell’energia libera in energia legata.
Sperando di non aver reso il tutto ancora più complicato di quanto già non sia, voglio sottolineare che tutto ciò ha il senso, che ritengo centrale, di salvare e conservare un concetto che si considerare indispensabile per il procedere analitico e che sia quindi da intendersi in una visione prospettica oltre che retrospettiva.
Per questa sola ragione mi sento di aggiungere queste mie considerazioni:
- considero l’esame di realtà in psicoanalisi, come un processo, una tendenza, un lavoro, che come ogni lavoro analitico è interminabile, in cui la percezione, sempre che possa essere viva nel suo binomio, venga costantemente piegata dall’Io ad una verifica sulla rappresentazione, si sottoponga , potremmo dire, ad una sorta di aspirazione scientifica per l’esposizione alla smentita.. “saranno i posteri a dire….” , dice spesso Freud , e così facendo crea forze di legame, ciò una quota libidica sempre a disposizione di un investimento sull’oggetto.
- considero anche che sia compito della psicoanalisi non tanto distinguere tra reale e irreale, come se potessimo veramente disporre di metodi oggettivanti, ma direbbe Andrè Gorz, esistenzialista francese, rendere irreale il reale
- Ulteriore considerazione a proposito della credenza: Penso al bellissimo scritto di Assoun su L’Entendement freudien nel capitolo Logos e Ananké, 1984, dove ci fa capire quanto l’Ananke , la credenza, si opponga, contrasti e impedisca il Logos, che potremmo avvicinare, come lui stesso fa al processo secondario. Ma ricorda anche quanto il Logos, separato dalla sua primitiva origine nella credenza, allontani da ogni possibilità di legame con l’oggetto e con la realtà esterna se non sa attingere ad una quota di Ananke che lo bilanci, o che forse lo nutra. Sembra tracciare i presupposti e le basi per l’idea di terzietà lanciata nel pensiero di Green e di autori come Ogden, anche se da quest’ultimo con altre derive.
- L’esame di realtà, visto come un processo in contatto con le rappresentazioni inconsce e con i funzionamenti primari è tale, cioè processo, perché inevitabilmente partecipa di quel rovesciamento nel transfert indicato da Green per cui l’agire si organizza a favore di un movimento regrediente che però, voglio sottolineare, non indirizza al sogno ma all’iscrizione della memoria e alle sue ricomposizioni. E il transfert non può che essere partecipato nel setting che ha il potere di sollecitare la maggiore spinta possibile per la trasformare dell’apparato psichico in apparato del linguaggio.
E dunque alcune domande:
- a che cosa può servire il concetto di esame di realtà oggi, quali nuove prospettive può aiutarci a tracciare
- come si può inserire in una complementarietà teorica anche soltanto all’interno delle diverse parti del pensiero freudiano: percezione/ rappresentazione, parola agita/ parola associativa, transfert cosi detto negativo / controtransfert , transfert laterali / controtransfert e interpretazione, e mi fermerei qui riguardo a Freud
- Ma anche come si può inserire e articolare nel setting, che è alla base di ogni processo trasformativo e che è spesso tempestato dagli agiti o dalle ripetizioni. Io non sottovaluterei il concetto di trauma e le sue implicanze nell’approccio teorico-clinico, proprio perché il concetto di trauma fa lavorare l’elemento della ripetizione. Non penso pertanto al trauma in un approccio teorico compassionevole, ma che cerchi delle possibilità concettuali trasformative .
- L’esame di realtà possiamo considerarlo allora come una scommessa, sempre ambita ma anche sempre perdibile, quasi fino all’ultimo giorno di analisi del nostro lavoro. Penso ad una tendenza del lavoro analitico, poco realizzabile in maniera definitiva, anche se non illusoria,una tendenza per condurre i pazienti all’esperienza di un lutto dell’idealità che è anche, per i pazienti più difficili, una possibilità di riattraversamento dell’esperienza narcisistica primaria molto compromessa, e per condurli quindi anche ad una divenuta possibile esperienza di separazione che introduce ad una possibilità edipica.
- In una parola : Chi e come è Dino – Dono?