Buio in sala 2012
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Carnage, proiezione del 20 Ottobre

Siena-20 Ottobre 2012

Carnage

di R. Polanski

(Francia, Germania, Polonia, Spagna, 2011, 79’)

 

Dalla celebre “pièce” teatrale di Yasmine Reza “ Il dio della carneficina” sono tratti 80 minuti mozzafiato di questo film di Polanski: due coppie di genitori, Longsreet e Cowan, s’incontrano per risolvere “civilmente” l’incidente accaduto ai due figli preadolescenti; uno dei due, in una lite ha ferito al volto l’altro, in uno scontro al parco. Dentro le mura di un appartamento scaturiscono sarcastiche le idiosincrasie dei quattro protagonisti scatenando una vera e propria carneficina dialettica all’insegna della “impossibile e mancata comunicazione interpersonale.

 

Interviene: Folco Di Volo

Folco Di Volo è Psichiatra e Neuropsichiatra Infantile, Psicoanalista SPI/IPA

Commento di Folco Di Volo a “Carnage” di R. Polanski

Finita la proiezione, ci si potrebbe chiedere: ma in fondo, di cosa parla questo film? E le risposte potrebbero essere tante …, non mancano certo tematiche psicologiche e sociali, ad es. le moda-lità della comunicazione, l’ossessione per i cellulari… ricordate Alan . . . ” oh, no, ho tutto là dentro, tutta la mia vita è là den-tro”, i problemi di coppia, “bisogna rinchiuderti bella mia, roba da non crederci . . . ” , la relazione genitori-figli, “Nancy, ci sono dei torti da entrambe le parti… Penelope. . . non ci sono torti da entrambe le parti! …non si confondono vittime e carnefici”, la preadolescenza e le bande giovanili, il Darfur e le guerre che annichiliscono l’Africa, l’economia egemone e il cinismo delle case farmaceutiche… A mio avviso non è un film che racconta. . . che parla… (anche se i dialoghi sono stridenti, stringati e strettissimi tra i protagonisti), è una pellicola che immerge lo spettatore tra-mite il magnifico quartetto di attori, un poker davvero fantastico, e tramite un’ ironia graffiante, sottile e beffarda, nella “palude primitiva delle nostre reazioni inconsce”. Dialogando tra loro, Alan, Nancy, Michael e Penelope, ci consentono di sperimentare le loro nevrosi, scissioni, proiezioni, ci fanno “vivere” qualcosa di molto intenso, gradevole/sgradevole, giusto/ingiusto, lo sentiamo come qualcosa di nostro. . . e poi qualcosa di estraneo. . . è nel-la capacità di suscitare le nostre emozioni la grandezza del film, nella possibilità che ci consente, bello o brutto che sia, di tolle-rarle come “spettatori partecipi” rappresentate sullo schermo… e poi come cinicamente osserva O. Wilde: ”… il miglior modo per resistere alla tentazione consiste semplicemente nel cederle… ”.

 

2 Film come sonda

Tutti siamo a conoscenza della stretta correlazione tra il cinema e la psicoanalisi, in particolare tra la teoria Freudiana della rap-presentazione onirica e il linguaggio cinematografico (interessante notare come nascano a pochi anni di distanza l’uno dall’altra), i fratelli Lumière proiettano le prime immagini nel 1895, Freud scrive l’interpretazione dei sogni nel 1899. M. Mc Luhan (1964) propone in generale di considerare la tecnologia come un esten-sione del corpo umano; ad es. il telefono permette di estendere la voce a distanze enormi, la televisione permette di osservare elementi molto lontani dal nostro luogo di appartenenza, il mi-croscopio di addentrarci nell’infinitamente piccolo, il telescopio di curiosare nell’infinito universo … I media in generale amplificano i nostri sensi; allora potremmo pensare che il cinema possa ve-nire concepito una tecnologia che ci permette di amplificare e di conoscere il nostro mondo interno. Un film è costruito attraver-so un montaggio, è fatto di immagini in movimento, è prodotto per suscitare elementi evocativi, spesso si prefigge lo scopo di informare e stimolare riflessioni sugli eventi della vita; possiamo proporre come accostamento tra cinema e psicoanalisi, la possi-bilità di considerarlo come una “sonda”, nel senso Bioniano del termine, qualcosa che esplora universi ignoti ed inconsci, alla ri-cerca di senso (Bion 1970). Con il termine “sonda” Bion esprime la propria visione della psicoanalisi in quanto strumento di inda-gine: una sonda esplora, così come la psicoanalisi, l’ignoto, non uno spazio che raccoglie ciò che è già conosciuto. La sonda è uno strumento lanciato nello spazio per esplorare luoghi scono-sciuti, è uno strumento atto anche ad esplorare l’interno della terra, la psicoanalisi una sonda lanciata nell’interno della men-te per esplorare luoghi ignoti ed inconsci; la particolarità però è che la sonda psicoanalitica non è neutra, non esplora e basta, si trasforma e trasforma continuamente ciò che vede e tocca, essa trasforma il proprio oggetto mentre lo esplora, si arricchisce sem-pre di nuovi elementi. La psicoanalisi sarebbe quindi una sorta di sonda intelligente che si modifica a contatto con gli oggetti che esplora; il cinema, di fatto, può considerarsi una particolare son-da che entra nella mente dell’individuo rievocando ricordi, sogni, fantasie, emozioni, legami, desideri, riproponendo l’immaginario, individuale o collettivo, e la rappresentazione visiva della mente pensante.

 

3 Film come sogno

Il secondo punto di vista, non molto dissimile dal primo in verità, è quello che vede il film come un sogno. Secondo Musatti il cine-ma parla direttamente all’inconscio di ognuno di noi, quest’ulti-mo può risuonare emotivamente nella relazione con le immagini e le parole filmiche, grazie alla somiglianza che esse presentano con le fantasie inconsce. Tutto questo è favorito dal fatto che la situazione dello spettatore si può definire “oniroide”: du-rante il film lo spettatore sperimenta una condizione onirica che si amplifica nel sogno. Cinema e sogno trasportano l’individuo in una situazione diversa da quella della vita reale. Per entrambi è necessaria una sospensione della attività vigile (la sala oscura, una certa immobilità dello spettatore che presta attenzione alla visione, ricordano la condizione del sognatore); afferma Musatti: “sogno e cinema ci trasportano altrove, sogno e cinema costitui-scono spesso una sorta di evasione dalla realtà”. Inoltre i film, come i sogni, consentono di soddisfare desideri latenti, grazie al-l’allentamento della vigilanza sul mondo esterno. Anche i film, come i sogni, a volte si dimenticano facilmente, ne scordiamo par-ticolari importanti; spesso restano dei sedimenti nella memoria, così a volte costituiscono il nostro bagaglio culturale. Infine, la condizione che più avvicina il film al sogno è quella di una tem-poranea assenza di movimento; la situazione filmica porta in sé certi elementi di inibizione motoria, ed è, sotto questo aspetto, un piccolo sonno, sogno, un sonno-sogno da svegli. Lo spettato-re è relativamente immobile, immerso in una certa oscurità, in atteggiamento di ascolto sensoriale ed emotivo, insomma in uno stato “filmico”, “oniroide”. Il cinema,in quanto strumento artisti-co, in mano ai grandi autori, e il film di questa sera è uno di quelli, ha il potere di rappresentare, tramite il suo linguaggio e la sua particolare situazione, ciò che di più profondo si muove nell’animo dell’uomo e della società. L’ordine iconico è d’altron-de un espressione dei livelli più arcaici della struttura psichica: è proprio tramite la comunicazione visiva che il bambino entra in contatto col mondo ed inizia a sviluppare le proprie funzioni psichiche cognitivo-affettive. L’iconico è quindi una tappa ver-so la simbolizzazione, un primo livello di gestione delle emozioni che altrimenti resterebbero intrappolate nell’inconscio e che inve-ce, tramite le immagini, si possono immettere in una dimensione evolutiva acquisendo senso sul piano relazionale. Il cinema di qualità evoca ed attiva nello spettatore affetti e sentimenti che sotto una stimolazione così efficace e profonda possono accedere a livelli di maggiore consapevolezza. Il cinema, come ricorda Anna Ferruta, lottando contro tali forme di negazione, ci spinge, tra-mite le immagini, a prendere contatto emotivo con la realtà. Le inquadrature, grazie anche alla loro qualità estetica (Hautmann), divengono capaci di esplicitare funzione di pensabilità. Per molti, la qualità estetica legata alla capacità dell’autore di maneggiare abilmente uno strumento artistico-comunicativo così potente, è assimilabile alla pittura e alla scultura dei secoli passati. Allora, più che interpretare… lasciamoci attraversare dai tanti messag-gi del nostro film, abbandoniamoci alle nostre emozioni . . . un seme insaturo di conoscenza.

 

4 Trama-quadrato impossibile: individuo,società,ipocrisia,civiltà

Arriva dal teatro questo film di Polanski presentato a Venezia nel Settembre 2011; riprende il testo di Yasmine Reza (autrice iraniana naturalizzata francese) vincitrice per la terza volta del premio Moliére in Francia. Quest’atto unico, definito da al-cuni “operetta morale”, da altri “psicodramma”, da altri ancora qualcosa a metà tra commedia e tragedia,dal 2006 ad oggi è sta-to rappresentato a teatro a Parigi, Londra, Berlino, Broadway, con grande successo di critica e di pubblico. Il titolo dell’ope-ra “Il dio del massacro” tradotto da Adelphi in Italia nel 2011, anticipa già l’argomento di questi 80 minuti “mozzafiato” portati su pellicola dal grande regista polacco. Non ha vinto Il Leone d’Oro, bensì Il Leoncino d’Oro Agiscuola (una giuria composta da 21 ragazzi) ed il premio Boston Society of Crtics 2011 per il miglior cast, oltre ad un eccellente accoglienza nelle sale cine-matografiche. Sebbene ambientato a New York, le riprese sono state effettuate negli studi di Parigi, poiché Polanski non può accedere negli USA a causa di una pendenza legale risalente agli anni settanta, per cui è stato emesso mandato di cattura. Il film resta fedele all’impostazione teatrale: girato all’interno di una stanza, (un salotto buono che non si rileverà poi “così tanto buono”) dialoghi stringenti tra i protagonisti, in un clima di tipo claustrofilico. Che sia il cinema o il teatro, l’obiettivo è sempre la verità. E di brucianti verità “Carnage” ne emana a profusione (l’incomunicabilità, la concezione vitalistica, la violenza, il lato oscuro dentro ognuno di noi . . . .) Solo due sequenze in esterni, prologo ed epilogo, ( la lite e la riconciliazione tra i due figli) quasi in silenzio; la colonna sonora sui titoli di coda caratterizza-ta da alcune note, qualche accordo di bolero appena accennate, appartenenti alla speciale ed ambigua cifra di Polanski, carichi, nelle immagini, di densità e significato. Più di una volta si esce di casa, ma poi inevitabilmente si rientra; nelle uscite si acce-de al pianerottolo dove si affaccia un inquilino (lo stesso regista) disturbato dal fracasso nell’appartamento accanto, curioso ed in-quietante (lì davvero, progressivamente nel tempo va in scena “la carneficina dialettica” tra le due coppie, fortissima, divertente ed esasperante che si svolge in escalation come il vero Bolero musi-cale di Ravel). Le coppie, i coniugi Cowan ospiti (Alan avvocato di una ditta farmaceutica, Nancy operatrice finanziaria) e i co-niugi Longstreet padroni di casa (Penelope scrittrice impegnata appassionata d’arte, Michael rappresentante di casalinghi) chiuse per tutto il tempo nell’appartamento, cercano di venire a capo di una lite che ha coinvolto i loro figli adolescenti (mai presenti nel film). Durante quella lite al parco, Zachary Cowan ragazzino di 11 anni, (interpretato dal figlio del regista Elvis Polanski) colpi-sce al volto con un bastone un coetaneo, Ethan Longstreet, che rimedia la rottura di due incisivi. Le battute sono ora brillanti, ora sarcastiche, ora sentite con equilibri che si ridefiniscono conti-nuamente; Polanski scompone il “quadrilatero impossibile” anche a livello stilistico: porte, finestre, quadri, art book,sedie, pol-trone, tavolini e vasi (giganteggia all’inizio e alla fine quello col mazzo di tulipani gialli) sono rettangoli moltiplicati all’infinito per una comica/drammatica frammentazione dell’uomo contem-poraneo in cui affiorano utopie, manie, ipocrisie, esagerazioni, per molta critica cinematografica, “Il tramonto dell’”American Dream”. I Cowan, soprattutto il marito, appaiono molto presi dal proprio lavoro, stressati e privi di quell’interesse protettivo verso il figlio che invece è ampiamente dimostrato dai Long-street. Inizialmente sorrisi, convenevoli,il caffè, il bel mazzo di tulipani sul tavolo… “tutto si prefigge di essere elegante e di no-bili sentimenti”. La visita, come accennato, sembra concludersi diverse volte, ma nel momento del commiato avviene sempre uno scambio di parole, dai toni sempre più accesi, che li conduce a rientrare e a riprendere la discussione dopo essersi apparentemente calmati ( in realtà, in pratica, la cronaca di una sorta di incontro di box a quattro prima dialettico, infine anche fisico, le cui riprese sono scandite dal suono del cellulare di Alan). La più sofferente è Penelope, vorrebbe essere diversa, è sposata ad un uomo civile, con una vita perfetta, convinta del proprio impegno sociale, crede nel potere della “civiltà”… in un inaspettato mo-mento di incontro tra Penelope e Nancy. . .

 

N. Lei è un’appassionata di pittura vedo . . .

P. Di pittura. Di fotografia. E’ un po’ il mio mestiere.

N. Anch’io adoro Bacon

P. Ah sì, Bacon.

N. Crudeltà, splendore . . .

P. Caos, equilibrio. . .

N. Sì . . .

P. Zachary s’interessa d’arte?

N. Non quanto dovrebbe . . . Ethan sì ?

P. Tentiamo. Tentiamo di compensare le carenze dell’insegna-mento scolastico in queste materie

N. Già . . .

P. Tento di farlo leggere, di portarlo ai concerti, alle mostre. For-se sbagliamo, ma crediamo al potere pacificante della cultura

N. Ha ragione.

 

Purtroppo Penelope è sposata a Michael, ed il suo uomo, appa-rentemente bonaccione, e’ rozzo, nottetempo è stato capace di gettare il criceto della figlia fuori di casa nelle vie di New York condannandolo a morte certa. Penelope se ne vergogna; la vita non è stata buona con lei, ha tentato in tutti i modi di elevarsi (middle class versus upper class) con un controllo spasmodico e perfezionista di tutto: le letture, l’arte, la scrittura, i rapporti, l’educazione del figlio: non riesce a digerire il danno subito dal ragazzo, l’imperfezione irrimediabile dei denti danneggiati, il pro-prio dolore psicologico per la disperata forza di volontà di portarsi al di sopra della vita triste e insoddisfacente nella quale è immer-sa. Non accetta compromessi,vuole che la colpa, la responsabi-lità, l’errore che è piombato nella sua vita spariscano, o almeno vengano sanati da una perfetta forma di richiesta di perdono e di accettazione della colpa. Non consente a nessuno di andare via, di sdrammatizzare, di adattarsi alla vita così come essa scorre al di fuori delle nostre preferenze e desideri. La sua controparte è il padre dell’aggressore del figlio, Alan, l’avvocato cinico e ricco, sempre al cellulare… e che incalza: “ Penelope,davvero pensa che ci si interessi ad altro che a sé stessi? Vorremmo tutti credere ad un possibile cambiamento di cui saremmo gli artefici… ma le pare possibile? ” Alan tende a non essere coinvolto, a sdrammatizzare, a razionalizzare, scherzare, e di nuovo: “ La morale ci prescrive di dominare i nostri impulsi, ma qualche volta è giusto non dominarli. Uno non ha mica voglia di scopare cantando l’ Agnus Dei . . . ” Non sopporta la tendenza di lei a drammatizzare e divenire fondamentalista, e che forse disprezza suo figlio, le pro-prie capacità educative, insieme a tutte le posizioni morali rigide ed esagerate. Per Alan nella vita è importante funzionare, vin-cere, non “credere”…e ancora con sarcasmo e cinismo esclama:”

 

Penelope io credo nel dio del massacro. E’ il solo che ci governa, in modo assoluto dalla notte dei tempi . . . in principio il diritto è la forza . . . il diritto scaturisce dalla forza . . . si dà il caso che sia appena tornato dal Congo, laggiù ci sono bambini addestrati ad uccidere ad otto anni… capisce quando mio figlio spacca un dente ai giardinetti, sono meno disposto all’indignazione…” E’ un perfetto esempio di incomunicabilità e di distanza; i due per-sonaggi sono così impossibili a capirsi, a comprendersi che alla fine trascinano con sé tutto e tutti… come in una reale “carne-ficina” morale, relazionale ed emotiva. I tentativi di mediazione di Michael, dopo che Nancy, essendo molto nervosa, vomita in salotto, danneggiando uno dei libri d’arte preferiti da Penelope, risultano vani. La discussione continua a degenerare e si spoglia di tutti i toni civili e buonisti; le coppie esacerbate dall’alcool si dividono in un carosello in cui tutti sono contro tutti, poi sem-brano crearsi alleanze tra i sessi (i maschi uniti dal rum e dai sigari, le femmine nel loro solitario sforzo pedagogico), ed anco-ra successivamente riprendono e si assalgono a vicenda… la lite dei ragazzi è lontana . . . Cade il grande vaso di tulipani, cade a terra Nancy con la sua sciarpa di seta piangente . . . la pano-ramica del salotto pulito ed ordinato delle prime inquadrature adesso diviene squassata,stravolta . . . finché le coppie restano in silenzio dopo che Nancy, imitando Penelope, dichiara: “ Que-sto è il giorno più infelice della mia vita”. Il salotto borghese, come ci ricorda Rossella Valdrè, diviene la metafora moderna, dell’intimità e del conflitto coniugale e sociale in Occidente. Sul piano psicoanalitico, sempre Valdrè, abbiamo molte voci su que-sto. La “follia privata” di Green, che come un cemento tenace tiene assieme la coppia o, per dirla con Kernberg, “l’equilibrio inconscio “ con cui tramite la forza dell’identificazione proietti-va “ ciascuno dei partner diviene il necessario complemento alla reazione patogena dominante dell’altro”. Nello scenario della ri-petizione, della proiezione, delle ipocrisie, destinate a cadere e poi a riformarsi di nuovo, la vita prosegue grazie alla vitalità dei conflitti che tiene assieme menti e persone coi loro mali, col male che si fanno e con i sentimenti che, nonostante tutto, continuano ad unire. Significativa la dichiarazione dello stesso Polanski: “. . . esiste un continuum dimensionale, dove l’energia fluisce e defluisce, in modo circolare, provando sempre nuove esperienze; non credo in un Dio personale, credo che siamo energia e basta che si sperimenta senza disperdersi; noi siamo l’energia che crea il paradiso e l’inferno, qualcosa forse di inspiegabile ma che c’è

 

. . . ” Quindi un film sulla natura dell’uomo, dove il Male, il Dio del massacro, L’Energia, sembra sempre pronto a ripresentificarsi “sulle rive del fiume dove si gettano i cadaveri”. . . . Un film sulla capacità di trasformazione della natura dell’uomo, un film fatto onestamente, con maestria, e con maestria portato al grado di verità assoluta; e la verità è sempre, ahimè, sgradevolmente spie-tata. Freud nell’ “Interpretazione della psicoanalisi” (1915-1917): “„. nel corso dei tempi l’umanità ha dovuto sopportare 2 grandi mortificazioni che la scienza ha recato al suo ingenuo amore di sé …

-la prima, quando apprese che la terra non è al centro dell’u-niverso..ma minuscola particella nel sistema cosmico..preceduta dalla scienza alessandrina e poi indissolubilmente legata al nome di Copernico…

-la seconda, generata dalla ricerca biologica, ha annientato la pretesa posizione di privilegio dell’uomo nella creazione, dimo strando la sua provenienza dal regno animale . . .

-la terza e più scottante mortificazione, l’uomo è destinato a su-birla dall’odierna indagine psicologica . . . in essa si dimostra all’Io che “non solo non è padrone in casa propria, ma che può solo fare assegnamento su scarse notizie riguardo a ciò che avviene inconsciamente nella propria psiche . . . ”

 

 

5 Epilogo

Alla fine basta un conato di bile, un cellulare annegato,un li-bro imbrattato, una borsetta rovesciata a disperdere equilibrio e democrazia. Città immaginaria e ferocemente reale, New York salda i conti con l’American Dream, un sogno che non c’è più e forse è solo la più grande menzogna mai tramandata. E’ con il parco sotto il ponte di Brooklin che apre e chiude questo psico-dramma, questa incalzante seduta psicoanalitica di gruppo ricca di un gioco interminabile di proiezioni, identificazioni, dinieghi, e dove, alla fine del massacro, i figli di entrambe le coppie di genitori, sono ormai divenuti “ due stronzetti “. In barba al pol-tically correct, dispositivo di copertura di pulsioni etero ed auto distruttive, il finale molto dice della acutezza psicologica di Po-lanski nell’analisi del mondo dei bambini rispetto a quello degli adulti; forse didattico, con una scena speculare alla prima, ep-pure così diversa, sdrammatizzante, a mio avviso, saggia. Da sempre, molto meglio i bambini, nel prologo senza mezze misure, diretti, arrabbiati, ma di una rabbia sincera. . . nell’epilogo, sem-pre in lontananza, i titoli di coda scorrono su una scena di nuovo e finalmente all’aria aperta. In campo lungo, ai giardinetti del misfatto, vediamo “ i due stronzetti “, gli stessi ragazzini, torna-re a giocare tra loro come se niente fosse accaduto… com’è bello correre liberi, lontano dalle famiglie perbene. . . Se la sono cavata tra di loro, aldilà delle contorsioni dialettiche e pedagogiche dei padri e delle madri; non hanno bisogno poi di tanta protezione, hanno trovato modo di far pace, nel modo paziente e naturale della vita e non nel modo rabbioso e dolente degli adulti. Ultima inquadratura della macchina da presa puntata sul povero criceto; la madre Penelope, al telefono, rassicura la figlia: ”Sì tesoro…no tesoro, no, non lo abbiamo trovato, sì sono andata fino al super-mercato… pensi fosse felice in una gabbia?…Papà è triste non voleva farti dispiacere, mangerà… mangerà foglie… ghiande . . . castagne . . . qualcosa troverà… ”. Ecco che allora il peso dello sguardo di un criceto, con gli occhioni spalancati e il musetto fre-mente, diventa emblematico e riporta al grado zero tutto il caos assurdo della carneficina. Darwinianamente sopravvissuto dopo la cacciata di casa, vivo, anche lui assapora la propria libertà, mentre i quattro adulti “civili “, “credenti nel potere pacificante della cultura”, hanno appena raggiunto l’apice della loro inau-tenticità esistenziale e della loro miseria nevrotica. Il criceto, nella sua animalesca innocenza forse si chiede e ci chiede, solo con lo sguardo, come dicevamo all’inizio, e come forse adesso do-po la proiezione continuiamo a chiederci… ma il senso di tutto questo?… Perdonate… Ma mi torna a mente il solito pungente cinismo di Wilde . . . ”I bambini adorano i loro genitori, più tardi li giudicano, raramente li perdonano”.

 

 

6 Appendice: Therapy

Ma la graffiante e satiresca ironia di Polanski va oltre il salotto Newyorkese del nostro film di questa sera, va ben oltre e ce n’è per tutti . . . anche per la psicoanalisi . . . in un certo senso “ da salotto “…, non certo la reale ora analitica quotidiana irta di difficoltà biunivoche… comunque un quadretto davvero raffinato e sì . . . ”graffiante “. Riporto testualmente da Natalia Aspesi (Re-pubblica Giugno 2012), il commento circa “ Bella e ricca dallo psicoanalista”. Una bella signora, bocca rosso fiamma, occhiali neri, folta capigliatura nera, entra nello studio dello psicoanalista come una ventata di furibonda ricchezza ed eleganza. Si stende sul lettino, camicia color malva, doppio filo di perle, sbatte lonta-no le scarpine a tacco alto e comincia ad elencare le sue disgrazie di donna ricca e vana e poi quel sogno angosciante dove . . . ”sono sola in un’immensa arena vuota”. Lo psicoanalista, calvo e bar-buto, nel suo lussuoso studio sulla cui finestra si intravede New York , si annoia e si perde a guardare la pelliccia di visone malva col colletto di volpe argentata che la viziata signora ha appena tolto: soggiogato, la accarezza, la annusa, se la stringe addosso, felice come fosse una gran dama. Un vero film, una vera storia in 4 minuti, un corto fulminante di massima classe ed ironia; l’ha gi-rato Polanski che lo ha presentato a Cannes questa estate, prima della proiezione di gala della copia restaurata del suo “ Tess” … girato nel 1976, protagonista Natalia Kinski. Intitolato “ Thera-py ”, realizzato nello stesso palazzo di “ Carnage “, sulla scrivania dello psicoanalista c’è tra gli oggetti d’arte anche il criceto del-la nostra pellicola di questa sera. Il corto suggella l’amicizia tra Miuccia Prada ed il regista che spesso a Parigi segue le sue sfilate di moda e mostre d’arte. Riferisce la nostra giornalista: ”… la signora Prada ieri sera non era presente a Cannes, si trovava ad Hong Kong per festeggiare l’inserimento del marchio nella borsa internazionale”; da Hong Kong precisa al telefono:”…Therapy” è un vero film corto che andrà su Internet e nei cinema e certa-mente non sarà il solo . . . la pelliccia è stata confezionata dalla maison Prada appositamente e il marchio lo si vede per un na-nosecondo all’interno di una scarpa gettata a terra”… Titolo del corto: ”La terapia secondo Prada”.

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