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André J. (2011). Il Sessuale come trasformatore psicologico: l’Après-coup.

Relazioni presentate al seminario di Formazione Psicoanalitica – “Il Sessuale come trasformatore psicologico: l’Après-coup” di Jacques André

Accademia “La Colombaria” – Sabato 1° ottobre 2011

 

Jacques André

Qualche osservazione preliminare…

L’après-coup è una nozione complessa e fragile poiché riunisce due dimensioni eterogenee la cui l’associazione non è semplice:

-Nel suo aspetto più familiare, l’Après-coup dona un senso, una significazione, una simbolizzazione che interviene dopo (après)… che l’evento si è prodotto, in un secondo tempo.

-Ma l’originalità della nozione è di tenere insieme questa apertura di senso con un momento traumatico, un colpo (coup).

L’A-p è la riunione paradossale di un trauma (che suppone un’effrazione delle frontiere dell’io) e del significato che ne deriva o che lo trasforma. Ne risulta spesso una perdita di vigore della nozione, e quando una delle due dimensioni sparisce, è sempre il trauma che è trascurato. Non rimane che una significazione tardiva, differita rispetto al tempo dell’evento. Non c’è bisogno della psicoanalisi per pensare che questo spostamento dell’evento e del significato, questa dimensione costituisce l’ordinario della riflessione dello storico. Il successo della traduzione della parola di Freud, nachtraglich, Nachtraglichkeit, nel francese “Après coup”, si deve al fatto che ci si riferisce piuttosto che alla parola “dopo” soprattutto alla parola “colpo”, che sottolinea specificatamente la dimensione di violenza traumatica. La nozione di trauma è pre-psicoanalitica, il contributo originale di Freud a questa teoria del trauma è precisamente di definire il trauma psichico come un trauma in due tempi, quello che la parola “ après coup” significa. Ci vogliono due colpi, due traumi, per fare un trauma psichico.

La nozione di Après -coup è di grande importanza pratica. Il cambiamento psichico cercato nella cura implica una riscrittura della storia, o una prima costruzione di questa nella configurazione borderline. Impossibile poter contare sulla sola rimemorazione, sulla sola perlaborazione perchè un nuovo recupero di senso possa apparire. I colpi sono necessari, cioè i momenti traumatici. In quale maniera la cura può produrre dei colpi, fare avvenire degli eventi che abbiano un certo valore traumatico e fecondo? La risposta a questa domanda non è separabile dalle configurazioni cliniche individuali. Nel quadro generale delle psiconevrosi, delle nevrosi di transfert, cioè con i pazienti per i quali la psicoanalisi è stata inventata, i colpi sono previsti dal metodo: dal lato del paziente, l’Eifall, l’idea incidente. E dal lato dell’analista, il colpo portato con l’interpretazione, due microtraumi. L’idea incidente corrisponde a un momento dove emerge una rappresentazione che fino a quel momento non aveva avuto accesso alla coscienza, il primo segno d’un comparire del rimosso. Quanto all’interpretazione, è sempre una violenza, un’effrazione, anche se il tatto dell’analista si sforza di renderla ricevibile. Bisogna poi aggiungere a questi due elementi, la dimensione del transfert, il suo carattere di ripetizione, di messa in atto dell’inconscio. È questo che dona all’idea incidente come all’interpretazione la loro intensità, quella dell’essere in praesentia, il loro eventuale valore dinamico.

Sappiamo tuttavia che la difficoltà, l’impossibilità di fare affidamento semplicemente sulle competenze del metodo comincia con le psiconevrosi, soprattutto con la nevrosi ossessiva. È per questo che Freud introduce un colpo supplementare quando fissa un termine ad una cura che minaccia di diventare interminabile, primo provvedimento di tecnica attiva. Poiché ciò fa del rituale analitico uno dei rituali-sintomo supplementare, perché ciò trasforma la regressione transferale in una modalità di soddisfazione, la nevrosi ossessiva si installa nella psicoanalisi come nel paziente, paralizzando il motore del cambiamento. Alle prese con le stesse difficoltà di Freud, Lacan decide di interrompere la seduta prima dell’ora e trasformerà quest’atto contro-transferale in modalità tecnica sotto il nome di scansione o punteggiatura. Freud come Lacan fa affidamento su questo colpo portato per rilanciare una dinamica arrestata.

Ma la domanda più originale, più interessante concerne evidentemente i pazienti per i quali la psicoanalisi non è stata inventata e che costituiscono una sfida per il metodo. Nel paziente nevrotico, particolarmente nell’isterico, cioè in coloro nei quali l’inconscio è pressappoco identico al rimosso, il fenomeno dell’Après-coup ha già compiuto la sua opera. Lo scopo della cura è di riprodurne e non di crearne il movimento, al fine che, di après-coup in après-coup, la rimozione sia superata. È essenziale considerare lo spirito che per Freud dove rimozione e après-coup sono solidali. La rimozione propriamente detta, la rimozione secondaria è una rimozione après-coup. La sequenza è dunque questa: un evento potenzialmente traumatico è registrato dalla Psyché (mente) senza essere trattato, solo impresso (per esempio, la visione dell’accoppiamento dei genitori durante una siesta da un bambino molto piccolo, il futuro Uomo dei lupi). Un secondo evento si manifesta più tardi, talvolta alcuni anni dopo, che, per associazione, risveglia la vecchia traccia, donandole tutta la sua forza traumatica e ne provoca la rimozione e le conseguenze nevrotiche (nel caso dell’Uomo dei lupi bambino, questo secondo evento fu il sogno d’angoscia, che provocò la nevrosi infantile).

La collusione rimozione/après-coup sottolinea che la rimozione non è solamente uno scartare, un rifiutare, ma è anche una trasformazione, un donare senso. Per semplificare l’opposizione, diciamo che ciò che troviamo nei pazienti border-line, i primi colpi, le prime incrinature, non sono oggetto di quel trattamento psichico che è la rimozione. Si può supporre che questi primi impatti traumatici, siano rimasti là, depositati, incistati, incastrati, senza significato – allo stato dunque di rimosso originario -, oppure che siano stati fatti oggetto di un primo trattamento del genere negazione, scissione, proiezione, identificazione all’aggressore, ecc.. Allo stesso tempo è la finalità pratica che si trova modificata: non si tratta più di cercare di sollevare o sopprimere la rimozione, ma “la correzione (o la trasformazione) après- coup del processo di rimozione originario” (Freud, 1937). Come può la cura psicanalitica sperare di compiere una tale finalità, con che mezzi, quali forze? Ciò suppone delle modificazioni tecniche, un cambiamento del metodo? Questo è il cuore della mia proposta.

Quale speranza di trasformazione après-coup la psicanalisi potrà nutrire quando ciò di cui soffre il paziente è radicato nei traumi precoci? Non è che la questione sia semplice… Senza dubbio bisogna prima di tutto distinguere il trasformare dal guarire. La dimensione terapeutica sembra talvolta più familiare e meno misteriosa, poiché il trattamento psichico lavora per medicare la ferita, per cicatrizzarla. Trasformare, è un’altra cosa, che suppone l’avvento di un nuovo senso, o la nascita di un senso in quanto tale.

“Traumi precoci”, l’espressione si carica di un’oscurità che non attiene solo al fatto di un’effrazione precoce nel tempo. Di quale natura sarebbero? Non è più sufficiente rispondere sessuale; il vitale e la distruttività sono anch’essi della partita, che prevale sull’uno o sull’altro registro, o anche che i tre sono intricati.

La precocità è anche quella dell’io. “Trauma” in psicanalisi è una parola relativa, tutti i traumi sono dell’io, inseparabili dalle sue frontiere che sono oltrepassate o calpestate. Freud, nel L’Uomo Mosè, si è lui stesso incaricato di sottolineare l’accentuazione della componente narcisistica quando l’io è incapace di integrare, di recintare ciò che a gli succede. E poi c’è l’altro, l’ambiente umano, i Nebenmenschen, loro stessi separati dall’alterità, quella dell’inconscio. Tutte le iscrizioni, tutti i colpi traumatici cristallizzano qualche cosa di questa situazione anche interumana, per un trauma, bisogna essere in due. La situazione transferale, analitica, essa stessa inter-psichica, trova per queso le condizioni della sua eventuale efficacia nel riprodurre qualche cosa della scena inaugurale.

Il trauma è innanzitutto una nozione economica, soprattutto di quantità. Impossibile tuttavia mantenersi a questo solo aspetto e trascurare il versante della qualità. Due illustrazioni, scelte fra le estreme. D’un lato un bambino al seno che, quando guarda il viso di sua madre, non vede niente, se non c’è uno sguardo che lo vede, perduto nelle nebbie della depressione. Dall’altra, un bambino che allatta da una madre che conduce l’allattamento al limite dell’esperienza di orgasmo e che legge nei suoi occhi l’eccitazione che le procura. Se l’impatto traumatico è garantito nei due casi, si può perlomeno supporre, che essere colpito da niente o da troppo potrebbe depositare lo stesso tipo di traccia e richiedere lo stesso tipo di elaborazione?

Quale speranza d’après-coup dunque? Il trauma precoce è divisibile fra due? L’evento potrebbe sorprendere il ritorno dell’uguale? Si potrebbe passare dalla litania alla storia? La dinamica dell’après-coup potrebbe contenere la costrizione della ripetizione? Si è dispensati dalle risposte semplici e soprattutto univoche. Gli esempi sono senza dubbio più numerosi dove il primo colpo resta per sempre, come un granello di sabbia che blocca il motore; a meno che non abbia scavato un abisso al bordo del quale la vita psichica minaccia in ogni istante di precipitarsi.

*

Vorrei parlare dell’analisi di Aurora, non solamente perché la dinamica della sua analisi permette di affrontare la messa in atto transferenziale del trauma precoce, i suoi après- coup, ma anche per una sensibilità particolare che le permette di afferrare in vivo la nascita del tempo, dei tempi. Ella poteva così arrivare ad una seduta e stupirsi di ciò che si era sentita dire la volta precedente: “avrei dovuto… Mai avrei pensato di parlare in questa maniera”. La forma verbale non è evidentemente la sola in causa, essa è indissociabile dall’affetto sulla quale opera, qui il rimpianto, che implica contemporaneamente l’esistenza d’un passato e il sogno della sua risignificazione.

La cura d’Aurora, come le altre, non può essere raccontata. Après-coup e repliche si caricano di confondere ogni pretesa cronologica. Ma, poiché è proprio dell’après-coup di poter aprire una possibilità alla storia, accade che dei tempi dell’analisi si costituiscano in momenti.

Questo fu uno dei più duri, e probabilmente giocò, per il movimento della cura come per l’iscrizione nel tempo un ruolo decisivo. Giacché “il tempo si misura sull’affectio, (Lyotard, 1998), questo momento durò a lungo, molto a lungo. Non avevo altra misura che la mia inquietudine, poi la mia angoscia. Aurora cominciò ad assentarsi più del solito. Mai una settimana completa, però mai tre sedute. Sempre faceva la sua comparsa, a volte minima, ridotta a una mezza seduta, quando non era di qualche minuto soltanto. Una volta Aurora apparve, il volto livido, la persona disfatta, proprio nel momento in cui la seduta aveva termine. “Se non vengo per un’intera settimana, non vengo più”. Preso in questo momento, una settimana ordinaria di vacanze (vacanza sarebbe più corretto) ci portò a costeggiare il niente. “Ho pensato di andarmene…”. Assente lo era sempre senza preavvertirmi. “Preavvertire” è un atto temporale complesso che presuppone la disponibilità psichica di un’anticipazione, di un futuro, qui inesistente. La mia attesa ne portava la traccia, nell’incapacità in cui mi trovavo di occupare, di disporre di un tempo tutt’altro che libero. Io l’ho attesa.

Nei pochi minuti settimanali che passava sul divano, Aurora diceva di non potere, non saper dire quello che stava succedendo. Sognava, ma questi sogni erano come frammenti d’oscurità dei quali non ritrovava niente. Il loro merito non era per questo meno essenziale, quello di mantenere il filo dell’analisi durante la notte, durante la vita. “Se sogno, per quale motivo non venire”.

Questo momento finì dopo settimane, mesi? Non saprei farne il conto terminò insieme al primo sogno di nuovo ricordato: una distesa d’acqua senza limiti e senza onde, un paesaggio annebbiato da una bruma di calore, soltanto lievemente turbato dal passaggio al largo di una giunca. L’evento del sogno contava più del suo commento. Ci si fermò sull’immagine

Le cose avrebbero potuto finire qui, se non meaning free, in ogni caso senza uno svolgimento del suo significato, senza un “racconto di ciò che era successo”. A questo livello di regressione profonda la cosa probabilmente non è rara, quando il transfert trasporta un pezzo di vita, senza le parole per dirlo. Si prende atto del cambiamento, il volto non è più lo stesso, perfino l’andatura è cambiata, gli ingredienti dello stile si sono distribuiti in un altro modo – lo stile è l’anima. Non si saprebbe dire né come né perché. In analisi, i due protagonisti non parlano soltanto, vivono; non è escluso che gli spostamenti che toccano in profondità rimangano delle storie senza parole, se non addirittura senza segni.

Le cose andarono diversamente, ma non saprei dire se ciò fu per caso o per necessità. Aurora arriva in seduta, molto pallida. Aveva appena saputo della morte di un vecchio amico di famiglia, ma non era questo il peggio. La morte era attesa, imminente, e lei vi era preparata. Il giorno prima aveva telefonato ai suoi genitori che l’avevano rassicurata: stato stazionario, niente di nuovo. La notizia era falsa, l’amico era già morto, i genitori avevano cercato in questo modo, deliberatamente, di proteggere la loro figlia un giorno di più, sapendo che era alla vigilia di un importante appuntamento professionale. Le parole balbettate da Aurora stentavano a cogliere quell’impensabile, le ventiquattr’ore di non vita-non morte, il tempo bianco che aveva non-vissuto, quel momento di non esistenza. Le parole mancano invece quando si tratta di dire qualcosa che non è semplicemente una negazione, e neanche una bugia, qualcosa come sentirsi sospesi nel vuoto, quando si crede di stare ancora con i piedi per terra.

Ma qual è la strada? L’evanescenza delle rappresentazioni non ne consente il racconto, piuttosto che un concatenamento di associazioni una discesa di scale dove si mancherebbe qualche gradino; sempre che la sequenza precedente, passato qualche mese, ritorni all’evidenza. Ciò che era soltanto il tempo senza-tempo di uno sgomento insensato, parve al contrario tanto precisamente nella sua durata, due mesi, che nelle sue date di inizio e fine: la prima, quella della nascita d’Aurora, , la seconda, quella che avrebbe dovuto vederla nascere se non fosse stata prematura. Quello che l’immagine del sogno d’acqua lasciava presagire trovava conferma: è con un sogno di nascita che era finito questo tempo “senza”.

Un momento iniziale tanto traumatico quanto insensato, un’altra scena, bianca anch’essa, ma che funziona da richiamo, una scena che sveglia come una puntura e permette al senso d’avvenire… E’ la temporalità del fenomeno di après-coup anche se, nell’evenienza, tutto si svolge in differita. I due mesi alla deriva non sono il primo colpo, ma la sua “ripetizione”, la sua invenzione; le ventiquattr’ore in bianco non sono il tempo 1, ma la sua rappresentazione.

Le domande sono tante, ci piacerebbe tenerle in sospeso, ma dal momento in cui ci si mette a scrivere si corre il rischio di rispondere. Fedida evocava la “forza selvaggia” del trasfert… In che modo arrivare a pensare che il non-vissuto di questi due mesi che non ci sono stati possa essere vissuto, possa (ri) prodursi ed incarnarsi nella “relazione di ignoto” del transfert? Certo, non è semplicemente l’esperienza di questa “non-esperienza” che si è ripetuta. Delle cose sono state dette, un mito familiare si è abbozzato. Solo il padre desiderava un bambino, la madre non ne voleva; non erano passati che pochi giorni dalla nascita di Aurora, la madre già riprendeva le sue attività professionali. È sempre un adulto che “prematura” un bambino. Ma l’enigma tuttavia permane, perché non sono le cose dette a misura di una talking cure a poter definire questo tempo di un altro pianeta. Confrontata ai traumi precoci, la psicoanalisi tende all’ostetricia (più che alla maieutica), è una riflessione che hanno verificato in molti. Non si può veramente nascere se non si è attesi. Questo non basta per “ritornarvi”, e all’analista per riprendersene. Perché la realtà che il transfert attualizza è sempre, senza eccezione, la realtà psichica. Questa non è mai il semplice ricalco di “ciò che è successo”, quand’anche le variazioni siano minime, il transfert è, paradossalmente, ripetizione di ciò che non è mai accaduto. Ma qui è vero piuttosto due volte che una.

Far corrispondere la temporalità teorica dell’après coup a momenti della cura è poco agevole, necessariamente approssimativo. Mi sono chiesto che cosa potesse aver provocato, ma anche permesso, una regressione così pericolosa e feconda. A queste domande, non ho risposte, ma questo non impedisce la convinzione, al contrario. Il mito non è più familiare, diventa analitico, ci si racconta una storia che non chiede altro che diventare “vera”. Un po’ di tempo prima – sempre la stessa incertezza quando si tratta di misurare il tempo analitico che passa – avevo dovuto interrompere la mia attività per una settimana , fuori dei periodi abituali di vacanza. Il rischio che facevo correre ad Aurora mi era noto, quello della discontinuità, e avevo potuto proporre la sostituzione di due sedute su tre. Ne restava una, annullata, rinviata al nulla… Ella mi fece violentemente sapere che non avevo il diritto… Possiamo pensare che l’incarnazione successiva della “vita non vissuta”, di due mesi di sconforto transferale, sia l’elaborazione, la generazione di questo infelice evento? Si comprende allora l’ipotesi sottintesa due. Tempo 1, quello che riapre il tempo, la seduta soppressa, Aurora annullata, l’odio espresso poi rimosso; tempo 2, quello del primo colpo, la durata elisa della gravidanza, l’impazienza materna, l’impossibile attendere, l’espulsione affrettata, un colpo nel vuoto all’alba dei tempi. Poi i due mesi in absentia e la morte bianca, come altrettante repliche metamorfosi di una prima materia bruta.

Si ritorna all’intuizione di Winnicott che aveva colto che nel momento transferale dei traumi precoci, le mancanze, i fallimenti, le incrinature, quelle dell’analista si trovano investite di una funzione dinamica molto particolare. È più frequente che sia l’analista, con “l’aiuto” del controtransfert, a frapporre fra lui e il suo paziente, la parete di vetro con cui questi viene brutalmente a scontrarsi. In un mondo così profondamente sconosciuto, un mondo prima delle parole, nel quale l’analista si sposta senza la sua bussola, la cosa è quasi inevitabile. Questo non riduce il paradosso: nessuno saprebbe fare “tecnica” di quello che si offre soltanto come messa in atto dell’inconscio, questo è ciò che vuol dire controtransfert. Non si annullano delle sedute per vedere… Tuttavia, non è detto che sia necessario darsi molto da fare, il cedimento arriva, certamente. Per il bambino come per il paziente, il rischio maggiore non è questo, piuttosto il suo contrario la minaccia della “perfezione”, quella della madre dell’analista, sempre nel “vero”. Se si eccettua questa evenienza, la mancanza si produce sempre. E’ sufficiente per questo che l’analista faccia il suo mestiere, che interpreti, tutte le possibilità di cadere di lato… O peggio, di cadere (ferire) al punto giusto.

A quali forze una tale psicanalisi deve la sua dinamica? La cura d’Aurora impose rapidamente un contrasto: il vuoto della sua presenza, l’intensità della sua assenza. Aurora dice niente, in ogni caso fa del suo meglio per riuscirci; parole prese e riprese, stentate, svuotate. Impossibile après-coup “raccontarmi” la seduta. Lei non aveva ricordi della sua infanzia, io non ne avevo della sua seduta. Lei è comunque là anche quando non viene. Indipendentemente dai due penosi mesi, Aurora fece il massimo uso possibile di ciò che permette il “pagamento delle sedute mancate”. Mancate? Non è la parola appropriata. “Assentate” sarebbe più giusto. Dovunque essa sia all’ora della seduta, lei prova un sentimento indefinibile, qualche cosa di inattuale. Senza eccezioni, non mi preavverte mai, ne deriva la mia attesa. Più tardi, quando questi atti saranno “assurti al significato”, potrà commentare: “se la preavverto, la seduta non c’è”.

Di assenza in assenza, Aurora esplora la sua attitudine alla sopravvivenza, la mia attitudine alla sua sopravvivenza. Forse è nell’inquietudine del Nebenmensch che si apre la prima breccia costitutiva del tempo – come la continuità del suo investimento fonda la continuità d’essere del nuovo-nato. Il primo “io” è un altro, il primo tempo anche. To be or not be, a seconda se si è attesi o no. Egli (all’inizio lei) mi attende, dunque sono.

Con questo gioco, quello della psicanalisi in absentia, nettamente meno giubilatorio di quello del rocchetto, anche se non senza rapporto con questo, il presente, d’essere a questo punto raro, finisce per diventare vivente.

La lingua dice il vero, visto che un solo termine per dire “presente” e “presenza”; per il presente bisogna essere in due, ogni presente interumano, interpsichico. Il presente è una coincidenza, dell’essere e del tempo. Solo l’esistenza psichica di un “in presenza di” dà al presente la sua eventuale consistenza. Le condizioni di possibilità psichica dell’effetto d’après-coup sono allora costituite: il colpo, il trauma, l’evento è la vita del presente; l’après-coup vi aggiunge l’apertura verso il passato.

Quel giorno, appena si fu distesa sul divano, Aurora disse: “potrei morire di colpo, lei non farebbe niente”- lo sconforto del tono questa volta s’allontana da quel suo “dire niente”. Più tardi, anni d’analisi dopo, ritorno al ricordo di questo momento improvviso di sgomento – ma prima non c’era “ricordo”, e neanche un “prima”. Aurora ricorda dunque: non avrebbe certo sopportato che io “facessi” qualcosa, come, per esempio interpretare, anche se le parole erano utilizzabili. Al contrario dell’insondabilità del periodo precedente, il significato questa volta era disponibile e la ripetizione tranfserale del primo trauma esprimibile. Aurora aveva solo pochi mesi quando la sua anoressia rischiò di farla morire. Dal momento che i suoi genitori erano sovrastati dalle circostanze, fu soltanto per l’intervento di un amico di famiglia che riuscì a salvarsi che cos’è che permette all’analista di resistere alla tentazione delle parole, quelle che si affrettano ad afferrare, a comprendere… A nutrire, a non opporre la loro competenza a quella che, una volta, venne meno? Nulla, se non l’intuizione dell’istante, le “piccole percezioni” che la costituiscono: intuire che la parola avrebbe l’unica funzione di alleviare l’angoscia controtransferale, presagire la violenza contenuta in un rinvio troppo affrettato della donna d’oggi al neonato di ieri, cogliere che la creazione dell’evento, del suo presente è più importante della sua traduzione, non cortocircuitare il tempo che separa il colpo dal suo dopo. Vivere, prima di raccontare, essere prima di coniugare: “oggi, qui come allora, altrove…”. Prima che la problematica delle regressioni profonde nella cura mobilitasse la riflessione teorica negli anni 50, Freud, alle prese con le innovazioni di Rank e Ferenczi, aveva già messo in luce la forma allucinatoria che assume in modo privilegiato il ritorno transferale degli eventi dimenticati dei primissimi anni, quando il bambino dispone soltanto dei primi rudimenti della parola (Freud, 1937).

La posta in gioco può essere così riassunta pur assumendoci il rischio di forzarne i tratti: o il movimento regressivo della cura permette di raggiungere il punto in cui la messa in atto dell’inconscio ha la forza dell’allucinazione, o un “analisi per niente”. L’après-coup dei traumi elementari, la loro “emersione al significato”, la loro messa al passato, la storicizzazione, la loro trasformazione, questo après-coup, non è fuori portata dell’esperienza analitica, ma ha come condizione il “presente assoluto” dell’allucinazione. Impossibile sostenere che questa condizione sia da sola sufficiente, ma è necessaria. “L’unico modo per ricordare, per il paziente, è sperimentare per la prima volta nel presente – cioè nel transfert – l’evento passato” (Winnicott, 1995).

“Potrei morire qui, lei non farebbe niente”… La tensione, la violenza di questo momento lo colloca vicino a un presente vivente, . Aurora però non grida: “io muoio, lei non fa niente”. La percezione del condizionale, nell’istante tragico dell’enunciato, è probabilmente rimasto nel migliore dei casi subliminale. Non importa: l’indice temporale segna già l’après più che il colpo stesso.

Il condizionale è il fratello dell’imperfetto, di un tempo che segna più d’ogni altro l’esistenza del passato, il suo movimento, la sua vita, la sua durata e l’esistenza del passato presuppone che il presente, l’incontro dell’essere con il tempo, sia già accaduto; che essa, se non è sfuggita ai due protagonisti della situazione, li ha almeno “posseduti”.

Di seguito appartiene allo svolgersi dell’analisi. Il condizionale rifà la storia, più fortemente di quello che si immagina, esso la crea, ne palesa la natura paradossale di fiction. Il fantasma precede il ricordo, e senza dubbio lo rende possibile. La disperazione scopre che dispera del passato. È quest’ultimo, sempre, che si tratta di cambiare, o meglio di inventare. Poiché la storia è un racconto, è possibile scriverla di nuovo. E’ evidentemente più sorprendente quando è la storia in sè stessa, categoria psichica fin ad allora inesistente, viene vista nascere dall’analista. “All’inizio, quando venivo qua…”, la prima storia, la storia principale, è allora quella del transfert. Una storia, a volte, che può ricordare la sua preistoria, quando il tempo non era ancora nel tempo. Aurora: “Lei mi disse tre sedute, ma per me, una o tutti giorni, sarebbe stato uguale”.

*

È insieme un’ipotesi e una convinzione, quella di una profonda complicità tra fenomeno d’après-coup e la dinamica del transfert. Il trauma in praesentia, “elemento reale” dice Freud (1914), e l’avvento del senso, questa congiunzione è caratteristica tanto dell’effetto d’après-coup che della coppia transfert/ interpretazione. Una tale concezione impegna inevitabilmente l’idea di insieme che ci si fa della psicoanalisi, in teoria e in pratica, e si sostiene su una rappresentazione implicita della cura. L’esempio d’Aurora permette di abbozzarne i tratti. Qual è la natura del trauma che la parola “prematurazione” condensa, già simbolizza, e che il transfert attualizza? Non corriamo troppi rischi se supponiamo che essa riunisce più o meno tutti gli ingredienti: il vitale, la distruttività, l’aspirazione da parte del vuoto, il sessuale, nel duplice registro narcisistico e oggettuale. Ma ciò non toglie che al cuore di questa diversità, è sul sessuale infantile che si appoggia il trattamento (inter) psichico per operare le sue trasformazioni; è da questo che può sorgere il potere di metamorfosi: divenire, al termine di questi due mesi di una scena primitiva che non finisce mai, una bambina attesa, desiderata. Nascere infine! Il vitale, così come la distruttività, mancano di ciò che caratterizza invece le pulsioni sessuali -almeno sul versante libido-oggettuale: “La straordinaria plasticità”, una plasticità per la quale l’effetto trasformativo d’après-coup è un operatore essenziale. L’assunzione dei traumi precoci, la ferita che infliggono a Narciso, l’affronto al rimosso originario, alle prime battute non trattate, impongono una riflessione pratica che concerne le modalità della regressione al lavoro del transfert. Essi non cambiano nulla, a mio avviso, di ciò che costituisce la sessualità infantile della psicoanalisi. A prima vista la seconda topica mette a distanza il sessuale infantile, in modo più fondamentale ne rende più complesso il senso, lo sposta: esso era l’oggetto, di investigazione, dell’analisi; ne diventa innanzitutto il mezzo.

Nella testimonianza che offre della sua analisi con Winnicott, Margaret Little scrive : “La sessualità infantile è senza significato finché non ci si è assicurati della propria esistenza, sopravvivenza e identità. Tutto il suo testo mostra però il contrario, e innanzitutto il gesto stesso della testimonianza, la sua trasgressione, vera e propria dichiarazione d’amore di trasfert… non liquidato; si ha la sensazione che Winnicott fosse l’uomo della sua vita. Se si aggiungono numerosi dettagli, in particolare l’incrocio tra vita sessuale e vita analitica; e qualche ingenuità: “la piccola Margaret” riceve come un segno di maternage i piccoli dolci che il suo analista le offre a fine seduta. Come se le nostre piccole madeleines ed i loro piccoli cakes mirassero a nutrire. Se la sessualità infantile non si mischiasse alle cose di cucina, non ci sarebbero mai dei dolci, dei regali. Non c’è un solo dolce che sia innocente! Margaret Little arriva in analisi con una questione vitale, esistenziale (“chi sono io?”), ma è l’amore di transfert che permette il lavoro risolutivo, di trasformazione. È lo stesso ragionamento di Freud a proposito del sogno. Finché ha potuto credere che il sogno fosse sempre l’appagamento del desiderio, il sessuale infantile ne ha costituito il solo vero contenuto. Fino al giorno, quello della seconda topica, in cui Freud si è reso conto che in certe situazioni traumatiche il sessuale passva dall’altra parte: non più contenuto, ma operatore, trasformatore, forza lavoro. Lo stesso movimento vale per l’après-coup, quello che consente la messa in atto dell’inconscio nel transfert. Agente di rimaneggiamento psichico, l’effetto d’après-coup si appoggia sulla plasticità pulsionale. Ma allora, si svela il carattere sessuale del primo colpo, nel senso che la prima battuta è sempre un sessuale-presessuale, o opera invece la sessualizzazione di un trauma che non era sessuale? L’apertura della questione è più interessante della risposta che, a questo livello di ignoto, non potrebbe essere che riduttrice.

Con o senza dolci, pur senza viziare, la psicoanalisi è una scena di seduzione, quella che nasce dall’incontro tra il più intimo e il più estraneo e che permette al fenomeno d’après-coup, scoperto con l’atelier nella seduzione, di ritrovarsi in terra natale. Il gesto seduttore non consiste in altro che nell’enunciato della regola fondamentale: “dica tutto quello che le passa…”.

L’Uomo dei Topi è il primo a comprenderlo: conosciamo il seguito, l’allucinazione del supplizio dello spinge ad alzarsi precipitosamente dal divano per sfuggire all’analista crudele. Il genio di Freud, con l’istituzione del binomio: associazione libera/ attenzione liberamente fluttuante, è di aver sottomesso al regime polimorfo ed autoerotico della sessualità infantile, la parola del paziente e l’ascolto dell’analista. Le condizioni psichiche di un tale dispositivo sono lontane dall’essere riunite, ma a cosa mira il playing tecnico di Winnicott, se non proprio ristabilirle, perfino a inventarle.

La situazione analitica ripetere nella sua forma, come ha sostenuto Laplanche, la dissimmetria tra l’infans e la Nebenmesch, la stessa che costituisce la matrice delle prime battute. Questa ripetizione non è un semplice ricalco, il “commercio” tra analista e analizzante mette insieme due adulti, mai il bambino di prima dell’inconscio si presenta in analisi. Se l’analogia è fondata, è attraverso l’idea che la dissimmetria è originaria, che segna per sempre l’esperienza umana con la sua impronta ed il suo enigma, e che il suo avvento si riproduce innumerevoli volte, soprattutto dal momento che si instaura la situazione analitica.

“L’amore è cieco…”. Poiché l’amore di trasferta è “un vero amore”, esso non manca di generare il suo carico di illusioni, e innanzitutto quelle di un accordo, di una connivenza, di una condivisione, e perfino di un’alleanza (terapeutica)! Perfino di un divorzio consensuale: “il mio analista è d’accordo a terminare l’analisi”. Tanti modi di misconoscere l’insopportabile dissimmetria, il malinteso fondatore. Così va la vita dell’analisi… A condizione però di sottomettere al suo lavoro di slegamento le illusioni generate dall’amore. Ma cosa pensare delle teorie sessuali, insieme infantili (controtransferenziali) e analitiche, insidiosamente fomentata dal movimento stesso della cura, che si trasformano in teorie psicanalitiche tout court? Si parlerà di “condivisione d’affetto” o di “relazione transfero-controtransferenziale”. Certo queste ultime parole, così distaccate, non sono francamente quelle dell’amore, ma non per questo simmetrizzano meno quello che appunto non può esserlo. C’è altrettanto rapporto analitico che rapporto sessuale. Mai un’analisi avrà luogo tra persone che si intendono. Nulla è più lontano dall’analisi dell’idea di “mutualità”. Un trauma, anche precoce, può dar luogo a metamorfosi, per poco che l’evento reale e après-coup del trasfert gliene dia l’occasione, ma la dissimmetria psichica che ne costituisce la fonte e la tela di fondo non è, essa, in alcun modo cancellabile; non più che non sia eliminabile l’alterità dell’inconscio.

Traduzione Stefano Calamandrei

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