Relazioni presentate al seminario di Formazione Psicoanalitica – “Invecchiare, evoluzione e trasformazione del Sè” di Danielle Quinodoz
Accademia “La Colombaria” – Sabato 22 Ottobre 2011
Chiara Nicolini e Luca Zordan
Regressione e investimento libidico nell’età anziana
“Quanto buon carattere e umorismo ci vogliono per sopportare l’orribile
avanzare della vecchiaia”. Così scriveva Freud nel Maggio del 1935 a Lou Andreas Salomè. Di buon carattere e umorismo ce ne vuole molto, troppo forse, per Freud che, nella lettera a Lou Salomè, sottolinea il peso e i lati oscuri della vecchiaia. Lou muore nel 1937. Le sue lettere, nel lungo carteggio intrattenuto con Freud dal 1912 al 1936, sono ricche di affermazioni sulle sorprese che insperatamente la vecchiaia può offrire. In esse Lou esprime la sua gioia nell’avvertire che gli avvenimenti si tramutano in esperienza interiore, convinta che questo processo sia possibile proprio per l’età avanzata. Gli incomodi rappresentano il rovescio della medaglia, ma, a dispetto di questi, è veramente bello invecchiare.
Se comprendiamo la vecchiaia in continuità con gli altri periodi della vita riconosciamo che, come vi sono tanti modi di vivere le altre fasi della vita, così è anche per l’età senile.
La vecchiaia, però, mette di fronte, alla realtà della perdita e del lutto. I segni della vita che invecchia li osserviamo e li percepiamo nel corpo e ci chiediamo cosa accadrà alla nostra creatività, alla nostra realtà e presenza psichica. Invecchiamento biologico e invecchiamento psichico sono intrecciati, ma non coincidono. La vecchiaia psichica insorge quando, per una perdita di troppo, si rompe l’equilbrio tra acquisizioni e perdite e si esprime nell’impossibilità di integrare il dolore e rinnovare gli investimenti libidici (Messy, 1982).
Se durante l’adolescenza e nella vita adulta è possibile ottenere gratificazioni narcisistiche e successo senza mostrare rilevanti disturbi, nella vecchiaia il Sè Grandioso rischia di confrontarsi drammaticamente e tragicamente con malattie, limitazioni fisiche e cambiamenti di status (Kernberg, 1975).
Nella vecchiaia la perdita, il lutto, ma più in generale il cambiamento, sollecitano la nostra struttura narcisistica e spesso evidenziano, più che in altre età, la fragilità o la tenuta delle sue dinamiche.
Il narcisismo è una condizione della vita psichica ed è sempre presente nella sua duplice tendenza, nell’investire in se stessi e nell’allargare i limiti di sè per includere gli altri. La vita psichica si esprime proprio nella possibilità della libido di oscillare tra gli investimenti sugli oggetti e sulle rappresentazioni oggettuali e gli investimenti in se stessi. Tali investimenti riguardano ovviamente anche la sfera sessuale.
Assoun (1983) ipotizza una fase di evoluzione psicosessuale successiva a quella genitale, la fase postgenitale. Egli osserva come con il passare del tempo si possa produrre occasionalmente una frammentazione dell’erogeneità globale del corpo. Scoppola (2008), con una forte vicinanza a quanto evidenziato da D. Quinodoz parla di una riorganizzazione della sessualità in una topica più ampia: le esperienze si integrano con gli affetti e la sessualità si estende a quelle zone del corpo disinvestite nella fase genitale e reinvestite nella fase postgenitale.
L’evoluzione del narcisismo si accompagna dunque a quella psicosessuale e libidica. Nell’ipotesi di un’evoluzione che va oltre la dimensione genitale, possiamo comprendere in modo evolutivo anche la dinamica narcisistica.
Il narcisismo è la condizione dell’animo umano che difende l’identità e il sentimento di esistere. Saper oscillare nella tendenza intrinseca ad allargarsi verso e sugli oggetti e a ritirarsi, a rifocillarsi e riposarsi sull’Io è una conquista matura e il modo in cui viviamo questo processo è espressione intima della soggettività.
Più che di un narcisismo buono e di uno cattivo, preferiamo parlare di un narcisismo felice e di uno infelice, di uno sano che favorisce l’integrazione tra i vari aspetti del sè e della realtà e di uno che rischia di condurre al solipsismo e all’alienazione.
Il ritiro su di sè della libido può indicare il bisogno della persona di riposare in se stessa, di uscire da una trama conflittuale per poterla vivere intimamente nel silenzio che può rigenerare; può rappresentare la soggettiva condizione che permette di recuperare un sentimento di integrazione e di totalità, necessario per successivi investimenti. In persone molto anziane si può osservare il disinvestimento del fuori e il ritiro dalla relazione per sostare nella posizione depressiva, ed è forse il nostro narcisismo a volerlo leggere con gli occhi della patologia e a impedirci di stare per un po’ sospesi nel silenzio di cui invece, a volte, è capace il paziente.
Nella duplice tensione tra il polo oggettuale e quello narcisistico, l’investimento orientato a se stessi ha finalità reintegrative (Semi, 2007). A volte, “per ritrovare noi stessi, abbiamo bisogno di regredire, ritrovare e risperimentare di essere narcisisticamente riusciti. Ma, in questo caso si tratta di una regressione al servizio della progressione” (p. 46).
Sappiamo che il tema della regressione è ampio e ricco di sfumature. Modalità regredienti dal punto di vista relazionale sono importanti per dare movimento a quanto sembra bloccato e per rifornirsi narcisisticamente in situazioni di asfittica impotenza.
Il bisogno del paziente di sperimentare situazioni di soddisfazione narcisistica con l’oggetto è spesso vitale nella relazione analitica ed è importante che esso vada accolto, prima ancora di essere svelato. Anche con le persone anziane depresse è importante utilizzare il narcisismo come risorsa per tornare a vivere.
Ricordiamo, a questo proposito, un paziente ottantenne che chiede un aiuto psicologico per una depressione legata sia alla perdita della moglie che alla difficoltà di accettare l’invecchiamento. La sua depressione sembra focalizzarsi soprattutto a livello corporeo. Un corpo che gli ha sempre dato molte soddisfazioni, gli ha fatto vincere gare sportive, gli ha fatto conquistare l’amata moglie, lo ha fatto sempre sentire un bell’uomo. Ora il suo corpo, non solo non risponde più ai suoi desideri, ma spesso costituisce un ostacolo per realizzarli.
Con questo paziente, come in generale con le persone anziane e gli adolescenti, il corpo occupa un posto centrale nei pensieri, nelle paure e, ovviamente, nella psicoterapia. Diventa allora più che mai importante reperire la rappresentazione mentale del corpo come oggetto interno e non solo come immagine corporea, recuperando quelle relazioni affettive che si sono succedute nell’arco del tempo (Nicolini, 2008). Questo vivificarsi della memoria, anche corporea, ha aiutato il paziente a ritrovare quel narcisismo perduto che lo faceva sentire svuotato dalla depressione.
Gli affetti sensazione, che secondo Racalbuto (1994) caratterizzano l’attività pre-rappresentativa, forse tornano nell’età anziana a veicolare la conoscenza attraverso il corpo. Una conoscenza carnale, o meglio sensoriale, che apre e chiude il cerchio della nostra vita.
Il pensiero nasce dai saperi elementari del corpo. Da questa esperienza carnale emerge il pensiero. Nessun pensiero senza corpo. Per potere pensare è necessario un corpo abitato affettivamente, un corpo che innazitutto viva (Dejour, 2004, pp.775-776).
In età anziana il corpo è centrale. Così come è impossibile riferirsi agli adolescenti senza parlare del corpo, analogamente lo è per gli anziani. Un corpo che funziona è il primo indispensabile garante di una mente che riesce a compensare la propria fragilità. L’evento organico rompe questo delicato equilbrio (Starace, 2004).
Mai come con l’anziano il terapeuta deve recuperare un linguaggio corporeo. E’ solo a patto di poter continuare a oscillare tra le nostre sensazioni corporee e i nostri pensieri, tra il mondo interno e la realtà esterna, tanto importante per gli anziani proprio nella dimensione corporea, che potremo veicolare gli affetti senza nome. Quegli affetti-sensazione che, una volta diventati rappresentazione di parola, danno alla persona il piacere di pensare. Mai come con i pazienti anziani è necessario trovare “parole che toccano”, secondo la felice espressione di D. Quinodoz (2002), una formulazione che fa avvertire le emozioni di entrambi i membri della coppia analitica, avvolti in quall’area non verbale che, proprio grazie alle parole che toccano, può diventare verbale.
Tornando al nostro paziente, è stato utile ripartire dal suo narcisismo e utilizzarlo come risorsa vitale. Per il paziente è stato importante sentire l’analista dalla sua parte, un’analista che ha ascoltato con autentico interesse i suoi racconti e che ha accettato di lasciarsi sedurre proprio come una madre fa con il proprio bambino, un’analista che gli ha restituito quella fiducia che sembrava smarrita.
Per la persona anziana che vive perdite reali e che può vivere lo sfilacciamento dei legami con i propri oggetti interni per la presenza di movimenti regressivi e di deterioramento è importante avvertire la presenza dell’altro che non viene risucchiato nell’oggetto soggettivo. La sensazione di essere soli è spesso collegata al vivere gli altri come oggetti soggettivi e non come persone con cui è possibile porsi in relazione.
C’è un narcisismo che frena il contatto con il mondo interno e c’è un narcisismo che, al contrario, è al servizio della creatività intra e interpsichica. La dimensione sana del narcisismo è legata alla amorevole consapevolezza che è integrazione libidica emotiva e mentale.
La consapevolezza non è afosa, non affanna o invade la mente, resta a livello di preconscio e lascia spazi liberi per il nuovo (Lopez, 1991). Questo è tanto più significativo per il vecchio che, come ricorda Scoppola (2008), possiede un mondo inconscio così ricco e di tale ampiezza da far diventare precario il dominio e il controllo da parte delle forze dell’Io. La persona, vecchia o giovane che sia, può liberare il suo preconscio per ricordare o dimenticare, pensare o non pensare. E’ così che si diventa un bel vecchio. I bei vecchi, nell’accezione di Nicoletta Collu (2007) sanno trasmettere un senso di pienezza dell’essere ed è consolante sapere che non occorre essere stati dei bei giovani per diventare dei bei vecchi.
Così come “la nostra età si compone di tutte le età antecedenti”, riteniamo che anche l’istituzione psicoanalitica debba aprirsi a tutte le età. Non solo riguardo ai pazienti – dall’infanzia alla vecchiaia – ma anche riguardo agli analisti, che hanno solo da guadagnare nel confronto con le nuove generazioni. Anche noi dobbiamo elaborare la nostra posizione depressiva, per poterci decentrare e poter accogliere nuova linfa vitale. Diversamente, il rischio è un arroccamento difensivo nel “come eravamo”, facendo – dice Widlocher (2009) – “come i vecchi comunisti cinesi che, dopo aver fatto la rivoluzione, vogliono conservare il potere”. Sempre secondo Widlocher c’è una gerontocrazia intellettuale che colpisce più o meno tutte le società. Occuparsi di vecchi non significa sbarrare il passo ai giovani.
“Dobbiamo a Jung l’intuizione che, per raggiungere la virtù o più semplicemente per proseguire con decoro, il Senex non deve allontanare dal sè il Puer. Nella qualità della loro relazione è racchiuso il segreto della saggezza, poichè, a volte, il Senex trova nel Puer la sua guida” (Spagnoli, 1995, pp 166-167).
Valga, allora, per le società psicoanalitiche e non, quel che vale per la persona.
Abbiamo iniziato questo intervento citando Freud e la necessità dell’umorismo per affrontare la vecchiaia. Ci piace concludere citando un altro vecchio analista:
“Una mente creativa e burlona rende amabile la vecchiaia. Da vecchi bisogna mantenere giovane la mente, perfino più giovane e lieve e spensierata di quando si era giovani, altrimenti è preferibile scomparire. Una mente elasticamente creativa e burlona compensa il deterioramento degli altri pezzi del corpo che cadono ad uno ad uno. Alla fine non si ha quasi più bisogno di arti, si diventa leggeri come l’aria, si vola (Lopez, 2011, p.18).
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